Carlo Acutis

C’è una mamma, Antonia, che cerca il confronto con alcuni sacerdoti per meglio formarsi alla fede cristiana: una fede che le è stata trasmessa per tradizione, ma non ha mai fatto del tutto propria benché alle vicende della sua famiglia si intreccino due figure di santità: Giulia Salzano, poi canonizzata nel 2010, e Caterina Volpicelli, canonizzata nel 2009. Antonia avverte l’urgenza di riavvicinarsi alla fede e alle ragioni di essa perché il suo primogenito, il piccolo Carlo, ha incominciato a mostrare una sensibilità precoce per il divino e lei come mamma vorrebbe poterlo affiancare e accompagnare.

Carlo Acutis era nato da lei e dal marito Andrea, il 3 maggio 1991 a Londra, primogenito di una famiglia che può permettersi molti agi, ma dove gli agi non interferiscono con la discrezione e l’attenzione al lavoro inteso quale servizio. Poi si trasferiscono a Milano, in pieno centro storico dove il fascino discreto di una città borghese garantisce loro una vita lontana dai riflettori ma circondata dal bello: la parrocchia di Santa Maria Segreta, i palazzi della borghesia che conta e le ottime scuole dove Carlo può studiare, sino all’Istituto Leone XIII, dai gesuiti. È una vita ordinatissima che custodisce tuttavia un grande fermento, soprattutto in Carlo che sin da piccolo avverte una connaturalità istintiva alle cose del Cielo: le chiese, la Presenza dapprima un poco misteriosa e poi sempre più chiara di Gesù Eucaristia che lo attende in ogni Tabernacolo, l’amore grande per la Vergine Maria che egli avvertirà sempre “Mamma” ma alla quale, crescendo, riserverà anche le finezze di un vero cavaliere: Carlo avrebbe definito l’Eucaristia la sua autostrada verso il Cielo e il Rosario… l’appuntamento più galante della giornata.

La sua è un’attrazione a Dio che dischiude la famiglia a uno spazio di ricerca: Carlo è un bambino da custodire e sostenere, aiutandolo a far sintesi tra il terreno e il celeste. Così egli – che in via eccezionale, essendo valutato già pronto, riceve la Prima Comunione il 16 giugno 1998, a 7 anni, presso il Monastero delle Romite Ambrosiane del Monastero della Bernaga a Perego (Lecco) –, è lo stesso ragazzino inserito nel vivace contesto scolastico e delle amicizie: come si è espressa una sua insegnante, non lo studente che tutti vorrebbero avere (quello un po’ taciturno, che prende appunti ed evita le domande), ma un giovane vivace. All’inizio forse è un po’ goloso. Inoltre non perde occasione di dedicarsi a qualcosa di interessante, anche se ciò lo obbliga a ridurre il tempo dedicato ai compiti. Perciò è un ragazzo che ricerca anch’egli l’equilibrio tra i molti impegni, scopre la fatica di ciò che non piace ma andrebbe comunque svolto ed è pronto allo scherzo, al dibattito, alle discussioni totalmente laiche su ciò che più sta a cuore ai suoi compagni. Carlo, è stato confidato prima della canonizzazione, una volta arrivò a nascondersi nell’armadio, per fare uno scherzo; egli è anche l’amico o il cugino che gioca alla playstation, monta video grazie alle proprie abilità informatiche e ama l’aria aperta, i viaggi, il tempo del gioco e dello svago. Rende i suoi adorati cani protagonisti di video surreali (e per quei tempi avveniristici) il cui esito è una comicità assicurata.

Eppure, Carlo Acutis si dà anche priorità e ritmi, senza che i genitori debbano lottare per imporli: la Santa Messa e il Rosario quotidiani, per esempio; momenti di Adorazione eucaristica; un tempo stabilito per giocare davanti allo schermo, senza sgarrare; oppure lo spazio dello studio senza dimenticarsi dei poveri. Come ha precisato il papà, Carlo è docile: egli ha compreso che la ribellione, più che autoaffermazione, è perdita di sé e della via del bene.

È perciò un adolescente che possiede l’interiore sicurezza di un ordine del cuore chiaro, strutturato non attraverso tentativi ed errori, nel dispendio di tempo ed energie, ma quale progressiva ed intima evidenza di un’interna luce che – nell’ottica della fede – parla d’una Grazia preveniente a guidarlo, senza sottrarlo alle asperità del cammino. Così, sa rinunciare al piacere del divertimento per il ravvedimento dei doveri, ma riesce anche a traslare leggermente in secondo piano quei doveri cui facilmente avrebbe potuto legarsi (per esempio il troppo studio, per eccellere nei voti) e dedicarsi invece ad attività prive di “ritorno” immediato: dai tanti poveri soccorsi, all’impegno di catechista in parrocchia, all’attività per il sito della scuola. Come li avrebbe chiamati santa Teresa di Lisieux, questi «sì” nel quotidiano e alla sua portata sono «piccoli nonnulla»: essi lo preparano tuttavia a cose grandi.

Carlo per esempio chiese sia alla mamma sia alla nonna se dovesse forse entrare in Seminario, cominciando dunque – benché giovanissimo – a interrogarsi su una scelta di vita che fosse coerente al primato totalizzante di Dio per lui; mentre in un video, poi divenuto celebre, afferma di essere «destinato a morire» e, ancora, sarà lucido nel dire alla madre, quando ormai sta male, di prepararsi perché dall’ospedale non sarebbe uscito vivo. Offrì le proprie sofferenze per il papa, per la Chiesa, per non fare il Purgatorio e per andare subito in Paradiso: affermazioni spiritualmente ammirevoli e al tempo stesso infinitamente pragmatiche con cui il “milanese” Carlo, cresciuto nella città che al fare dà tanta rilevanza, comprende come poter trarre un senso dal non senso più assoluto, trovandosi sulla soglia della morte a soli 15 anni.

Il suo è perciò un cuore educato all’interiorità della preghiera e raccolto, ma al tempo stesso sempre gettato oltre se stesso, lanciato nell’agone della Storia: come un rete – ma non di internet del quale era esperto –, Carlo getta se stesso negli incontri, nelle sfide, nelle vicende del suo tempo e si fa strumento perché il Signore Gesù possa pescare tanta gente, soprattutto i giovani. In tal senso, Carlo non ha mai portato se stesso, non si è mai messo al centro e non ha mai esibito la propria fede, testimoniandola piuttosto attraverso strumenti che mettessero gli altri in ricerca. Va in questa direzione sia una sua frase, divenuta celebre («Non io ma Dio») sia il lavoro, poi divenuto mostra, sui miracoli eucaristici, che ormai ha travalicato i confini dell’Italia e visitato un gran numero di parrocchie del mondo: sono miracoli che risvegliano la fede e interpellano la ragione, che obbligano a confrontarsi col Mistero, che mettono a contatto con tutta la concretezza del Salvatore risorto.

Carlo, adolescente che si è appena affacciato alla vita, insegna dunque ai giovani che non si è mai soli e, un po’ come Giovanni Paolo II, ricorda che è Gesù che si cerca, quando si cerca la felicità, e che proprio Lui, Signore del cuore e della Storia, dà tutto e non toglie niente. Sta in questo la vitalità del suo esempio e la maturità della sua testimonianza di ragazzo.