N.04
Luglio/Agosto 2024
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Amare la pace è possederla

Che cosa buona è amare! Amare è già possedere. E chi non vorrebbe veder crescere ciò che ama? Se vuoi con te pochi partecipi della pace, avrai una pace ben limitata. Ma se vuoi veder crescere questo tuo possesso, aumenta il numero dei possessori. O miei fratelli, in che misura è noto quello che vi ho detto, che amare la pace è possedere un bene; che lo stesso amarla è già possederla? Non ci sono parole adatte a magnificare, non ci sono sentimenti adeguati a meditare questa cosa straordinaria che amare è possedere. Considera gli altri beni per cui gli uomini si accendono di cupidigia. Li puoi vedere: c’è chi ama i terreni; chi l’argento, chi l’oro, chi la numerosa prole, chi case ricche, ben arredate, chi fondi molto ameni e di gran valore. Chi ama queste cose non per il fatto che le ama anche le possiede; può esserne totalmente sprovvisto chi le ama. Ma anche se non può avere, ama, si strugge dal desiderio di avere. Se poi comincia a possedere qualcosa è tormentato dal timore di perderlo. C’è chi ama gli onori, il potere. Quanti privati cittadini aspirano a raggiungere il potere! Ma il più delle volte si trovano all’ultimo giorno della loro vita senza aver raggiunto ciò che volevano. Allora, che prezzo avrà quel bene che potrai possedere appena lo amerai? L’acquisto del nostro tesoro non richiede prezzo. Non devi andare in cerca di un protettore per conseguirlo. Eccolo lì dove tu sei: basta che ami la pace, ed essa istantaneamente è con te. La pace è un bene del cuore e si comunica agli amici, ma non come il pane. Se vuoi distribuire il pane, quanto più numerosi sono quelli per cui lo spezzi, tanto meno te ne resta da dare. La pace invece è simile al pane del miracolo che cresceva nelle mani dei discepoli mentre lo spezzavano e lo distribuivano.

E intanto abbiate la pace tra voi, fratelli. Se volete attirare gli altri alla pace, abbiatela voi per primi; siate voi anzitutto saldi nella pace. Per infiammarne gli altri dovete averne voi, all’interno, il lume acceso. L’eretico rifiuta la pace come l’occhio malato la luce. Ma per il fatto che il malato di occhi non può tollerare la luce, non ne consegue che essa sia una cosa cattiva. L’occhio malato rifugge dalla luce eppure è stato fatto in funzione della luce. Quelli dunque che amano la pace e la vogliono possedere fanno in modo che se ne moltiplichino i possessori, così che questo possesso cresca. Facciano in modo di aiutare con ogni mezzo i malati d’occhi, con ogni sforzo, con ogni tentativo: anche loro malgrado, anche se resistono alla cura, e saranno felici quando avranno riacquistato la vista! Supponi che il malato si irriti con te. Non stancarti di aiutarlo standogli vicino. E tu, amico della pace, rifletti, e gusta per primo l’incanto della tua diletta. Ardi d’amore tu, così sarai in grado di attirare un altro allo stesso amore, in modo che egli veda ciò che tu vedi, ami ciò che tu ami, possegga ciò che tu possiedi. È come se ti parlasse la pace, la tua diletta, e ti dicesse: Amami e mi avrai sempre. Attira qui ad amarmi tutti quelli che puoi: per un amore casto, integro e permanente; attira tutti quelli che puoi. Essi mi troveranno, mi possederanno, troveranno in me la loro gioia. Come non si altera la luce per quanti siano quelli che ne godono, così, anche se sono numerosi quelli che mi amano, non mi alterano. Quelli che non vogliono venire è perché non hanno occhi per vedere. Non vogliono venire perché il fulgore della pace abbaglia l’occhio malato della discordia. Considera il miserevole linguaggio di questi malati. Viene loro riferito: “È stato deciso che i cristiani si mettano in pace”. A questa notizia dicono fra di loro: “Poveri noi”. Perché dicono così? Perché quelle parole di paura: “Poveri noi, viene l’unità”? Quanto più giustamente si dovrebbe paventare la discordia e dire: “Poveri noi! Viene la discordia. Lungi da noi la discordia che è come la tenebra per chi non vede”. E invece sta venendo l’unità. Bisogna goderne, fratelli. Perché aver timori? È stata annunciata l’unità, non una belva, non un incendio: viene l’unità, la luce. Eppure c’è qualcuno che, se vuole proprio dire la verità, deve dire: “Non tremo di fronte a una belva, non sono pauroso. Della luce invece ho paura perché il mio occhio è malato”. Bisogna dunque curarlo. Bisogna farli partecipi di quel bene, che, quando lo si distribuisce, non diventa più piccolo. Comunichiamolo a loro nella misura delle nostre forze, quante il Signore ce ne dà.

(Agostino d’Ippona, Discorso 357)

 

 

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