N.03
Maggio/Giugno 2024

Carlo Salerio

Ovunque è missione

L’8 giugno 1856, Carlo Salerio – sacerdote trentaquattrenne – rientra nella sua Milano da cui era partito 4 anni prima. Arriva dall’altra parte del mondo (Woodlark, in Oceania): aveva fatto tappa a Sidney ed era usurato dall’esperienza missionaria. Carlo era un uomo profondamente diverso dal ragazzo del 1852: allora sfoderava – sotto il suo Saturno da prete – lo sguardo sicurissimo, sgranato sul mondo, fiero, di un giovane cui la vita sembrava arridere, pronto a sollecitare persino a Roma una destinazione e non un’altra, in Oceania a sostituire i Padri Maristi e non a Corfù. Ora era divorato nel corpo e nell’anima – “magro come un chiodo” –: Giuseppe Marinoni, Direttore dei missionari, resta allibito vedendoselo comparire innanzi ed è costretto ad abbracciarlo con cautela «per non romperlo». Padre Carlo Salerio ritornava a casa in veste d’un «Ulisse» che non tutti riconoscono e pare aver intonato il Canto di Ezechia (Isaia 38): «La mia dimora è stata divelta e gettata lontano da me […]. Come un tessitore hai arrotolato la mia vita, mi hai tagliato dalla trama. Dal giorno alla notte mi riduci all’estremo».

Era nato nel capoluogo lombardo, il 22 marzo 1827, penultimo figlio di Paolo e Carolina Sassi, mercante di stoffe il padre e cucitrice la mamma. «Occhi neri e penetranti, sguardo spavaldo, facile agli scherzi e alle birichinate, Carlo [bambino] è pieno di impeti, scatti e dispettucci genialmente architettati»: lo chiamavano il “folletto”, l’avrebbero voluto più calmo, ma in fondo gli volevano bene, perché dietro una vivacità tutta da moderare era naturalmente orientato agli altri. Il “folletto” si merita infatti il soprannome di «cuore buono» ed è nella preghiera che cresce, mostrandosi allora del tutto diverso: «Quando prega – si nota – non sembra più lo sventato di prima». Aprono per lui una strada, senza avvedersene, i fratelli maggiori Giovanni (sacerdote diocesano) e Luigi (religioso del Fatebenefratelli, medico): quando Carlo “cuore buono” e “folletto” ha dieci anni, Giovanni è ordinato prete e Luigi emette la Professione. Sono ricordi indelebili, che scavano in lui uno spazio di più profonda esperienza del mistero di Dio e lo orientano al “sì”. Entrato egli stesso nel seminario arcidiocesano di Milano, vi è seminarista in anni di fuoco per le sorti d’Italia, né si tira indietro quando l’appello antiaustriaco risuona tra le volte ove i chierici studiavano, pregavano o si dedicavano all’assistenza ai feriti delle “Cinque Giornate”. Carlo seminarista è in prima linea tra quelli che edificano uno sbarramento – poi divenuto celebre – presso Porta Venezia allora chiamata “Porta Orientale”. La barricata, progettata dal diacono Antonio Stoppani (poi geologo di fama mondiale) venne giudicata da Visconti Venosta, più tardi Ministro degli Esteri dell’Italia unita, «la più formidabile di quante ve ne fossero in tutta Milano»: i seminaristi, solo all’apparenza quieti, avevano sradicato i lastroni dei marciapiedi, bloccando il corso con una linea difensiva dell’altezza di parecchi metri. Anche nella successiva battaglia di Mantova è Carlo, con altri, a distinguersi: il re Carlo Alberto batterà personalmente la mano sulla sua spalla di portabandiera.

Alta egli tiene la bandiera anche nel cammino di consacrazione: diacono il 25 marzo 1850, è consacrato sacerdote il 25 maggio successivo, insieme a Giovanni Battista Mazzucconi. E col Mazzucconi, suo amico, morto martire pochi anni dopo, cerca qualche cosa di più: la prima linea anche nel sacerdozio, spingendosi oltre i limiti, rifuggendo la vita tranquilla di un ministero milanese dove – pure – aveva mille agganci ed era assai stimato. Nasce in questo periodo, da un’intuizione di padre Angelo Ramazzotti degli Oblati di Rho – e Mazzucconi e Salerio ne diverranno parte – il Seminario per le Missioni Estere di Milano (nel 1926, unito al Pontificio Seminario delle Missioni Estere di Roma, avrebbe originato il “PIME”).

Era dunque come missionario che egli in quel 1856, magro come un chiodo, tornava a casa. Rifiuto del vangelo, disprezzo del sacerdote, morale molto povera, sostanziale estraneità alla civiltà… avevano reso incomunicabile l’esperienza dell’annuncio apostolico in quelle terre.

