N.05
Settembre/Ottobre 2024

Prendere corpo

«Essi presero allora il corpo di Gesù» (Gv 19,40)

La basilica paleocristiana “ecclesia Sanctae Mariae” era parte di un complesso episcopale che si trovava nell’area di piazza Duomo a Parma. L’impianto attuale della cattedrale dedicata all’Assunta è frutto di numerose ricostruzioni.

 

Consacrata nel 1106 da Pasquale II, fu poi rimaneggiata tra gli altri proprio da Benedetto Antelami, autore della Deposizione, prima di dedicarsi al Battistero. La Deposizione è la prima grande opera scultorea di Benedetto Antelami. L’architetto e lo scultore qui si intrecciano in un bilanciamento di forze opposte che anticipa il passaggio al Gotico. Oggi la lastra rettangolare in marmo rosso veronese è murata nel lato destro del transetto, ma in origine era uno dei tre pannelli del pontile della cattedrale, smembrato nel Cinquecento. Il pontile, o jubé, serviva a separare il presbiterio dalla navata, ma a differenza dell’iconostasi, essendo collocato in alto, non limitava l’accesso all’area destinata al coro. Il rilievo ha una doppia cornice, una decorata a rosette, e l’altra a girali d’acanto incisi a niello, una tecnica bizantina che deriva dalla oreficeria. Akanthōn (ἀκανθῶν) è il termine che viene usato per la corona di spine (Gv 19,2) e ci introduce al mistero della Passione di Cristo. Nei clipei invece, troviamo personificazioni del sole e della luna. Secondo l’iscrizione questo rilievo fu completato nel 1178, probabilmente in aprile, in concomitanza con la Settimana Santa.

 

Benedetto Antelami, Deposizione dalla croce, Cattedrale di Santa Maria Assunta, Parma, 1178, altorilievo in marmo rosso veronese.

 

Il pannello è diviso in due parti dalla Croce. Tra le figure in piedi, a sinistra, si distinguono le tre Marie, Giovanni, Maria la madre di Gesù, e una figura femminile più minuta, l’Ecclesia, personificazione della Chiesa, con un calice e il vessillo della croce. Si contrappone alla Sinagoga, dall’altro lato, un angelo che le cala un elmo sul capo. È Raffaele (che significa Dio guarisce), l’angelo che accompagna Tobia nel suo viaggio per recuperare dei crediti per il padre diventato cieco, viaggio che gli permetterà di incontrare la sua sposa. È un’iconografia tipica del Medioevo, mostrare la Sinagoga bendata. Possiamo accogliere o meno l’immagine scandalosa di un Dio così vulnerabile, che si rivela in un uomo che muore. Giuseppe d’Arimatea bacia il costato di Cristo, prendendo il suo corpo (Gv 19,38). Bacia la ferita dalla quale nasciamo come Chiesa. Come Eva viene generata dal fianco dell’uomo nel suo torpore, così Cristo, nuovo Adamo, è il re che muore, perché possiamo rinascere dal suo costato, da cui scaturirono sangue ed acqua, immagini dell’Eucaristia e del Battesimo. Ad-orare è portare alla bocca, e l’opera era collocata proprio sopra l’altare. Cristo pende dalla croce, e Nicodemo, arrampicato su una scala, estrae il chiodo conficcato nella sua mano sinistra che diventa il perno della rotazione. Cristo è visibilità di un Dio che si versa sulle sue creature. Nicodemo rappresenta il credente, era andato in cerca di Gesù di notte con la sua sete, per sentirsi dire: «Se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio» (Gv 3,3). Solo dalla scala comprende che la fede è un’esperienza di guarigione profonda dello sguardo. Cristo veste solo un lenzuolo stretto al fianco con un nodo, simbolo di servizio. Con la mano destra, quella con cui i primi cristiani osavano rappresentare il Padre, raggiunge sua madre con una carezza, raccoglie le sue lacrime. Gabriele sostiene questo gesto impossibile per un morto. Siamo davanti alla morte, compimento di quel processo di incarnazione iniziato con l’Eccomi di Maria. Proprio la presenza dell’arcangelo ci riporta al momento dell’Annunciazione, del concepimento dell’umanità. Nella capacità di provare compassione, di sentire con l’altro il suo dolore, di portarlo, diventiamo pienamente umani. È il chinarsi di Dio sull’umanità. Giovanni poi è il solo con i piedi nudi come Cristo, l’agnello, il servo, perché solo l’amore ha il coraggio di andare scalzo, non ha paura di essere ferito, si sbilancia verso l’amato. I gruppi di figure sono raccolti dalla Croce. Dall’altra parte uno scudo copre il centurione e, nell’iscrizione accanto, si legge: “Vere iste Filius Dei erat” (Mt 27,54). Dietro di lui l’Antelami colloca cinque giudei e quattro soldati romani intenti a tirare a sorte sulla tunica di Cristo. È senza cuciture, la parte più interna dell’abito. Rappresenta quello che non può essere diviso, l’identità stessa di Gesù, quel corpo spezzato e indiviso, il corpo della Chiesa. La veste però travalica i confini della cornice del rilievo. È il corpo stesso di Cristo che è deposto, nella veste consegnata allo sguardo dell’osservatore, e i persecutori sono il tramite. Il bene si versa, “discende” in sette rivoli di pieghe, in una strigilatura, la decorazione che si trova sui sarcofagi romani, ma usata anche dai cristiani e poi ripresa in epoca rinascimentale. Sette come i giorni della creazione: questa morte è una nuova creazione. Siamo davanti ad un’identità svuotata, κένωσις, kénōsis (=svuotamento), è Dio che fa posto all’uomo, prendendo carne e dando tutto se stesso. Ma questa tunica è anche un invito a spogliarsi e a rivestirsi di Cristo, partecipi della sua morte nel Battesimo siamo portati a vita nuova. Per imparare da Lui a dare la vita. Così il Suo corpo è offerto, perché noi possiamo prenderlo, dall’albero della Vita che è la Croce. Sui tronchi della croce ci sono delle gemme. Già si intravede qualcosa di questa vita nuova che sarà in Cristo risorto. Qui veniamo alla luce.