Pablo Domínguez Prieto
Il dono di una porta che si apre: vocazione alla vita eterna
Il Moncayo è un rilievo del “Sistema Iberico”, la catena montuosa che corre tra l’Andalusia e la Castiglia e León: con i suoi oltre 2.300 metri si staglia da lontano e, per l’altitudine, presenta livree diverse al variare delle stagioni. In inverno la sua ampia cima innevata è inconfondibile mentre, in quota, il ghiaccio è molto e richiede esperienza agli alpinisti che ne tentano la vetta.
Non troppo lontano dal Moncayo si trova, a Tulebras, un antico monastero con radici nel XII secolo e un’ininterrotta storia di stabilitas orante dal 1156. Nel febbraio 2009 vi arriva un sacerdote quarantaduenne preceduto da molti titoli accademici, tra cui un dottorato in Filosofia all’Università Complutense di Madrid e il ruolo di (giovanissimo!) decano dell’Istituto teologico madrileno di San Damaso: Pablo Domínguez Prieto. Esperto di Logica e Filosofia della Scienza, con studi anche in un’università laica (sempre in ascolto delle domande e delle polemiche dell’uomo lontano da Dio), Pablo è preceduto soprattutto dalla fama di sacerdote integro che vive con il Cuore di Cristo nel cuore del mondo, «uomo completo, tutto d’un pezzo», con un’«allegria sicura, nata dal sapere Chi è colui che ti cerca, Colui che ti ama».
Le monache trappiste lo hanno invitato a predicare gli Esercizi spirituali ed egli vi imprime un preciso ritmo: «Eviteremo qualsiasi teorizzazione, qualsiasi espressione che sia puramente intellettuale, anche se useremo la ragione». «L’esperienza di Dio nasce» infatti «dal nostro essere, dalla totalità della persona».
In quei giorni, affidando gli Esercizi alla materna intercessione di Maria, commentando la Parola, avvalendosi di storie di vita – tutte serissime, alcune velate di folgorante comicità (dal bambino che aveva rischiato di cadere dalla sedia per “fare posto a Dio”, all’altro che propose di “aprire la scatola” cioè il Tabernacolo, all’altro ancora che riconobbe Giovanni Paolo II quando riuscì ad andare a sciare in incognito, e fu messo a tacere nel panico generale) – Pablo Domínguez Prieto conduce le consacrate a un rinnovamento radicale dello sguardo su di sé, nella contemplazione stupita dell’Amore immenso di Dio, della sua bontà, della Sua Presenza nel quotidiano.
In quei giorni del febbraio 2009, pare che egli voglia ripercorrere ciò dinanzi a cui il Cristianesimo comincia a essere una buona notizia perché smette di essere parola edulcorata per anime in cerca di facile rassicurazione: insiste per esempio sulla libertà, inoltre commenta il brano evangelico delle tentazioni… «La cosa peggiore che possiamo fare nella vita cristiana – spiega – è “metaforizzare” le cose, non renderci conto che si tratta di realtà»; «Questo è il problema: pensare che la Croce sia una specie di genere letterario […]. Ma non è così».
Insiste allora su ciò che si vorrebbe mettere per ultimo, inverte l’ordine e obbliga ad affrontare quel che fa più paura: la vita cristiana infatti «non è facile […]; ha le croci, ma è bellissima». Il punto sta nel prenderla sul serio, nel viverla in ogni aspetto. Don Pablo dice: «Ogni dettaglio è meraviglia». Ammonisce a non abituarsi alle cose sante, a ricordarsi che «fare un viaggio da soli è piuttosto noioso, mentre farlo con una persona sorprendente […] è meraviglioso. Penserai sempre: “Che cosa accadrà oggi?”»: ed è questo che avviene con Dio.
Dedica uno spazio anche alla riflessione sulla morte, quell’argomento così serio che spesso se ne scherza per esorcizzarlo, mentre vi si dovrebbe familiarizzare.
Le trappiste ricordano come agli Esercizi don Pablo ne abbia parlato in modo nuovo: «La morte non è un tema. La morte è la porta e la cosa importante è quello che c’è oltre: la vita eterna». Importante è il regalo nascosto dietro, anche se aprire quella porta accade in modi diversi, alcuni più dolorosi di altri: solo una vita che desideri ardentemente il dono dietro la porta e si disponga ad accoglierlo diventa piena nell’oggi, senza sciupare un solo istante.
