N.03
Maggio/Giugno 2024

Si fermarono (Lc 24,17)

Si sono allontanati da Gerusalemme, con le speranza infrante. Gesù risorto si accosta. Non lo riconoscono. Stanno facendo discorsi tra loro. Un primo dono del Risorto per i due discepoli di Emmaus è proprio questo: «Si fermarono». 

Si ferma, innanzitutto, quell’allontanamento dal gruppo degli altri discepoli rimasti a Gerusalemme. Avevano preso le distanze, forse per l’amarezza di quanto accaduto, forse per timore di poter essere i prossimi a fare la medesima fine di Gesù. Si ferma quel guardare al solito modo i fatti, le situazioni, quel consueto stile di passare da un’esperienza all’altra, senza darsi il tempo di rielaborare quanto accaduto e vissuto. 

Si fermano: perché la cronaca dei fatti è ben nota, quanto accaduto a Gerusalemme a Gesù di Nazareth è ormai sulla bocca di tutti. Occorre fare un salto, tuttavia: si fermano per prendere la giusta spinta e avere l’adeguata energia. Dalla superficie della cronaca è necessario scendere nella profondità del senso e del significato di quanto accaduto, di quanto accade. Si fermano per poter dare un senso, per cogliere la ragione, per lasciarsi raggiungere dallo scopo ultimo dei fatti accaduti nella Città Santa. Fermandosi è possibile essere raggiunti da colui che, come il Risorto, vuole camminare al loro ritmo per accompagnarli e non per superarli. Fermandosi possono scendere in profondità e non restare sbattuti dal vento contrario della superficialità.

Si fermano: lì, sulla strada. È il luogo dell’imprevisto, dove può accadere di tutto: per strada si fanno incontri inaspettati, si possono notare panorami inattesi, accadono degli intoppi. La strada è il luogo del rischio, in cui i nostri calcoli preventivi possono essere completamente ribaltati. Fermarsi per strada implica esporsi al rischio, accogliere il rischio che non fa calcoli, che non prende decisioni solo se ha in mano tutte le certezze, le sicurezze, le garanzie. Si fermarono perché disposti a rischiare, altrimenti avrebbero continuato per la loro strada, così da rientrare a casa il prima possibile e chiudersi la porta dietro le spalle, non pensare più a tutto quanto accaduto.

Si fermarono lì, sulla strada. Le strade del tempo di Gesù: polverose, praticabili, ma anche scomode. I piedi sono sporchi, impolverati. Si fermarono e i loro piedi avrebbero avuto bisogno, come usanza, di essere lavati. Chi cammina, d’altronde, si sporca i piedi, inciampa, si rialza. Si fermarono, prendendo consapevolezza dei loro piedi sporchi. La sporcizia che si è attaccata è la polvere delle loro aspettative, il fango delle loro pretese, le incrostazioni delle proprie illusioni. Tutto sarà lavato nel catino dell’amore incondizionato, dall’acqua della vita pasquale, che annega in un diluvio di misericordia e di tenerezza ogni forma di ripiegamento sterile su se stessi.

Si fermarono, perché erano stati raggiunti da un tale che sembrava ignaro di tutto. Sono stati raggiunti dal Risorto, che devono imparare a riconoscere. Come è possibile che questa accada, se non ci si ferma? Se non si prendono le giuste distanze dalle proprie corse affannate? Se non si sceglie di ascoltare la propria storia anche da un’altra prospettiva? Se invece di fuggire dalle delusioni, dalle ferite, dalle cadute, dai fallimenti si accetta di fermarsi e guardarsi dentro, accompagnati dal Risorto, perché la sua parola trasfiguri l’esistenza e la renda una storia pasquale?

Si fermarono per ascoltare, per raccontare, per fare domande. Tutte esperienze che invocano tempi lunghi, pazienti, silenziosi, riflessivi. Si fermano in ascolto, accettando di porre un limite e un confine a se stessi e alle proprie visioni e interpretazioni, così da fare spazio al Risorto e all’oltre cui lui desidera introdurli. Si fermano per raccontare, per mettersi a nudo, in verità, senza nascondimenti, capaci di esistere così come sono, senza censure o vergogne di alcuna sorta. Si fermano per interrogare, perché le domande mettono in movimento, danno energia ai piedi e passi alla vita. 

Si fermarono: per mettersi in cammino.