Lo riconobbero (Lc 24, 31)
Il serpente aveva ingannato i progenitori assicurando loro che mangiando del frutto dell’albero non sarebbero più morti e anzi, si sarebbero aperti loro gli occhi e avrebbero potuto essere come Dio (cf. Gen 3, 4-5).
Il seguito del racconto mostrerà l’inconsistenza di una tale promessa, che cercava di ottenere una somiglianza con Dio senza una comunione con Lui.
I due discepoli in cammino per Emmaus hanno gli occhi chiusi, impediti a riconoscere chi è loro accanto (cf. Lc 24, 16). Passo dopo passo lo sguardo non si fa più nitido ma quell’ignoto Viandante ha parole nuove, piene di senso per il loro cuore ottenebrato dal dolore e dalla delusione, dopo la morte del Signore.
La strada è stata lunga «e il giorno è ormai al tramonto» (Lc 24, 29). Si rende necessaria una sosta e così, nell’intimità della casa e della notte, avviene l’inatteso: l’Ospite prende «posto a tavola» (Lc 22, 14), come la sera in cui per l’ultima volta aveva cenato con i suoi, con il pane tra le mani, recita la benedizione, lo spezza e lo dà ai due (cf. Lc 24, 30).
Alcuni gesti delle persone che amiamo ci sono così familiari da essere inconfondibili.
Se la morte in croce lo aveva reso inconoscibile al loro cuore, lo spezzare il pane – anticipo e segno del dono di Sé – aveva alla fine aperto i loro occhi, capaci adesso di riconoscerlo (cf. Lc 24, 31).
Il Maestro era lì, vivo, seduto «a tavola con loro» (Lc 24, 30).
Sarà stato un momento denso di eternità, un vero e proprio attimo di risurrezione per i due discepoli, che ora comprendono le parole di Gesù al Padre: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17, 3).
In queste parole e nell’esperienza che i due fanno «ci viene detto che vita è conoscenza. Ciò significa anzitutto: vita è relazione. Nessuno ha la vita da se stesso e solamente per se stesso. Noi l’abbiamo dall’altro, nella relazione con l’altro» (Benedetto XVI, Omelia, 1 aprile 2010).
RiconoscerLo allora è abbracciare una presenza non più condizionata dagli eventi, nemmeno quello tragico della morte, perché «conoscere nel senso della Sacra Scrittura è un farsi interiormente una cosa sola con l’altro, diventare in qualche modo una cosa sola con Lui in virtù del conoscere e dell’amare. [Così] in questa relazione noi viviamo anche attraversando la morte, perché non ci abbandona Colui che è la Vita» (Id.).
I due discepoli ne avranno fatto esperienza anche quando «egli sparì dalla loro vista» (Lc 24, 31), quando si saranno reciprocamente consegnati il pane spezzato rimasto su quella mensa, quando – senza più rimpiangere la sua assenza ora segnata da un’eterna presenza – avranno compreso in profondità ciò che Gesù aveva detto loro: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» (Gv 6, 56).
Avevano desiderato che potesse rimanere con loro per la notte quando gli avevano detto con umana tenerezza: «Resta con noi, perché si fa sera» (Lc 24, 29). Ora scoprono che Lui è con loro «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20), senza più tramonto.
La sera di Pasqua sono risorti anche loro. Il cuore chiuso dal dolore della morte era divenuto ardente per averlo finalmente conosciuto ed incontrato (cf. Lc 24, 32).
Senza più timore possono ora sfidare l’oscurità della notte e «camminare in una vita nuova» (Rm 6, 4), fare ritorno a Gerusalemme per annunciare che l’inganno del Nemico ai progenitori è divenuto possibilità piena di luce per quanti lo riconosceranno nel pane spezzato dell’Eucarestia, «segno nuovo della sua presenza» (Benedetto XVI, Regina Coeli, 6 aprile 2008) e nella comunione in Lui tra fratelli (cf. Mt 18, 20).
Anche a noi, discepoli oggi in cammino, è offerta la possibilità di gustare il sapore della comunione, di quella conoscenza così profonda di Lui con la quale «possiamo dire: veramente tu sei un Dio vicino, tu sei un Dio-con-noi. Tu ci hai rivelato il tuo mistero e ci hai mostrato il tuo volto. Tu hai rivelato te stesso e ti sei dato nelle nostre mani… In quest’ora deve invaderci la gioia e la gratitudine perché Egli si è mostrato; perché Egli, l’Infinito e l’Inafferrabile per la nostra ragione, è il Dio vicino che ama, il Dio che noi possiamo conoscere ed amare» (Benedetto XVI, Omelia, 1 aprile 2010).