N.02
Marzo/Aprile 2023

Il sì delle nostre mani vuote

La cura della vocazione nella fase anziana della vita

Chiamati alla vita dal Signore che ha chiesto ai nostri genitori di portarci alla luce e di condurci nei difficili meandri dei primi passi e della prima crescita: tutta la nostra vita, la vita semplicemente umana, è solcata da misteriosi appelli a cui spesso non sappiamo dare un significato. Eppure ci hanno modellato il carattere, i gusti e la personalità. C’è dunque stata una chiamata prima che noi, attraverso una coscienza che cresceva e maturava, potessimo percepire una qualunque vocazione. La vocazione è fatta di avvenimenti apparentemente casuali che stimolano le nostre decisioni. Diamo delle risposte che spesso non sono frutto di riflessione; talvolta lo svolgimento della vita ci sorprende perché ci chiede delle risposte che non sono sempre ciò a cui il nostro istinto, il piacere o la voglia ci condurrebbero. La vita si presenta davanti a noi come una cosa seria, una domanda a cui occorre dare una risposta pensata e voluta e che coinvolgerà un futuro che non è ancora nostro. Quali sono le possibili chiamate o proposte del Signore dopo una certa età, quando si comincia a pensare che ormai il gioco è terminato e ciò che è stato è stato e il futuro non ha nulla da riservarci?

La prima risposta è senz’altro quella di sfatare l’impressione che la vita sia terminata: anche quando rimangono pochi minuti di vita possiamo vivere e scoprire che c’è ancora una vocazione. Infatti una vocazione richiede sempre un “sì” a qualcosa di concreto, un sì che ci permette di vivere da protagonisti ciò che la vita ci impone. Non possiamo lasciarci rubare neanche un pezzettino della nostra vita. E questa è una diretta conseguenza di tutti i “sì” e “lo voglio” o i “d’accordo” che abbiamo detto al Signore e alla vita che ci dava, proponeva o… imponeva.

Un grande “sì”, non certo facile, occorre dirlo quando, a volte improvvisamente, a volte gradualmente, ci accorgiamo che stiamo perdendo le forze, qualche capacità, quando diminuisce la memoria e la prontezza nel rispondere a delle domande. È un momento molto importante della vita e non bisogna perdersi d’animo nell’accorgersi che tante cose non stanno andando come avremmo pensato. Invece di cadere nella lamentela, nella chiusura, nell’amarezza o nel rimpianto, col rischio di diventare acidi o aggressivi, è “da vivi” chiedersi quale vocazione ci viene proposta.

Ci sono delle diminuzioni che ci spronano alla ricostruzione, alla ricerca, a inventare qualcosa di nuovo; molti successi vengono da degli scacchi subiti e combattuti. Ma nella tarda età le cose non vanno più così: quello che si perde non è il successo, la riuscita, la grinta e quanto ha aiutato a vivere, e non solo a sopravvivere, alle diminuzioni e ai fallimenti che si sono presentati ad ogni svolta della vita. Quello che si perde non lo si ritrova più e forse non si ha neanche più voglia di ritrovarlo: forze fisiche, lucidità della mente, capacità di fare più cose insieme, voglia di intraprendere o di divertirsi, la necessaria aggressività per far fronte alle situazioni negative. Si vive con la coscienza che alcuni pezzi del meccanismo che ci sosteneva non sono più in commercio!

La tentazione è di rinchiudersi nella tristezza, ma questa non è mai una vocazione. Quando le nostre mani non possono più stringere la vita e modellarla, o almeno cercare di modellarla secondo la propria arte, bisogna lasciare che il Grande Artista prenda in mano le cose ed entrare, come un bambino piccolo, nell’opera del genitore, in un gioco che non è più il nostro ma non per questo è meno vivace ed appassionante.

