Leletta D’Isola
Sulla soglia, per invitare alla Festa
Una bambina di poco più di tre anni gira per casa con un rosario al braccio: sa che la Vergine Maria regge quella corona e per imitarla – a tre anni non sa ancora cosa sia il Rosario, ma avverte già una potente attrattiva verso la Madre del Signore – decide di portare quel rosario con sé. Piccola teologa incapace di leggere e scrivere ma attratta dalla cose di Dio, aveva compreso di non voler «assomigliare a nessun santo, se non a lei».
La bambina – Aurelia Alessandra Anna Maria, ascendenze nobiliari, nata il 1° aprile 1926 nella “Torino bene”, “Leletta” a casa e per gli amici – aveva dovuto reimparare a «camminare e a vivere» dopo una polmonite durissima che ne aveva messo a repentaglio la sopravvivenza e minato la salute per il resto dei suoi giorni. La mamma l’aveva allora curata con amore, Leletta però «aveva sentito parlare del Paradiso e voleva andarci»: «Ricordo il dispiacere che provavo perché i miei non mi lasciavano andare in Paradiso».
Due anni dopo, dal barone Vittorio Oreglia d’Isola e dalla contessa Caterina Malingri di Bagnola nasceva Aimaro: dono singolare per Leletta, primo compagno di vita. Confesserà: «Non posso più esistere senza mio fratello». Leletta e Aimaro erano due fratelli che insieme ‘facevano uno’, dove l’uno si occupava dell’altro e – più tardi – i differenti orientamenti vocazionali non ne avrebbero mai ostacolato il legame. Diventano, da piccoli e per tutta la vita, i «Maroletti» o la «Società Maroletta», pescando da entrambi i nomi.
Bambina, Leletta sperimenta dunque l’assoluto di Dio attraverso la mediazione mariana e il fuoco della Carità nel legame fraterno. Il giorno della prima Comunione vive «un grande momento di raccoglimento», «e poi dissi a mia madre che mi sarei fatta suora»: sarà una vocazione precoce e contrastata insieme, che non le risparmierà mai il patire delle prove di fede, il limite presto dirimente della poca salute, le fatiche del crescere. Diciassettenne – in un momento di grande prova, «durante la guerra che tanto cammino fece fare a quelli della mia generazione», tormentata da continue prove di fede, Leletta si buttò sull’ammattonato della sua soffitta a Bagnolo, decisa – scrive – a non rialzarsi se non avesse avuto il dono della fede e «a consacrare la vita a darla agli altri (!) se l’avess[e] avuta»: gesto d’impeto e di forza che ricorda Tommaso d’Aquino, fisso al Tabernacolo finché non avesse ricevuto luce. Cerca intanto, Leletta, il proprio posto nel mondo, è una giovane che piace ma rinuncia al matrimonio, alla proposta di un conte. Quando aveva chiesto la Summa dell’Aquinate in regalo, era invece arrivata «una cassetta contenente rossetto, cipria, profumo!»: Leletta sarà sempre bella, custodirà il suo tratto nobiliare, coltiverà la cura di sé. «Prova a conciliare l’Ufficio con i balli», però bisogna scegliere. Durante una novena a san Benedetto padre dei monaci, per trovare la propria strada, Leletta conosce il Domenicano padre Enrico di Rovasenda (poi grande figura della Chiesa italiana) e attraverso di lui una religiosa che in Corso Francia a Torino dava origine a un’incipiente fondazione, nella quale viene accolta. Riceve l’abito il 2 gennaio 1948 e il nome nuovo di “suor Consolata” – dal titolo mariano così caro ai torinesi –. Ma i luoghi sono freddi e la salute poca, da quando a tre anni voleva andare in Paradiso: la tubercolosi bilaterale – da cui guarisce il giorno del Corpus Domini portandone però sequele, tra cui un enfisema polmonare che non la lascerà più – sono la risposta alle sue ansie vocazionali. L’8 settembre 1948 si riconosegna a Maria, ma la svestizione è preludio a un inverno di «solitudine e prove interiori». Due sue amiche erano già entrate al Carmelo, il fratello avrebbe poi seguito la strada del matrimonio. Leletta in meno di un anno sembrava aver perso tutto. Alla mamma, quella sua figlia era parsa «una povera barchetta alla deriva».
Si laurea però in filosofia, relatore Nicola Abbagnano, ritesse i legami di amicizia, professa come terziaria domenicana. E comincia a insegnare. Sarà a Chieti per tre anni e poi – dal 1959 – in Val d’Aosta, più vicina alla mamma che versava in precarie condizioni di salute. Dopo la morte del padre, nel 1955, Leletta era arrivata a pesare 30 kg: gli occhi vividi, la femminilità intelligente; ma la sua vita continuava a restare appesa a un filo.
