N.03
Maggio/Giugno 2024

Spiritualità vs religione?

A partire dagli studi condotti sui temi della fede, della religione, della spiritualità, si apre la possibilità di usare categorie d’analisi diverse da quelle del passato, tra cui spicca, per centralità e interesse, quella di spiritualità.

Il termine spiritualità torna, infatti, a presentarsi come categoria analitica rilevante anche nella letteratura delle scienze umane e sociali già negli anni Ottanta del Novecento e poi con sempre maggiore visibilità nel corso dei decenni successivi, tanto da proporsi come una importante categoria per descrivere e interpretare il rapporto con il sacro nella società contemporanea. Questa visibilità si dispiega in un’ottica distinta dalla teologia e viene usata da una pluralità di discipline che se ne servono per studiare questa sfera di vita: dalla sociologia alla psicologia sociale, dalla medicina agli studi organizzativi. Il termine, infatti, si radica certamente nella storia delle religioni storiche tradizionali, ma riappare in campi di riflessione diversificati e diversi da quello teologico. Si è così riaperta anche la riflessione sui significati che gli sono attribuiti, che non sono mai indipendenti da quelli attribuiti alla religione e alla religiosità, fosse anche solo per contrapposizione.

Le ricerche confermano la molteplicità delle accezioni che il termine spiritualità porta con sé, tanto da essere definito appartenente a una categoria “controversa”, e si evidenziano posizioni che lo indicano come nozione più generale e più libera di quella di religione si arriva sia a sostenere che ogni forma di spiritualità è un sistema di senso che rende plausibile per un individuo la propria biografia, riguardando, dunque, l’essere più che la morale, sia a discutere di spiritualità senza religione o addirittura di sostituzione della religione con la spiritualità.

Se si riflette poi sulla smaterializzazione tipica della contemporaneità digitale, la spiritualità e la stessa religiosità assumono inconsuete inclinazioni, legate allo sviluppo delle tecnologie di comunicazione. Secondo questo approccio, la globalizzazione ha incoraggiato forme sempre più sofisticate di smaterializzazione del significante: ciò che conta non è la carta da lettera né l’inchiostro usato per tracciare i caratteri, ma il contenuto di questi caratteri, trasformato in segnale e quindi trasmesso. Con l’avanzare della tecnologia (e poi della rivoluzione relazionale portata dalla pandemia nel 2020), porzioni sempre più ampie dell’agire umano sono state sottratte alla materialità; ciò che percepiamo dell’altro è un simulacro, reinventato da un codice matematico. In questa situazione, ampi spazi si sono aperti per vivere nelle comunità digitali anche questa sfera di vita. La cosiddetta digital religion impegna studiosi di discipline diverse nel percorso di comprensione e interpretazione di queste nuove forme di espressione che possono separare, ma anche fondere o affiancare le relazioni fisiche con quelle digitali, dando luogo a mutevoli e ancora non pienamente identificati vissuti della spiritualità/religiosità, in una produzione sostanzialmente autonoma e individuale di puzzle spirituali.

La religione, da parte sua, messa in questione nel suo rapporto con la spiritualità, muta il suo carattere e, per alcuni autori, sembra addirittura abbandonare la dimensione della trascendenza e dell’eternità per confinarsi in quella dell’immanenza e della temporalità. Il sentimento religioso pare giocarsi molto nel rapporto con la propria interiorità personale, nella costruzione, e continua ricostruzione riflessiva, della propria identità, anche sociale, oppure ponendo la trascendenza al di fuori delle religioni organizzate, a dispetto del fatto che nella storia la spiritualità è stata ed è una via di perfezionamento per vivere la propria fede, come è accaduto in ambito cristiano con la spiritualità monastica e in ambito islamico con il sufismo.

Questo mutamento, peraltro, non sembra implicare l’abbandono tout court della credenza e dell’organizzazione della credenza, ma certo mutano, soprattutto tra le generazioni più giovani, sia le forme in cui la credenza si esprime sia quelle della partecipazione, aprendo dunque spazi inediti di riflessione sulla diffusa ricerca di nuove istanze, anche fuori dal solco della tradizione.

Di fatto, la predizione secondo cui il processo di modernizzazione avrebbe portato a un mondo progressivamente emancipato dal sentimento religioso sembra smentita; sempre che, nelle ricerche empiriche pensate per rilevare tale sentimento, non ci si fermi, come più spesso avviene, all’uso di indicatori che sono stati utili alla sua rilevazione a partire da una definizione di religiosità che non sembra essere più adeguata al mutare del sentire delle persone e delle generazioni, al vissuto contemporaneo inerente questa sfera di vita. La religione, lungi dal rappresentare un fenomeno residuale di condizioni di vita premoderne, continua a costituire un orizzonte di senso condiviso da fette amplissime della popolazione mondiale.