Tutto viene dalla rinuncia ad essere proprietario della vita. Questa è la grande ed ultima vocazione, dare la propria vita, offrirla con tutto l’amore con cui la si è vissuta, sapendo che non c’è nulla di più bello che la nostra realtà. Allora si scopre quanto tutta la vita è stata dono e quanto quello che credevamo di aver fatto in modo grandioso è stata ben piccola cosa nel grande arazzo della nostra storia. Siamo chiamati ad essere spettatori e ammiratori di qualcosa che ci ha sempre fatto paura: le nostre mani vuote.

Ogni vocazione si batte contro una paura, perché in ogni vocazione si scopre che bisogna lasciare all’altro un po’ o molta parte dell’iniziativa della vita. La tentazione è quella di dire: a queste condizioni non gioco più. Mentre il gioco inventato dall’Altro è più appassionante di quello che abbiamo costruito noi per tutta la vita. Ci apre un nuovo orizzonte, ci toglie dai variopinti ed evanescenti orizzonti creati dalla nostra fantasia e ci fa scoprire, giorno dopo giorno, un piccolo dono che ci permette di vivere solo il momento presente. E domani? La vocazione nella fase anziana della vita è proprio quella di essere un sì continuo, un sì di piccoli passi. Finora la vocazione è consistita nel dire “Eccomi, manda me, sono pronto”, ora non lo si può più dire. Si è compreso che la risposta al salmo 39, ripreso nella Lettera agli Ebrei: “Ecco perché Cristo, entrando nel mondo, disse: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, ma mi hai preparato un corpo; non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, vengo (nel rotolo del libro è scritto di me) per fare, o Dio, la tua volontà»” (Eb 10,5-7), ormai tocca l’essenziale, l’assoluto. Ciò che dipendeva dall’uomo, anche se necessario per esprimere l’amore, ora deve lasciare il posto a qualcosa che va oltre le forze umane: la volontà di bene del Signore per il mondo intero è libera di agire nella mia persona che non può più offrire né sacrifici né offerte.

Ancora una volta scopriamo che la vocazione non è un programma, ma una porta che si apre in un mondo di cui non siamo padroni, ma che ci invita a vivere, in qualunque condizione siamo. E la chiave della porta è sempre il sì, detto sempre più con un fil di voce, ma con un cuore che ormai è senza riserve, libero dalle paure che l’hanno perseguitato per tutta la vita. La paura viene dalla ricchezza e quando si è finalmente arrivati a dare tutto, non a perdere tutto, non si ha più paura. L’ultima vocazione è questa ed è quella in cui si ama di più, con un senso di assoluto che non si era ancora conosciuto. Non ha limiti spazio-temporali perché è possibile viverla solo nel momento presente, con le mani vuote, disarmate, che sanno solo carezzare. Non hanno più la forza di colpire e sono arrivate ad esserne contente.

Sì c’è ancora una vocazione e quanto è bella! Quando l’età ha fatto chiudere i tanti sipari del protagonismo, dell’affarismo, della conquista, lasciando una profonda nostalgia dell’Assoluto, sempre cercato, ma mascherato da tante proiezioni che la vita sulla terra ha buttato alla rinfusa nella nostra testa e nel nostro cuore. E questa nostalgia rimane, sempre più dolce, ma mai appagata, perché l’assoluto e ancor più l’Assoluto rimane al di là del raggiungibile finché siamo ancora ricchi di un leggero soffio che mette vita nel nostro corpo.

Ma, proprio per questo, ciò che ci rimane è la cosa che umilmente e silenziosamente è stata sempre la più bella nella nostra vita: il desiderio.

Il desiderio può salire là dove non siamo mai stati capaci di andare. Anche il desiderio è una vocazione da non lasciar spegnere. L’età della grande diminuzione non ha il diritto di lasciar svanire o nascondere la grandezza di cui l’uomo è fatto: la capacità di raggiungere una bellezza che, sola, dona la felicità. E, nel cammino della vita, se ne hanno tanti assaggi.