Giovane, con un passato di insuccesso e scarse prospettive a motivo della salute rovinata, Carlo Salerio ora non sa cosa fare: «Tanto fracasso, tutto finito in una farsa!», ammette con la schiettezza del portabandiera costretto a riconoscere la sconfitta. Se gli abitati di Woodlark erano stati sordi all’appello (chiusi e autoreferenziali – viene osservato – valutandosi al centro del mondo e credendosi migliori degli altri, perciò stesso impermeabili a ogni annuncio di salvezza), anche tra le fila dei missionari c’erano stati errori: il Salerio li evidenzia con quella franchezza che non gli era mai mancata, indicando soprattutto come al missionario occidentale convenisse una più grande semplicità di vita.

Inizia così, per lui, una profonda conversione: una discesa alla radice di se stesso, del suo ruolo, della sua vocazione. E del vero Carlo. Lui che «teneva tutti in soggezione col solo suo sguardo», ma non era riuscito a conquistarsi la fiducia dei cuori, ora abbassa lo sguardo, diventa umile. Scrive: «Il Signore ha colpito di vergognosa sterilità il mio ministero». Poi si rivolge ai Padri, forse esagerando la propria colpa, certo riconoscendo di dover essere accompagnato nella grazia di un nuovo inizio: «Padri, ho attristato i vostri giorni, ho disonorato una bandiera che non suol condurre che i prodi […]. Perdonatemi! Se vi ha ancora un posto o inutile o di estremo periglio, è il solo che mi conviene; non per presunzione, ma per bisogno, coll’ansia di riguadagnare il perduto e di rimeritarmi d’essere ancora uno dei vostri figli: l’ultimo, pazienza, ma pur tra questi».

È la “conversione”, intesa come un ribaltamento profondo, una guarigione dello sguardo. In quel momento, a padre Carlo Salerio si aprono due strade: restare incentrato sul passato, in un dolorismo sterile; o mettere il proprio cuore ferito e riconciliato a servizio della speranza, missionario non in terre lontane, ma ovunque Dio si faccia amare nel volto del fratello.

Si radica in questa morte-per-una-nuova-vita il suo carisma di Fondatore: le Suore della Riparazione, nate dall’incontro con Carolina Orsenigo – cofondatrice – e il carisma di Anna Maria Marovich, ispiratrice e poi partecipe dell’Istituto. Il Cuore Immacolato di Maria, l’Adorazione eucaristica perpetua, il soccorso di carità alle ragazze sole, disagiate, abbandonate…: Carlo Salerio ha compreso che la vera riparazione si fa con la carità, che Gesù passa ancora e chiede; che si può essere missionari senza attraversare il mondo.

Sacerdote stimatissimo, sempre partecipe di tanti eventi dell’Arcidiocesi e ‘amico’ di santi (il beato martire Giovanni Battista Mazzucconi, il beato Luigi Biraghi di cui fu figlio spirituale, il Venerabile Angelo Ramazzotti, la Venerabile Anna M. Marovich), Carlo Salerio è stato dichiarato “Venerabile” nel 2019: non perché privo di difetti, ma perché grande nel percorrere il cammino di ritorno alla casa del Padre misericordioso, umile nel ricominciare dagli errori, sacerdote di carità ardente nella quale gettare ogni scoria, affinché tutto fosse purificato e una vita nuova sgorgasse per molte anime.

 

«Il buon Dio non usa togliere i difetti nemmeno dalla vita dei santi che finiscono sul calendario: è (quasi) consolante per noi sapere che un santo come Salerio si porta dietro il fastidio di una personalità ardente, che prendeva subito fuoco».

Padre Piero Gheddo parla di Carlo Salerio

 

Carlo Salerio nasce a Milano il 22 marzo 1827, ottavo di nove figli: due fratelli lo precedono nella strada della consacrazione. Formatosi presso il Seminario arcidiocesano, egli parte il 16 marzo 1852 per l’Oceania, missionario tra i primi del Seminario per le Missioni Estere di Milano. In pochi anni, è costretto a lasciare sul campo gli idealismi della giovinezza e la salute. Rientrato in Italia, deve riscrivere la propria identità di uomo e sacerdote. Consapevole di alcuni errori, provato ma indomito, fonda l’Istituto delle Suore della Riparazione in cui il suo ardore missionario può esplicarsi, coinvolgendo anime generose. Muore quarantatreenne il 29 settembre 1870. È dichiarato Venerabile il 13 marzo 2019. Per conoscerlo: P. Gheddo, Carlo Salerio 1827-1870 […], EMI, Bologna 2002; P. Labate, Padre Carlo Salerio. Missionario a Woodlark e Fondatore a Milano (1827-1870), Ufficio Storico P.I.M.E., Milano 2021. Inoltre: https://www.suoredellariparazione.it/sr/.