La soglia che cambia lo sguardo
Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte (Sal 122,2)
Nel 1604 Michelangelo Merisi da Caravaggio riceve l’incarico di realizzare una tela che rappresenti la Madonna di Loreto, per la cappella Cavalletti, prima cappella laterale sinistra della chiesa di Sant’Agostino a Roma. Nell’iconografia tradizionale, la Casa di Loreto veniva rappresentata nella sua traslazione miracolosa per opera degli angeli. Sopra di essa si scorgeva in genere la Madonna con il Bambino. È così che veniva simboleggiato il ruolo che la famiglia bizantina “Angeli” aveva svolto nel trasporto di questa “reliquia architettonica” dalla Palestina in Italia, alla fine del sec. XIII. Ma il Caravaggio opera una radicale discontinuità iconografica che rivela la sua squisita penetrazione teologica.
In primo piano vediamo due pellegrini inginocchiati. Essi richiamano la coppia dei committenti, i marchesi Cavalletti, ma sono rappresentati con vestiti sdruciti e in tonalità “terrose”. Più che marchesi sembrano poveri, come i tanti poveri pellegrini che Caravaggio aveva potuto osservare a Roma nel grande Giubileo del 1600. Il messaggio è chiaro: ogni pellegrino, anche se nobile, è un mendicante, un peccatore che implora il perdono. È in questo stesso senso che vanno interpretati i piedi sporchi, quasi “sbattuti in faccia allo spettatore” in primissimo piano. Fin dalla lavanda dei piedi nel Vangelo di Giovanni, la sporcizia dei piedi simboleggia tutto il peccato accumulato sulle “polverose” strade della vita, di ogni vita. Perciò i due pellegrini inginocchiati sono delle figure di identificazione con lo spettatore.
Anche chi partecipa alla liturgia si metterà in ginocchio davanti alla “soglia” dell’area dell’altare per ricevere l’ostia consacrata. E questa esperienza sacramentale avrà in sé la tensione di una comunione col corpo di Cristo che sfugge alla percezione dei sensi. È esattamente ciò che il Caravaggio ha reso con il “quasi-contatto” fra le mani giunte del pellegrino e il piede del Bambin Gesù.
Il minuscolo spazio vuoto fra le mani del pellegrino e il piede di Gesù è in realtà il centro geometrico e tematico di tutto il quadro. Viene definita così la fede come un vuoto che coincide con il massimo della tensione. Possiamo anche dire: un incontro senza possesso. In questo senso si tratta dell’esperienza di una “soglia”, materialmente visibile sotto i piedi della Madonna.
I due pellegrini del nostro quadro, idealmente a Loreto, hanno una visione della Madonna col bambino, come era loro promesso se facevano tre giri in ginocchio intorno alla Santa Casa. Lo spettatore vede dunque la Madonna “attraverso la fede” di questi due pellegrini. Ma ciò che vediamo di fatto è una figura per la quale Caravaggio aveva utilizzato come modello una certa Lena, probabilmente una cortigiana dell’alta società romana. E infatti la sua posizione appoggiata sullo stipite e con le gambe incrociate corrisponde alla posizione delle prostitute quando aspettavano i clienti. Forse quel poco che vediamo della “Santa Casa”, rassomiglia piuttosto all’edilizia storica ma fatiscente del quartiere romano dell’Ortaccio dove proprio in quel periodo erano state concentrate le prostitute. In questo modo Caravaggio ricongiunge questo quadro alla storia precedente di questa cappella laterale. Se a sinistra della nostra tela vediamo un affresco della Maddalena penitente è perché questa cappella della chiesa di Sant’Agostino era appartenuta nei primi del ‘500 a “Fiammetta”, nota cortigiana dei Borgia. Eppure questa Madonna del Caravaggio non ha assolutamente niente di volgare. È una donna molto bella, che esprime tutta la sua fisicità e la sua femminilità, ma senza mai scadere nella sensualità. I colori dei suoi vestiti corrispondono ai colori che la tradizione iconografica riserva a Maria: il rosso della regalità e il blu del “cielo” che la ricopre. E i suoi piedi sembrano posarsi proprio in questo momento sulla soglia con una leggerezza e una purezza squisita, quasi fosse Lei a essere stata trasportata dalla Palestina all’Italia.
Il prodigio di questo quadro è dunque il seguente: guardando una donna prostituta Caravaggio ci fa vedere la Madre di Dio. Si tratta di una vera e propria “trasfigurazione dello sguardo”. La “visione” a cui è ammesso l’osservatore non è dunque un fenomeno miracoloso come quello desiderato a Loreto, ma è un “cambiamento di sguardo” che coincide con l’esperienza “liminare” della fede. La fede è quello sguardo che sa vedere la presenza divina anche in chi è disprezzato e reietto, e che sa vedere ogni casa come “Santa Casa”. Anzi, la fede è quello sguardo che come lo sguardo di Cristo “trasforma la realtà”, la trasfigura in sacramento della Sua presenza. Caravaggio invita chi partecipa alla messa in questa cappella a contemplare una “transustanziazione” che non si ferma al pane e al vino ma che raggiunge ciò che papa Francesco avrebbe chiamato le più estreme “periferie esistenziali”.
Non sapremo mai se gli “schiamazzi” della folla durante l’inaugurazione del quadro di cui parla il Baglione nella sua biografia del 1642 furono un’espressione di ammirazione o di scandalo. Ma non è vietato pensare che tutte e due le emozioni fossero presenti quel giorno e si esprimessero all’unisono. Forse Gesù di Nazareth ha sentito simili “schiamazzi” ogni volta che trasfigurava lo sguardo dei suoi ascoltatori.