L’arte del col-labor-are
Lavoro, luogo di comunità
“Sai che mi hanno chiesto di scrivere un articolo sulle relazioni sul posto di lavoro?”, “Digli di venire qui a vedere e a lavorare con noi che lo capiscono cosa significa!”. Questa è la risposta che mi ha dato Giovanni, un mio giovane collega, ieri sera in magazzino.
Quando si parla di lavoro, il rischio è sempre di fare un bel discorso, un viaggio nei massimi sistemi dell’economia, della giustizia sociale e delle dinamiche produttive. Spesso ci si dimentica che prima di tutto vengono le persone, quelle concrete che ogni mattina si alzano dal letto e prendono l’auto o i mezzi per andare sul posto di lavoro. Le persone concrete, con tutte le loro aspirazioni e sogni, delusioni e paure, potenzialità e inevitabili limiti.
«“Vangelo del lavoro” manifesta come il fondamento per determinare il valore del lavoro umano non sia prima di tutto il genere di lavoro che si compie, ma il fatto che colui che lo esegue è una persona» (LE, 6).
Un uomo e una donna adulti sono chiamati a prendere parte alla grande opera di modificare e rendere migliore questo mondo, attraverso il lavoro. È vero, infatti, che «la persona che lavora, qualunque sia il suo compito, collaboracon Dio stesso» (PC, 6). Collaborare, nel vocabolario italiano, è partecipare attivamente insieme con altri ad un lavoro.
Il lavoro, sia quello manuale che quello intellettuale, diviene così la materia, la “pasta” informe che ognuno, con le sue capacità e i suoi doni, è chiamato a modellare per renderla un bene per altre persone. Quando ci si trova sul posto di lavoro, però, ci si rende rapidamente conto che da soli non si va da nessuna parte. «Oggi più che mai lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri: è un fare qualcosa per qualcuno» (CA, 31).
Si lavora per gli altri, e ci si rende conto che questo può davvero essere una spinta, una motivazione che dà dignità e valore a ogni tipo di lavoro, anche quello più umile e nascosto. Ma la vera sfida è lavorare con gli altri. Anche nel nostro mondo sempre più digitalizzato e complesso, le relazioni sono la condizione sine qua non per la realizzazione buona di un lavoro e di qualsiasi lavoro. «La vita sociale non è, dunque, estrinseca all’uomo: egli non può crescere né realizzare la sua vocazione se non in relazione con gli altri»[1].
Che tu lavori ore davanti al pc o ti trovi a correre in un magazzino per tenere il ritmo della linea, sei e dipendi, nel bene e nel male, anche dal lavoro degli altri, vicini o lontani. Ma questo “obbligo”, questa necessità insita nella stessa dinamica lavorativa, è un modo di vivere con creatività e originalità la struttura intrinsecamente relazionale dell’essere umano.
L’uomo non è un essere solitario ma «per sua intima natura è un essere sociale, e senza rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti» (GS, 12). Lavorare altro non è che un modo necessario e creativo per esprimere sé stessi, in relazione con altri.
Ed è proprio questa scelta di stile che può cambiare tutto, che cambia le dinamiche relazionali, sociali e produttive. Forse, oggi che persino la Chiesa si trova disorientata di fronte ai grandi cambiamenti in atto, ritornare a collaborare, da veri protagonisti della storia, può cambiare ogni prospettiva.
Ci sprona, infatti, papa Francesco «nelle grandi città abbiamo bisogno di altre “mappe”, di altri paradigmi, che ci aiutino a riposizionare i nostri modi di pensare e i nostri atteggiamenti: Fratelli e sorelle, non siamo nella cristianità, non più! Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati. Abbiamo pertanto bisogno di un cambiamento di mentalità pastorale»[2].
Altre mappe ci possono permettere di uscire dal nostro guscio per andare accanto agli altri, per ascoltarli nella realtà quotidiana, per farsi accanto a sorelle e fratelli senza la supponenza di insegnare a vivere. Avere il coraggio di lavorare con gli altri, di collaborare, è un’arte che si apprende solo con il tirocinio quotidiano del mettersi all’opera insieme.
È sufficiente, alcune volte, aprire gli occhi e scoprire che anche in un mondo del lavoro sempre più industrializzato e digitalizzato, lacerato spesso da immani contraddizioni, esistono altri modi di fare impresa, altri modi di creare comunione e vivere le relazioni sul lavoro.
