N.04
Luglio/Agosto 2024

Una relazione dai molti volti

I significati attribuiti al termine-concetto “spiritualità” nella società contemporanea non rientrano certo sotto un’unica, condivisa definizione. Per confermare questa affermazione, nella letteratura delle scienze sociali sono state individuate ben settanta definizioni di questo concetto, a dimostrazione immediata della difficoltà di una riconduzione univoca. In questa molteplicità è però possibile individuare tre principali dimensioni semantiche che aiutano una semplificazione.  La prima è la dimensione relazionale: gli esseri umani intessono relazioni che è possibile distinguere (anche se solo analiticamente) in orizzontali, indirizzate verso gli altri e la natura, e verticali, indirizzate cioè verso forme di vita trascendenti. La seconda dimensione riguarda le credenze e i valori necessari per rispondere a domande concernenti questioni quali la vita e la morte. Infine, la terza è riferita al significato della vita. Anche solo l’enunciazione di tali costrutti apre universi di senso fondativi dell’esistenza umana. In questa pluralità, però, sembra si possa già registrare, come molte ricerche confermano, un diffuso accordo sulla centralità del sé quale caratteristica costitutiva della spiritualità contemporanea, accompagnata dalla relazione con l’Altro, inestinguibile fonte dalla quale e con la quale il sé si produce. 

È poi possibile rintracciare un ulteriore elemento di complessità nelle molteplici possibilità in cui si articola il rapporto tra spiritualità e religione. Di fronte a questo tema le persone confermano il suo carattere indeterminato: c’è chi si dichiara “religioso e spirituale”, chi “spirituale più che religioso”, chi “spirituale, ma non religioso”, chi, pur ateo o indifferente, si definisce “spirituale” o chi, ancora, rifugge dalla spiritualità dicendosi “solo religioso”. Ciò che, di fondo, accomuna queste dichiarazioni è la mancanza di accordo sui significati sottesi al concetto: cosa si intende per spiritualità e quale rapporto ha con la religione. 

Come si può dunque definire la spiritualità e quale rapporto ha con la religione? Alcuni autori (Palmisano e Pannofino) fanno riferimento al rapporto che le persone hanno con il “sacro”, questa volta incentrato sul pragmatismo, in cui si combinano credenze appartenenti a tradizioni diverse, sensibile alla dimensione corporea e pragmatico-esperienziale, caratterizzata da un orientamento di tipo intramondano. Un nuovo rapporto con il sacro: emerge qui il termine sacro che rimanda di nuovo a qualcosa che non si può definire ma, come ha scritto Rudolph Otto, si può soltanto provocare, destare, come tutto ciò che viene dallo spirito. L’idea di “sacro” riemerge come categoria centrale di analisi. Questa definizione si accosta, in ogni caso, all’idea di supermercato spirituale, di immanenza. Sacro e intramondano sembrano incontrarsi e convivere, qualcosa che sembra non aver a che fare con la quotidianità, che per questo porta fuori da sé, si embrica, si fonde con l’individualità. Ma questa spiritualità quale rapporto ha con la religione? 

Quattro diversi panorami teorici possono essere proposti, anche a favore della ricerca: il primo guarda alla spiritualità e alla religione come distinte, ma non separate, non in alternativa, nell’ipotesi che vadano impiegate insieme per studiare le trasformazioni del credere.  Il secondo ammette una distinzione e una separatezza, si teorizza cioè una netta contrapposizione tra religione e spiritualità; la vita vissuta secondo la tradizione è sostituita dalla vita vissuta in accordo alla propria interiorità: dalla sacralizzazione della conformità a un’autorità trascendente e dalla tradizione che media la sua volontà alla sacralizzazione dell’esperienza personale dell’incontro con il proprio sé profondo.

Il terzo approccio vuole spiritualità e religione sovrapponibili e intercambiabili, rifiutando la dicotomia a favore di una categoria di sintesi. Ne è un esempio la cosiddetta lived religion (Hervieu-Léger), un orientamento empirico alla religione che si chiede come la religione è vissuta, come si manifesta la credenza nelle pratiche, come la vita quotidiana viene organizzata in relazione a queste pratiche. La religione vissuta viene qui intesa come fluida, mobile e strutturata in maniera incompleta. 

C’è, infine, anche chi ritiene che i due concetti siano solo parzialmente sovrapponibili: mentre la religione riguarda le pratiche e i riti, la decisione riguardo il bene e il male, la verità e il falso, la spiritualità è caratterizzata dalla ricerca dei significati, dalla connessione, dalla domanda sul come bisogna vivere. Insieme, condividono aspetti quali la credenza, il conforto come consolazione, la riflessione, i principi, il sublime. Come si vede, la centratura è di nuovo sull’individuo e la sua interiorità. Molti i volti e le relazioni tra questi concetti che aiutano la lettura della contemporaneità e si prestano a essere il fondamento delle analisi empiriche di oggi e del futuro prossimo.