Forse per questo la vita di don Pablo è stata tutta una corsa, tutta un camminare senza rinviare né rinunciare, vivendo un grande “sì”, predicando il Vangelo senza interruzione, impegnandosi nella pastorale, attuando la frase pronunciata il giorno della sua ordinazione sacerdotale: «Io non mi appartengo più». Allora anche la presenza alla Trappa di Tulebras non può essere sciupata: dà lì il Moncayo – l’ultima vetta che gli manca di salire nell’area – è troppo vicino per rinviarne l’ascesa.
Così il 15 febbraio mattina, recitata una parte del Breviario con la comunità monastica, si raccoglie in preghiera silenziosa. Salirà sulla vetta: ad accompagnarlo la consacrata laica, amica, alpinista, medico, docente universitaria Sara de Jesús Gómez, quel giorno l’unica presente di un gruppo con cui condivideva la passione per la montagna. Chiede alle Trappiste il Pane e il Vino per celebrare la Messa in quota, come era solito fare. C’è ancora il tempo di scherzare, di qualche saluto: Pablo adora il cioccolato e le suore non possono certo farglielo mancare. A una di loro raccomanda di pregare per lui e lei lo farà, rasserenandosi solo a sera quando dice: «Sarà a casa, non gli è successo nulla». Ma Pablo non era tornato a casa…: aveva “aperto la porta”.
Sul Moncayo, raggiunta la vetta, l’avviso alla famiglia era stata la sua ultima telefonata. La Santa Messa, senz’altro celebrata, l’ultimo atto essenziale della sua vita. Con Sara – come dirà l’esame medico obiettivo – era precipitato, sul duro ghiaccio. Molto probabilmente la prima a scivolare mentre camminava in un tratto esposto era stata lei: don Pablo è verosimile abbia provato ad aiutare, senza farcela né per lei né per sé. Una persona lo rivedrà col volto sereno e pieno di bellezza, sperimentando senso di reverenza verso quel corpo che era stato tempio dello Spirito Santo e in cui tutto parlava della consacrazione.
Il giorno prima, predicando gli Esercizi, Pablo aveva detto: «Di solito, nei passi più difficili, il primo è il più debole. […] il più umile va per ultimo […] perché se uno inciampa, immediatamente deve aggrapparsi al suolo e così si salva. Per questo motivo, nei passi più difficili, si cambia la direzione della cordata, e si mette il più forte per ultimo e il più debole – o perlomeno il meno esperto – per primo». «Nella vita come nella cordata, gli ultimi posti sono i più importanti. In effetti, è nostro Signore Gesù Cristo che ci assicura; per questo procediamo tranquilli. Ma insieme a Lui c’è la Vergine Maria».
Per tutta la sua vita sacerdotale, egli aveva inteso portare le anime con ogni mezzo – la preghiera e lo studio, il calore umano e la simpatia – al dolce vincolo di quell’unica cordata dove si è al sicuro, perché Gesù e Maria, all’ultimo posto, regalano la libertà del cammino e la certezza di non essere mai soli.
Al funerale partecipano, con 3.000 fedeli, ben 26 vescovi. Dall’ultimo posto, oggi don Pablo Domínguez indica la strada che conduce “alla vetta”: l’incontro con Gesù.
[…] ogni giorno veniamo indirizzati dallo Spirito
in situazioni molto diverse da quelle che sceglieremmo. […].
Ogni giorno della nostra vita significa decidere di dire sì a Dio,
scegliere Lui in differenti circostanze.
Un monastero è il cuore dell’evangelizzazione […].
Non è necessario vedere i frutti perché questi esistano.
Dagli Esercizi spirituali predicati da don Pablo
alle Trappiste poco prima di morire
Pablo Domínguez Prieto nasce a Madrid il 3 luglio 1966 in una famiglia aperta al dono della vita e della fede. Plasmato sin da bambino dall’esperienza di Dio, è ordinato sacerdote il 20 aprile 1991 a 24 anni. Filosofo e teologo, decano del Centro di studi teologici “San Damaso” di Madrid, Pablo è anzitutto un prete, uomo di relazione con Dio e i fratelli. Appassionato di montagna, muore sul Moncayo il 15 febbraio 2009 a 42 anni. Oggi è ricordato come sacerdote esemplare, vero amico, testimone di eccezionale valore di Cristo e del suo vangelo. Per conoscerlo: Testamento spirituale. Fino alla cima (San Paolo, Cinisello Balsamo [MI] 2014); il DVD La última cima (a cura di Juan Manuel Cotelo). Numerosi i filmati disponibili in rete. Emilia Flocchini ne parla su santiebeati.it.