È facile individuare le nuove esperienze che partono “dall’alto”, quando i vertici di un’azienda si interrogano su come migliorare il lavoro e, molto spesso, la sfida è proprio quella di creare relazioni. Ne è un esempio l’esperienza delle fabbrica-comunità «che intende dimostrare che un altro modo di fare impresa è possibile, che la crescita economica va di pari passo con la crescita individuale delle persone che ne fanno parte e che il suo successo nasce dalla coesione della ‘comunità’ e dall’inclusione di tutti i partecipanti»[3].
Ma esistono anche, forse un po’ più nascosti, ma non meno efficaci e rivoluzionari, nuovi paradigmi che partono “dal basso”, da chi sceglie di vivere il suo lavoro semplice come un servizio alla collettività, prendendo l’avvio proprio dal creare spazi di dialogo e di fraternità con i propri colleghi, anche quando il clima e le relazioni sono difficili e compromesse.
Ma cosa significa, nel concreto, vivere l’arte del col-labor-are?
La vetta da raggiungere
Primo passo del lavorare insieme è accordarsi su un obiettivo da raggiungere. Spesso è proprio qui che si crea conflitto anche sul posto di lavoro; se si spinge verso mete diverse è difficile trovare punti di incontro: se in cucina uno vuole fare una torta e l’altro una pizza, entrambe prenderanno la farina ma… quanto durerà la collaborazione? La sfida, allora, è condividere un ideale nel quale il benessere del singolo non sia a discapito dell’insieme, né sacrificabile per il gruppo, ma renda possibile e desiderabile il bene di tutti.
Accordare gli strumenti
Prima di eseguire un concerto, gli strumenti vanno accordati, solo così ognuno può esprimere la ricchezza del suo suono non a discapito degli altri, ma creando una sinfonia armonica. Così ognuno porta sul lavoro il dono che è, con tutte le sue potenzialità e doni, limiti e risorse di crescita.
Per una rinnovata fiducia
Tutto questo è possibile solo se chi cammina o chi suona sa di poter contare su chi ha accanto. Senza fiducia non andiamo da nessuna parte ed è impossibile suonare insieme. Collaborare, sul posto di lavoro e in qualsiasi altro campo, richiede il fidarsi delle persone con cui si sta. È dire: “Tu sei qui e sei un dono per quest’azienda. Quello che tu puoi dare non lo potrà dare nessun altro. Ce la farai a imparare questo lavoro e a renderlo migliore, donando la tua creatività e le tue energie perché insieme possiamo lavorare bene per costruire un mondo migliore”.
In una realtà e in un paese dove «prevalgono tante altre voci che si focalizzano esclusivamente sugli aspetti negativi, basandosi su una lettura monca della realtà, con uno sguardo profondamente pessimista su ciò che l’essere umano è capace di realizzare»[4], l’opportunità che la nobile arte dell’imparare a collaborare ci offre è la possibilità di dire a tutti che «ogni persona ha qualcosa di originale da offrire alla comunità» (DSC, 187).
Dare fiducia, allora, perché ogni persona, ogni battezzato ha qualcosa di originale e di unico da dire alla società, alla Chiesa e può essere motore di rinnovamento. Accordare gli strumenti, riconoscendo l’unicità di ciascuno, dando spazio e coraggio per suonare quelle note che solo lui può offrire per il bene di tutti. E la vetta da raggiungere? Forse è questo il passaggio più difficile ed emblematico… dove vogliamo andare? Qual è la pasta che oggi siamo chiamati a lavorare insieme? Non è forse questa la sfida di un cammino sinodale: attraverso il camminare fianco a fianco, donne e uomini, possiamo intravvedere la meta verso cui vogliamo andare?
«Si può legittimamente pensare che il futuro dell’umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza» (GS, 31).
[1] Dicastero per la Dottrina della Fede, Istruzione sulla libertà cristiana e la liberazione, 32.
[2] Francesco, Discorso ai membri del Collegio cardinalizio e alla Curia romana, 21 dicembre 2020.
[3] M. Zipponi, Fabbrica-comunità. Le nuove imprese tra profitto giusto e valore condiviso, Feltrinelli, Milano 2022, 24.
[4] G. Riggio, Riscoprire la fiducia oltre gli influencer, in Aggiornamenti sociali 2/2024, 79.