Close, tra infanzia e adolescenza
Lukas Dhont fotografa il processo di crescita tra fedeltà a se stessi, cambiamenti e sensi di colpa
Un gioco contro nemici invisibili e una corsa tra i prati in fiore: è così che comincia Close, la seconda opera di Lukas Dhont, l’enfant prodige del cinema belga, dedicata a quel tempo misterioso che si frappone tra l’innocenza dell’infanzia e la sua irrimediabile perdita nell’adolescenza. Una storia lunga un anno tracciata dalla doppia partitura della natura floreale della campagna fiamminga (i luoghi d’origine del regista) e dalle musiche originali del compositore Valentin Hadjadj nella quale i giovani protagonisti Leo e Remi, immensi nelle loro interpretazioni, cercheranno letteralmente di sopravvivere, con esiti diversi, di cui qui manteniamo il giusto riserbo, a questo inesorabile rito di passaggio. Uniti da un’amicizia strettissima, quasi da farne un’anima sola, ma con due temperamenti, i due tredicenni entrano nella scuola “dei grandi” dove la tenerezza del cuore e dei corpi che li caratterizza viene subito intercettata e giudicata fino a darle un nome.
Il regista dell’autorevole Girl, il suo esordio al cinema del 2018, invita con Close ad attraversare una nuova sfida: meditare, sostenuti dai turbamenti della musica, le reazioni divergenti dei due ragazzi, entrambi impreparati alla lettura amorosa che viene fatta della loro intensa amicizia. C’è un cambio di passo attorno a loro che impone una forzata decodifica del paesaggio affettivo dei protagonisti con nuove regole e codici e sebbene questa lettura avvenga talvolta senza cattiveria, essa risulta comunque aggressiva e disorientante, dividendo per sempre l’unità dell’infanzia. Non ci sono genitori sporchi, brutti e cattivi alle spalle di Leo e Remi come non c’erano nemmeno in Girl. Dhont non è, infatti, interessato alle denunce sociali, non è quella la sua firma, ma a far riflettere sottovoce e senza mai esimersi dai dolori più tragici quando lo spingere l’acceleratore sul definire gli altri diventa una cattiva strada che può schiacciare per sempre i più sensibili e irrigidire anche i più miti. In una ritmica quasi perfetta tra primi piani e movimenti, Close annuncia il tema della “mascolinità”, più spesso disatteso tra polemiche e letture ideologiche, di cui dovremo, invece, provare a farci carico con la solida gentilezza di Dhont per affrontare con serenità il futuro dei nostri figli e i loro processi di crescita.
Schermi paralleli. Un’amicizia speciale brilla nel film Le otto montagne di Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, dal romanzo Strega di Paolo Cognetti. Premio della Giuria al 75° Festival di Cannes, Le otto montagne è un’ode alla montagna e ai suoi silenzi, così come un raffinato viaggio nelle pieghe dell’animo umano, nei sentieri di un’amicizia che lega per la vita. Luca Marinelli e Alessandro Borghi, in un’interpretazione di rara bravura, nei panni di Pietro e Bruno, del ragazzo di città e di montagna, portano sullo schermo fame di vita e insieme tormento, la gioia per un paesaggio che toglie il fiato e la paura per un futuro indecifrabile (di Sergio Perugini).