N.05
Settembre/Ottobre 2024

Le giovani donne

Le giovani donne appartengono oggi almeno a tre diverse generazioni che si differenziano, oltre che per la coorte di età  – meno di 15, la generazione Alfa; tra i 16 e i 25, la generazione Zeta,  più di 25 i Millennials – per le rapide mutazioni della società nella quale sono nate e cresciute. Le differenze più marcate tra loro riguardano certo l’uso della tecnologia e la crescente pervasività di questa nella loro vita, non solo scolastica e professionale, ma anche relazionale. È dai “social”, infatti, che passano le informazioni, le comunicazioni, le immagini, le parole, le emozioni e i sentimenti soprattutto delle più giovani, in continuo contatto con il mondo che le circonda, in quella contrazione spazio-temporale ormai tanto nota come una delle conseguenze dei processi di globalizzazione degli ultimi decenni. Sempre meno evidenti e numerose sono le differenze che le separano dai loro coetanei maschi: atteggiamenti e valori tendono ad avvicinarsi e quasi ad annullare le distanze: le giovani donne hanno livelli simili di religiosità tradizionalmente intesa (una differenza, fino a una generazione fa, molto rilevante), simili atteggiamenti nei confronti del lavoro, della famiglia, delle amicizie e anche della politica e, più in generale, della partecipazione sociale, con una maggiore attenzione alle problematiche di genere, quelle relative alla sostenibilità e alla disponibilità alla mobilità.  Come ormai noto da almeno vent’anni, i giovani in generale e anche le giovani donne hanno separato la loro vita dalle istituzioni sociali, che sentono lontane ed estranee alla loro quotidianità, perno e centro della loro esistenza, in un presente che assomma la loro esperienza e che lascia poco spazio alla progettualità per il futuro, che pensano con timore. Molti sono i fattori che hanno contribuito e contribuiscono a questa idea che sembra mancare nella loro prospettiva,  dal lungo processo di soggettivazione della modernità al passaggio alla cosiddetta postmodernità e all’allentamento dei vincoli societari tipici della società cosiddetta liquida, dalle crisi economiche che si sono succedute a quelle politiche, all’incapacità delle istituzioni deputate di ascoltare e comprendere la situazione dei giovani e, in particolare, di adeguare alle loro necessità le risposte alle domande che pure i più giovani pongono alle generazioni degli adulti. Le giovani donne, peraltro, scontano l’ancora non paritaria condizione di genere. Come ben noto, le ragazze hanno migliori risultati a scuola e all’università, si laureano prima e meglio, entrano con più facilità nel mondo del lavoro che, però, le relega ancora oggi in posizioni di marginalità rispetto ai maschi. Di fatto, in un difficile mondo del lavoro, dove la precarietà è diventata la normalità, le giovani donne italiane lavorano meno delle coetanee europee. La quota di lavoratori non-standard (ci si riferisce a rapporti caratterizzati da una ridotta continuità nel tempo e/o da una bassa intensità lavorativa; in altre parole, contratti a termine e part time involontario) raggiunge, nel 2022, il 45,7% tra le donne giovani (a fronte del 33,9% dei coetanei). Così come il destino del lavoro delle donne è stato nel passato considerato di rimpiazzo di quello maschile (basti pensare alle guerre mondiali del XX secolo), così anche la crisi emersa dalla pandemia mondiale del 2020 ha inflitto alle donne e, in particolare, alle più giovani, il più duro prezzo da pagare in termini di lavoro.  Le giovani donne che hanno nel loro vissuto familiare un’esperienza migratoria, ormai numerose in Italia, possono trovare maggiori ostacoli dei giovani maschi nel loro processo di integrazione anche se alcune di loro, tra le più adulte, vivono con le famiglie italiane e sono di supporto alla loro vita quotidiana e, tra le più giovani, per il 60% sono nate in Italia. Com’è noto, il corso di vita – nella società moderna caratterizzato da una seppur generica linearità, con le tappe della vita posizionate in alcuni specifici decenni del vissuto – ha cambiato profondamente forma, senza lasciare un modello seppur relativamente generalizzato. Sicuramente questo riguarda il momento dell’uscita dalla famiglia di origine, ormai non più un evento senza ritorno, ma solo un evento reversibile, in relazione alle esigenze lavorative e familiari, un fenomeno certo che riguarda le giovani donne, ma anche i giovani uomini. Un altro ben noto fenomeno che le riguarda è la cosiddetta denatalità, in Italia particolarmente importante rispetto agli altri paesi europei. Molti e diversi fattori (economici e culturali innanzitutto) hanno portato a far sì che l’età del primo figlio arrivi – quando arriva – per le giovani donne italiane sopra i trent’anni di età, lasciando spazio a una scelta generativa. Nel futuro che cosa si prospetta? Per quanto non possano essere certo predittivi, gli ultimi dati ISTAT mostrano una propensione evidente dei più giovani (11-19enni) alla vita di coppia e al matrimonio, con uno spiccato desiderio di avere figli.