N.01
Gennaio/Febbraio 2025

Un gusto duraturo e certo

Discernere tra bene e meglio

Parlare di discernimento è raccontare una storia di amore, un’esperienza di amore che come dice il profeta Geremia inizia addirittura prima di essere formati nel grembo materno: un luogo o tempo eterno dove ognuno è stato conosciuto[1] singolarmente.

Il verbo ebraico utilizzato dal profeta è yāda‘ che indica quel conoscere che scaturisce dal fare l’amore. È conoscere l’essenza e la realtà intimità e profonda di una persona, in una relazione calda, rispettosa, generativa e feconda. L’amore nel conoscerci ci porta all’esistenza. Siamo dunque formati nell’amore dall’amore, e tu sei quell’amore particolare che ha una qualità specifica, un nome unico, singolare e visibile di quell’amore. Tu esisti nell’amore.

Nel racconto midrashico dei primi due capitoli del vangelo di Matteo tutta questa realtà è narrata nella storia di Giuseppe, descritto come uomo giusto – ecco la sua qualità, il suo nome. E la realtà dell’amore è presentata nei suoi sogni[2], luogo della manifestazione di Dio e del suo regno fatto di dignità e rispetto, di giustizia e di pace. Essi sono espressione di quella realtà di amore che continua a esistere, ad accompagnarci e a essere intatta nel luogo primo e irraggiungibile, il più profondo e misterioso di noi stessi. Dove non è possibile mettere le mani, perché sui sogni non si riesce a intervenire, si è totalmente passivi, ma in cui si può entrare in punta di piedi e con rispetto.

Il regno di Dio espresso nei sogni, dunque, ci attraversa e intesse, è dentro di noi. Ed è interessante notare come nella storia di Giuseppe è incastonato anche il racconto dei Magi e di Erode. I Magi seguono e sono guidati da una stella, desiderano[3] e si mettono in movimento. Sono espressione del cammino del desiderio che, intrecciato con la Parola, li porta a destinazione sicura, a casa[4]. Ricercando e vivendo l’esistenza incontrano necessariamente – come ognuno di noi – il non amore (il freddo, il male e la morte) che crea degli inferni nelle persone – ognuno ha i suoi![5] Incontrano Erode, immagine plastica del non amore, della paura, della vendetta, del risentimento, della prevaricazione. Stando a contatto con queste due figure rappresentative, si assapora il gusto del bene e del male. In questo modo si inizia a comprendere coi sensi cosa sia davvero il bene e il male anche nelle nostre vite. Lo sentiamo nella e sulla nostra pelle, carne viva.

Senza l’esperienza del bello e del male, non può esserci conversione e pienezza di vita. Una vera conversione nasce dalla consapevolezza, maturata interiormente, del sentire un gusto interiore di armonia: una esperienza di pace, luce, speranza, letizia, gioia, coraggio e trasformazione. Sono i frutti dello spirito[6], di cui parla Paolo di Tarso; sono l’espressione del cuore che arde[7] dei discepoli di Emmaus a contatto col Risorto. Un gusto buono di distensione, pacificante, che ricrea relazioni. E soprattutto un gusto duraturo e certo!

Il bello ci prende, attira il nostro sguardo e i nostri sensi, ci attrae con rispetto e consegna dignità alla nostra intera persona. La persona si abbandona piacevolmente e con fiducia al suo abbraccio. Abitandolo e gustandolo, sentiamo nascere e crescere in noi il benessere, l’essere bene. La serenità e la gioia interiore prendono casa nel nostro animo, il nostro cuore si dilata e gli affetti rinascono, si rafforzano e trovano vigore. Il sentirsi interiormente a posto e in armonia col mondo ci consola, al punto da camminare distesi e a viso sereno osservando gli altri e camminando per le vie della città notando i colori e i rumori. Ci sentiamo amati e immersi nell’armonia della vita e in giuste e buone relazioni con gli altri. Siamo pacificati con l’intero universo creato, addirittura guariti, perdonati e salvati da tanti inferni provocati e subiti, comunque vissuti, che non hanno più potere su di noi.

