N.05
Settembre/Ottobre 2024

Il bisogno di essere padri

Savi Gabizon dirige il remake statunitense del suo Longing. È il film Era mio figlio con Richard Gere, chiamato a raccontare i tormenti e i desideri di un padre mancato

Quando può dirsi compiuta una vocazione? Un progetto di vita? Ad affidarsi allo sguardo del regista israeliano Savi Gabizon potremmo dire che la sorpresa che rimette in moto l’incedere della vita virtuoso e generativo è sempre dietro l’angolo. È così anche per il protagonista Daniel (Richard Gere) del lungometraggio Era mio figlio (USA, 2024), remake sempre del suo Longing (Israele, 2017), che si scopre padre quando il figlio adolescente è già mancato. Glielo rivela la sua ex compagna (Diane Kruger) che non vede da decenni e che al tempo, alla scoperta della gravidanza, non lo aveva coinvolto sapendolo contrario alla scelta di avere dei figli. All’improvviso Daniel si ritrova padre, senza averlo scelto, di una creatura che già non c’è più e che proprio per la sua assenza scuote ancora di più un’adultità mite ed equilibrata. Recandosi in Canada per partecipare alla commemorazione, Daniel inizia un viaggio molto più lungo e invasivo del previsto. 

Entra in un labirinto fatto di tanti vicoli ciechi che non sempre portano alla conoscenza autentica del figlio – meraviglioso è chiedersi quando davvero stiamo toccando il prossimo: domanda che vale ancor di più per riflesso nella nuda presenza – e di tanti altri camminamenti che, invece, lo portano tramite le narrazioni sul figlio a cercare la sua vera essenza di uomo. È pedinando gli irrisolti del figlio che un padre, nato da poche ore, inizia a pensarsi tale, inizia a muovere i primi passi. 

Da una paternità mancata, ma ora abbracciata con generosa fede, accompagnato da un nutrito spartito sociale (l’ex e il suo attuale compagno, preside e professori, compagni di scuola, frequentatori di cimiteri che hanno perso altri figli, genitori della” fidanzatina”, il barista) Daniel se la gioca tutta in bilico tra ciò che non è stato e ciò che può ancora essere. Con la certezza che ogni vocazione può compiersi solo alla prova degli altri e che la solitudine, per quanto necessaria e a tratti irrimediabile, non può di fatto essere l’unico linguaggio della vita. 

 

 

Schermi paralleli: Non il rapporto padre-figlio, ma uno sguardo ravvicinato su una coppia di novantenni sul crinale della vita, tra ricordi, sorrisi e tenerezze. È lo splendido e acuto Fuga in Normandia (The Great Escaper) di Oliver Parker, racconto che prende le mosse da una vicenda vera e che rilegge le rotte della Storia europea (i sacrifici imposti dalla Seconda guerra mondiale), ma anche il dolcissimo viaggio sentimentale di una coppia di inglesi legati da settant’anni. Una poesia esistenziale sulla terza età, tra lampi di riflessione e dolce commozione (Sergio Perugini).