N.05
Settembre/Ottobre 2022

Riunirono la Chiesa (At 14,27)

Dopo il violento parapiglia di Listra dove è miracolosamente sfuggito alla morte (At 14,19-20a), Paolo, assieme a Barnaba, raggiunge Derbe (At 14,20b), per fare poi ritorno ad Antiochia di Pisidia. Questo giro missionario si trasforma in una visita pastorale di consolidamento delle comunità fondate all’andata e il rientro ad Antiochia sull’Oronte diventa occasione per valutare il lavoro compiuto. In 14,27, versetto che funge da sommario, Luca riassume tutto il primo viaggio missionario, iniziato in 13,1-3, con queste semplici parole: «Appena arrivati Paolo e Barnaba riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede». Dunque, la prima cosa che i due missionari fanno è riunire la comunità. Questa azione è descritta con un verbo composto dal termine agō, «condurre, guidare, muovere», preceduto dalla particella syn, «con, assieme», che determina la modalità dell’azione stessa. Se per la grammatica italiana questa è una preposizione semplice, che di solito introduce uno dei tanti complementi di cui è ricca la nostra lingua, per la grammatica ecclesiale è invece una preposizione “difficile” che rimanda a uno stile di fare le cose e soprattutto a un modo di essere Chiesa. Anche se gli Atti non lo dicono espressamente, mi piace pensare che Paolo e Barnaba raccolgano la comunità non solo per raccontare come sono andate le cose, tra successi e insuccessi, o per aggiungere qualche like alla pagina personale della loro attività, ma sentano piuttosto l’esigenza di analizzare e verificare la situazione assieme alla Chiesa che li ha inviati. Questo modo di fare interpella da vicino noi e le nostre comunità, spesso chiuse in una narrazione nostalgica di eventi legati a un passato che non c’è più e pertanto in difficoltà rispetto al progettare con entusiasmo, al modificare strutture e tradizioni, al guardare oltre l’esistente animati dal coraggio di rischiare qualche passo nuovo e diverso dal solito.

Tra le tante – forse troppe – richieste che oggi si fanno alla Chiesa, permettetemi di aggiungerne una: mi piacerebbe una Chiesa capace di elaborazione, in grado cioè di esaminare a fondo la situazione e sviluppare un’idea, una proposta pratica e concreta. Noi siamo molto bravi nella prima parte e lo prova il fatto che le nostre indagini sociologico-pastoral-spirituali sono assai accurate; ma facciamo fatica nelle seconda. Forse ci manca la capacità di pensare forme nuove, forse non è più tempo di limitarci a scrutare e interpretare i segni dei tempi, secondo il monito evangelico (Mt 16,2-3) ripreso dal Concilio (GS 4), ma siamo chiamati a fare sintesi di tali segni e a pensare un progetto che ci aiuti ad arrivare a un modello di azione pastorale. 

La Chiesa sta vivendo un cammino sinodale – il termine è composto da hodós, «strada, cammino» e dalla nostra particella syn – il cui scopo, secondo le indicazioni di papa Francesco, non è produrre documenti, ma «far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani». Al momento stiamo vivendo la fase della narrazione e dell’ascolto, a cui seguiranno le due più complesse e delicate, quella sapienziale, in cui verranno approfondite le tematiche emerse, e quella profetica nella quale si prenderanno delle decisioni per tracciare il cammino degli anni successivi. In questo, vedo un ottimo sistema di elaborazione pastorale che mi auguro porti qualche frutto; intanto prego perché il cammino sinodale che stiamo vivendo, e che ci coinvolgerà per i prossimi anni, non si riduca a un sinodo sulla Chiesa, ma diventi un sinodo della Chiesa.

E chiudo con un ultimo pensiero. Mi pare che il passo di At 14,27 costituisca la prima tappa di un percorso sinodale che nel prosieguo degli Atti ci mostra il volto di una Chiesa che, dopo aver ascoltato e approfondito, si dimostra capace di prendere delle decisioni e di fare delle proposte concrete. Dal mio punto di vista, questa è l’elaborazione pastorale di cui abbiamo provato a dire qualche cosa e che speriamo si concretizzi anche nelle nostre comunità.