Dopo aver conosciuto il bene e attraversato l’inferno, dopo aver constatato con Paolo di Tarso che tutto mi è lecito! Sì, ma non tutto giova[8], giunge il tempo di distinguere tra il bene generale (e astratto) e il meglio, il bene particolare a noi realmente possibile. Il meglio è il bene possibile per me in quel preciso momento, sia che la scelta riguardi un istante o l’intera vita.

Nei sogni di Giuseppe, la prima comunità cristiana offre dei criteri sicuri di discernimento. Ci invita alla presa di coscienza della realtà e ad accettarla, a non scegliere il modello o l’idea che si era fatto di una donna, ma quella donna particolare, Maria in carne e ossa. Egli, infatti, l’accetta per come è, nella sua interezza, con la sua storia personale e le scelte da lei compiute. Così, anche noi siamo chiamati a passare da un’idea di vita immaginata o da un modello intravisto, alle relazioni della vita reale, a guardare gli affetti che ci abitano e muovono. Conoscendoli e dando ad essi un nome, sentendo il gusto che portano con sé, non siamo più schiavi. In una umanità integrata che riconosce le tensioni e le distensioni, che sa vedere sia il bene che gli inganni o i legami che avvinghiano, ci si apre alle scelte.

È bene ricordare che non ci sono scelte definitive se non quella, unica e ripetuta, di stare con Dio. E Dio conferma, con la serenità e le consolazioni durature, i nostri passi.

Siamo chiamati a vivere e a fare, oggi, il bene che oggi vediamo! Oggi fai questo, domani sarà domani. Siamo chiamati a scegliere di giorno in giorno con consapevolezza, ricordandoci che il domani non ci è dato di vederlo, ma sarà sempre comunque Dio ad accompagnarci, a precederci e a porsi al nostro servizio, e noi poi al suo.

 

 

 

[1]   In Ger 1,5 Dio parla al profeta e gli racconta: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto (yeda‘tika)».

[2]   In Mt 1-2 sono tre, segno del tempo della risurrezione.

[3]   Stella o astro in latino si dice sīdŭs, sideris, mentre il de indica il moto da un luogo, ma anche una privazione. Dalla composizione dei due emerge il verbo latino desidera, letteralmente “sentir la mancanza di”, che in italiano è tradotto con “desiderare”. Desiderare è il “sentire la lontananza da” qualcosa che la stella simboleggia. Ci mette in movimento offrendoci una meta e una direzione precisa.

[4]   In questo caso Matteo parlandoci di casa utilizza il termine οἰκία, ponendo così l’accento sulle persone e sulle relazioni che intercorrono tra loro. A differenza di οἶκος che significa primariamente i beni e le persone di un’unità abitativa. Cf. Marie-Françoise Baslez, La Chiesa nelle case. Storia delle prime comunità cristiane (dal I al III secolo), Queriniana, Brescia 2024, 12.

[5]   Provando a dare voce all’inferno personale possiamo per esempio dire che a volte prende la forma del sentirsi traditi, soli, abbandonati e ingannati; vuoti, divisi, in continua competizione e lacerante tensione. Altre volte prende il volto della gelosia, che nasce in noi quando altre persone hanno ricevuto le coccole e delle attenzioni che fin dall’infanzia si volevano per noi, o dell’incarico che in fondo in fondo desideriamo e non ci è stato dato, o dall’essere stimati come altri sono stimati. Ma anche dal sentirsi sotto ricatto per gesti e azioni passate, compiute con leggerezza o con cattiveria; di parole dette che si vorrebbe fossero cancellate dalla propria esistenza, ma non è più possibile. Prova allora a scrivere i tuoi. E poi annota il loro gusto, i pensieri e i sentimenti che generano nel tuo essere, nella tua interiorità, nella tua mente.

[6]   Cf. Rm 14,17; 15,13; Gal 5,22.

[7]   Cf. Lc 24,32.

[8]   Cf. 1Cor 6, 12.