In Val d’Aosta resterà fino alla morte, e a Dio per quella Diocesi arrivò ad offrirsi. Riceve a casa gli studenti, con loro va a camminare. Intesse forti legami con i sacerdoti e due di essi – Mons. Brunod e don Maquignaz – le chiedono di trasferirsi al Priorato di Saint-Pierre.
Leletta d’Isola – una piccola donna con il monastero nel cuore – in quegli anni diventa “casa” per molti. Lei nobile, quasi non ha più niente – investirà una proprietà di famiglia perché potesse sorgervi la comunità cistercense di Pra’d Mill e si impegnerà con il fratello Aimaro nella fondazione del Carmelo di Villar de Quart, il Carmelo caro ai Papi, visitato da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI –.
Lei nella stanzetta del Priorato accoglie tutti e da tutti viene sfinita, assorbita, consumata: «Gli incontri la sfiancavano per la quantità di persone e per gli argomenti e le sofferenze di cui si faceva carico». Dice dom Jean-Baptiste Chautard: «Non si può essere apostoli se non si è monaci nel cuore». Leletta – che nel giorno di san Giuseppe del 1956, davanti a un Carmelo, aveva compreso che in quel ‘palazzo’ non doveva entrare, che doveva essere «una portinaia fuori della porta», al priorato è finalmente portinaia del buon Dio.
Dalla soglia dell’amicizia su cui sosta e nella quale accoglie, lei rimasta “fuori” tira-dentro, introduce «in qualunque modo le persone nel Cuore di Maria, che è dentro a quello di Gesù, che è dentro all’infinito Cuore Paterno». Dà una «attenzione vera, soprannaturale». È indefinibile per il mistero che la abita, «virgo singularis», come la si è definita. Sfugge a ogni categoria, ha la vita frantumata dalle prove eppure “tesse” la Chiesa in un incessante intreccio di volti e storie e di spiritualità diverse – domenicana, benedettina, carmelitana – tutte a servizio dell’unico Signore. A sé, non riserva nulla.
Trascorre con la leggerezza dei suoi pochissimi chili e della sua grazia arguta anche il tratto finale di cammino terreno, quando un tumore viene a farle compagnia e lei lo chiama «la feritina», al costato: «È solo una caricatura di Quella Ferita […], ma fa pensare a Quei Cuori […]».
Leletta parla anche del «noviziato di accettazione della vecchiaia». La cugina Laura Vagliasindi – la cugina dagli occhi color pervinca che lei chiamava la cugina-fatina – le aveva scritto del «sopportare di diventare brutti». Ma non si è mai brutti, se mi ama: «Il Signore ci conceda un tramonto tutto di fuoco»!
Leletta, oggi incamminata agli onori degli altari, muore al Priorato nell’agosto 1993.
Mentre anni prima, trentatreenne, assisteva la mamma inferma, lei d’un tratto le aveva detto: «Ti ha ben presa la Madonna!». E le aveva confidato che al momento della sua nascita, «ancora tutta coperta di pelli e di sangue», l’aveva offerta alla Madonna. Ora era la Madonna che tornava a prenderla.
«Offro al Signore il mistero della mia vita, felice,
ma così umanamente inutile».
Leletta alla cugina Laura
“Leletta” d’Isola nasce a Torino il 1° aprile 1926 e muore in Val d’Aosta il 18 agosto 1993. Donna minuta e vivace, terziaria domenicana, docente di filosofia, diventa amica e confidente di tanti, animatrice inoltre della vita monastica contemplativa. Se nella sua vita, come scrive il Card. Carlo Maria Martini, mancano «grandi eventi», «tutta la ricchezza di questa meravigliosa creatura sta nel suo intimo, nel suo donarsi […]». Per conoscerla si rinvia a due monografie di Nora Possenti Ghiglia: Leletta d’Isola. La portinaia del Buon Dio (Ancora, Milano 2009); La bisaccia di Leletta. Scritti e tstimonianze di una contemplativa nel mondo (Ancora, Milano 2016). A cura dell’Associazione Amici di Leletta: L’Ortolano e la Rosa (a cura di Rosalida Andreassi) e L’essenziale. Leletta (biografia breve, sempre di Nora Possenti Ghiglia). In internet: http://www.dominustecum.it/ (i Cistercensi di Pra’d Mill); https://carmeloquart.wordpress.com/ (le Carmelitane Scalze di Villair de Quart).