Nonostante, nel limbo tra la vita e la morte
L’attore e regista romano si interroga sul mistero dello stato d’incoscienza: metafora di un immobilismo che solamente l’amore può scardinare
Ci si abitua a tutto, in fondo. Anche a un ricovero che dura da chissà quanto e chissà se e quando finirà. Si annullano le preoccupazioni, ci si sente al riparo da tutto e da tutti, e poco importa se qualche compagno di reparto si sente intrappolato e vorrebbe andare via. Ma cosa potrebbe succedere se in quell’ospedale, in quelle stanze dove ormai la routine ti ha insegnato a osservare tutto intorno senza che gli altri, intorno a te, se ne accorgano, arrivasse un bel giorno una nuova paziente? Una donna che non ha nessuna intenzione di aspettare, di rimanere ferma lì, incapace di accettare quella condizione e quelle regole non scritte?
Non è mai stato un attore banale, Valerio Mastandrea, e il suo ancora giovane cammino da regista sembra voler confermare questa indole: sei anni dopo l’esordio con Ride, film che si interrogava sulla possibilità (o meno) di soddisfare le aspettative del mondo nell’elaborare un lutto, con Nonostante (altro titolo che conferma la predilezione per le parole singole…) l’attore e regista romano riflette su uno stato esistenziale impossibile da codificare, da decifrare, da “raccontare” senza l’ausilio di una trasfigurazione che tenti di rendere concreta l’ipotesi di un mistero, di una domanda alla quale la ragione, la scienza, ancora non ha saputo dare una risposta: chi siamo, cosa pensiamo, dove “andiamo” quando la morte è lì, a un passo, ma la vita ancora non ci lascia andare realmente? In che modo dunque esistiamo quando ci troviamo nel limbo dell’incoscienza?
Mastandrea, che scrive il film insieme a Enrico Audenino, non ha bisogno di girare troppo intorno all’idea fortissima, audace, che dà il la a Nonostante (titolo d’apertura della sezione Orizzonti della scorsa Mostra di Venezia, in sala dal 27 marzo 2025 con Bim): solamente dopo pochi minuti infatti capiamo che l’uomo (lo stesso regista) che si aggira nel cortile di quell’ospedale, che parla con altri ricoverati come lui (Lino Musella, Laura Morante e Justin Alexander Korovkin), ma che agli occhi di tutti gli altri è invisibile, è in realtà allettato in stato comatoso (come gli altri tre del resto) da chissà quanto e chissà perché.
Che cosa vuol dire essere vivi? Cosa vuol dire essere morti? E chi, cosa ricorderemo di quel limbo se, e quando, torneremo alla vita? È intorno a queste domande che la riflessione del film si sviluppa fino a farsi metafora di una condizione di immobilismo che potrebbe essere sconvolta solamente grazie al furore dato dall’arrivo di una forza inaspettata (incarnata dall’argentina Dolores Fonzi), l’amore, nella sua forma più pura e indecifrabile.
Schermi paralleli: L’incertezza del domani percorre anche il film Treno dei bambini (2024) di Cristina Comencini, presentato alla 19a Festa del Cinema di Roma e subito dopo su Netflix. Dal romanzo di Viola Ardone, è il racconto di madri del meridione che nell’Italia del Secondo dopoguerra affidano i propri figli a famiglie del Nord per superare l’indigenza e sognare un futuro di possibilità. Una vicenda vera, commovente ed edificante, che si gioca su un amore che non trattiene ma lascia guadagnare la libertà, la vita. Con le intense Barbara Ronchi e Serena Rossi (Sergio Perugini).