Essere giovani oggi
Chi si può considerare giovane? Non è facile rispondere a questa domanda, perché negli ultimi decenni la condizione giovanile è mutata profondamente e l’età cosiddetta “giovane” si è prolungata e continua a prolungarsi. Fino a che età si è giovani? Le ricerche svolte negli ultimi anni rilevano che ci si considera giovani, nella propria personale percezione, fino ai 40 anni e anche ben oltre. Di fatto, generazioni che possiamo considerare per molti versi diverse condividono la stessa etichetta, quella di “giovane”. Convenzionalmente, si considera che siano sei le generazioni oggi viventi: dai Maturist alla generazione Alfa. Generazioni che si susseguono in maniera molto veloce, in relazione anche e soprattutto ai mutamenti della tecnologia che, mettendo a disposizione nuovi modi di comunicare e di conoscere, hanno un’influenza molto importante nei processi di socializzazione e nei processi di globalizzazione, che hanno innescato profondi processi di cambiamento nella società mondiale. Ogni generazione porta nel suo bagaglio conoscitivo strumenti differenti da quelli che l’hanno preceduta, diversi modi di fare, di pensare, di percepire la realtà che la circonda, perché cresce e vive in contesti storico-culturali ed economici diversi. Come accennato – e considerando i limiti di tale generalizzazione – possiamo distinguere sei generazioni oggi viventi: i Maturist – coloro che sono nati tra le due guerre del secolo scorso, prima del 1945 – che rappresentano una generazione che ha vissuto nel pieno della modernità e ha fatto esperienza diretta della guerra; i Baby boomers, nati negli anni successivi, alla fine della Seconda guerra mondiale (1945-1960), che hanno vissuto la ricostruzione, il grande entusiasmo della ripresa, la speranza in futuro migliore e diverso. La generazione successiva, cosiddetta X (1961-1980), è rappresentata dagli attuali quarantenni, coloro che hanno sperimentato i primi vagiti delle nuove tecnologie, i primi personal computer. Gli anni Ottanta e Novanta del ‘900 sono stati gli anni della loro socializzazione, quando la fiducia nella possibilità di un positivo inserimento nella società, raggiunta l’età adulta, era ancora forte e molto diffusa. I Millennials, anche detti Generazione Y (1981-1994), sono coloro che hanno subito per primi un arretramento della propria condizione sociale ed economica rispetto a chi li ha preceduti, e sono anche la prima generazione che ancora oggi si considera “giovane”. Sono stati socializzati anch’essi, come la generazione che li ha preceduti, all’idea che, impegnandosi, avrebbero potuto migliorare la propria condizione, ma la crisi economica del 2007/2008, unita ad altri fattori di crisi, ha stravolto queste aspettative. I Millennials sono stati tacciati di essere bamboccioni, fannulloni, choosy, sdraiati, addirittura una generazione perduta e comunque silenziosa. Hanno fatto grande fatica e ancora ne fanno, per acquisire una posizione sociale almeno relativamente stabile. Hanno vissuto nell’età della formazione le prime conseguenze dei processi di globalizzazione, le avvisaglie di quella che è stata chiamata, con una metafora notissima, la società liquida. La loro lontananza dalle istituzioni sociali, dallo Stato alla Chiesa è, pur rientrando nel più vasti processi di mutamento sociale, già da tempo nota. Sono oggi i giovani meno giovani di tutti e sono stati presto seguiti dalla generazione Zeta (1995-2010). È la generazione del “tablet”, quella che ha avuto, dal momento della nascita, la possibilità di collegarsi alla Rete e di esplorare il mondo attraverso uno schermo. Sono cresciuti nel nuovo millennio, da subito consapevoli che la società nella quale sono nati non è più così disponibile nei loro confronti nel garantire loro le sicurezze che hanno contraddistinto le generazioni precedenti. A loro viene riconosciuta maggiore capacità di attivarsi, sia nella prospettiva del proprio percorso personale sia a livello collettivo, intorno a temi sociali emergenti e per loro particolarmente rilevanti: uno su tutti l’ambiente. Una generazione che conosce le caratteristiche del mondo del lavoro attuale che non riserva loro la stabilità di un tempo, che sa di vivere in una postmodernità in cui legami, regole e anche identità sono continuamente negoziati e negoziabili, spesso quindi connotati da reversibilità e precarietà. È una generazione che comincia ad avere a che fare direttamente non solo con la virtualità vissuta come vera e propria dimensione della realtà, ma anche con quella intelligenza artificiale che promette di cambiare i modi di produzione e anche le pratiche quotidiane, il mondo della formazione e, più in generale, il modo di conoscere dei più giovani, segnando un’ulteriore frattura intergenerazionale. Certamente questo tema sarà di particolare rilevanza per la generazione che segue, quella denominata Alfa, i nati dopo il 2010.