N.06
Novembre/Dicembre 2024

Viandanti, pellegrini, raminghi: sì, viaggiare

“Ogni volta che parto per un viaggio scompaio dalle mappe. Nessuno sa dove sono. Al punto di partenza o al punto d’arrivo? Esiste qualcosa che sta in mezzo?”.

Olga Tokarczuk, I vagabondi, Bompiani

 

Ci sono libri che vanno letti un pezzetto per volta: non divorati di colpo, ma a piccole porzioni e assaporati pian piano. “I vagabondi” è uno di quei libri, un romanzo che è una somma di aneddoti, di piccoli racconti dentro al racconto, di ritratti, di personaggi, di ricordi, di autoanalisi, di riflessione filosofica. Come la sorella di Chopin che porta il cuore del musicista defunto da Parigi a Varsavia; l’anatomista olandese che usa il proprio corpo come terreno di ricerca; Soliman, rapito bambino dalla Nigeria e portato alla corte d’Austria come mascotte; i bieguni, nomadi slavi che conducono una vita itinerante, contando sulla gentilezza altrui. “Sono i vagabondi i protagonisti di questo romanzo, coloro che non sanno stare fermi e a ogni partenza tornano al cuore di se stessi”. Storie di viaggio, a volte vissute personalmente dall’autrice, a volte narrate perché ascoltate da altri, in una sorta di trasmissione orale (ma alla fine messa in pagina) di molte vite che si affastellano, ogni tanto si incrociano, più spesso ci parlano di qualcosa che, in un modo o nell’altro, abbiamo pensato anche noi, viaggiando. Una scrittura volutamente frastagliata, come pagine di un diario; dispersa, come chi vagabonda nel mondo; profonda, come uno scavo alle radici della terra. È una narrazione corposa, non un romanzo in senso stretto, il cui tema di fondo, caro alla Tokarczuk, è il poter abbandonare un posto e sapersi reinventare altrove, scoprendo sempre nuove cose con la curiosità di Alice nel paese delle meraviglie. Il viaggio è una necessità dell’uomo (“La fluidità, la mobilità, l’illusione: sono queste le qualità che ci rendono civilizzati. I barbari non viaggiano. Vanno semplicemente a destinazione o fanno razzie”) e la scrittrice lo scopre da bambina, sulle sponde del fiume Oder: “Feci il mio primo viaggio attraversando un campo a piedi. […] sul terrapieno, con lo sguardo concentrato sulla corrente, mi resi conto che – nonostante tutti i pericoli – è sempre meglio ciò che è in movimento rispetto a ciò che star fermo; che il cambiamento è più nobile della stabilità”.