La sete d’infinito
Complementarità tra ordine e matrimonio
Il percorso dell’esistenza, per ciascuna generazione umana, realizza un’evoluzione costante; e, per ciascun vivente, constata una progressione continua: nelle esperienze, nelle competenze, nelle realizzazioni, nei vissuti; ma bisogna pur accettare che tutta questa dinamica non riesce a liberare l’uomo che si affida alle sole sue forze, segnato dalla finitezza, dalla caducità, in ultima analisi, dalla morte. L’uomo di sempre, da solo o con altri, si trova come rinchiuso in una condizione inesorabile che, con qualunque sforzo fisico o intellettuale o religioso, e neppure abbandonandosi ad un remissivo fatalismo, riesce a superare.
Solo l’Incarnazione e la successiva morte e resurrezione di Cristo spalanca finalmente all’uomo le porte dell’eternità, realizzando il suo anelito di infinito: il Figlio di Dio con la sua divino/umanità si trasfigura nella natura umana concreta. Per noi uomini, quindi, in un incessante “già e non ancora”, la prospettiva di eternità si fa presenza, resa attualità in ogni aspetto della vita terrena quotidiana che da sempre, nella sua più profonda componente dell’anima, anela al compimento definitivo.
Con la scelta del santo battesimo noi siamo immessi nella vita spirituale, anticipo, o gestazione, di quella completezza di eternità a cui, attraverso la morte fisica siamo incamminati: la vita spirituale diviene allora l’unica possibilità data all’uomo di realizzazione dell’umano/divino. Noi, così, non siamo più definiti nell’intelligenza, nella volontà, nell’emotività, ma da un io che non ha più nulla da difendere per sé, sa di essere rinato dall’alto, nella misericordia di Dio, perciò veramente, totalmente e definitivamente libero.
Ordine e matrimonio
La vocazione dell’uomo sulla terra diventa così la modalità propria di ciascuno di investire totalmente la propria identità, in ogni sua componente, capacità, stile, volontà, pur con i propri limiti e le inevitabili reiterate contraddizioni, nella risposta a questa relazione fondante (“io non sono più io, ma il tu di Dio”) dell’esistenza; che si apre automaticamente alla relazione con chi mi è accanto e che con me attinge e si nutre di un pieno rapporto comunionale.
Il cammino della maturazione e della possibile realizzazione personale della vocazione può passare allora anche attraverso due sacramenti: l’ordine ed il matrimonio. Partendo dalla contemplazione del sacerdozio di Cristo che unisce l’umanità al Padre, ne consegue che il matrimonio è la manifestazione dell’umanità unita in Cristo al Padre; ed il sacerdozio ministeriale è servizio a questa umanità a partire dalla comunione con Dio.
In altre parole, i due sacramenti (segni concreti della presenza di Dio nella realtà), in sé hanno due significati diversi e complementari per la vita di comunione e quindi di missione. L’ordine è per il servizio e l’annuncio; il matrimonio per la testimonianza e l’espressione della manifestazione e rivelazione (una parabola) dell’unica unità indissolubile, quella di Cristo con la Chiesa, di Cristo con l’umanità.
Anche nella stessa Scrittura possiamo trovarvi diversi passaggi che presentano la complementarità tra queste due vocazioni: guardiamo per esempio all’accoglienza spirituale reciproca tra Paolo ed Aquila e Priscilla (cf. At 18; Rm 16, 3-5).
Ai giorni nostri, vivendo nelle nostre comunità locali la chiamata ad essere discepoli autentici, diverse sono le esperienze e le occasioni dove respirare la bellezza di questo “mistero grande” rappresentato dalla profonda relazione tra ordine e matrimonio. A noi personalmente è dato di vivere l’esperienza del Sicomoro[1], dove si tocca con mano che la proposta del sacerdote si complementa con l’accoglienza degli sposi, per una realizzazione della loro vita innanzitutto e, conseguentemente, per la testimonianza: infatti, inserita nella comunità locale, questa esperienza porta naturalmente a creare un concreto ambito dove ragazzi e ragazze, che si affacciano al desiderio di una realizzazione e di un compimento della loro strada, possono trovare, nella gratuità e nella libertà, un luogo di semplici relazioni ma anche concreti stimoli di riflessione e di crescita.
Spesso ci accade di vivere sofferenze date da crisi di identità (vocazionali) disorientate e disorientanti: ci pare di poter constatare che raramente sono legate a fattori terzi o a disconoscimento di fede o di valori; ma spesso sono il risultato di povertà di relazioni franche e di affettività vera ed equilibrata; in una parola, matura. Ora, fatto salvo che è profondamente umano non disconoscere il limite e la possibile contraddizione che c’è in ciascuno di noi, è possibile valutare ed evidenziare che una vocazione sacerdotale rischia, se non porta con sé una certa nostalgia del matrimonio; come pure una vocazione matrimoniale rischia, se non porta con sé una certa nostalgia per la consacrazione sacerdotale: perché pensiamo che individuare e “coltivare” questa nostalgia può far assumere al vissuto non il significato di un rimpianto, ma di uno stimolo importante e costante alla prioritaria e definitiva scelta nel Padre. Infatti solo la rinnovata e confessata esperienza della figliolanza, porta all’incontro con l’alterità (sia nell’ordine che nel matrimonio), non più secondo il proprio vissuto, la propria volontà, i propri calcoli, il proprio controllo e il proprio riscontro, ma secondo il modo di Dio che unisce le persone in modo pasquale; una comunione non “in funzione di me”, ma come “dono di sé”.
La Croce resta e costantemente rappresenta il punto di passaggio certo e redentivo della nostra esistenza terrena nell’eternità. La presenza dei sacramenti alimenta nel quotidiano vivere la realtà dell’Incarnazione, la cronaca della presenza di Dio nella storia: in un’immagine, se il battesimo è la radice del “legno”, la riconciliazione e la confermazione sono la stele del “legno”, l’eucarestia ne è il centro, l’unzione degli infermi la cifra definitiva, mentre l’ordine ed il matrimonio sono le due braccia del “legno” che, insieme, si aprono (annuncio – testimonianza) al mondo, assunto e redento definitivamente nella Pasqua.
[1] La proposta nasce nella Diocesi di Como ed offre ai giovani desiderosi di approfondire la propria ricerca vocazionale uno spazio allo stesso tempo raccolto e familiare, religiosamente ben caratterizzato ma non avulso dalla realtà della vita quotidiana. L’esperienza del Sicomoro vuole essere una comunità semiresidenziale di vita cristiana e fraterna nella quale i ragazzi di un determinato territorio vivono per una settimana al mese accompagnati nel loro cammino di fede e di crescita vocazionale da una équipe di educatori formata da un sacerdote e da una coppia di sposi. Per approfondire si veda: M. Gianola, «Cercava di vedere chi era Gesù» (Lc 19,3). Una proposta di seminario minore, «La Rivista del Clero italiano», 2014, XI, 791-800.