N.03
Maggio/Giugno 2025

Friends

 

Desiderare di sfuggire alla solitudine è una viltà.
L’amicizia non la si cerca,

non la si sogna, non la si desidera;
la si esercita: è una virtù.
Simon Weil

 

«Senza amici non avrei potuto essere felice» (s. Agostino, Conf. VI,16.25).

Sant’Agostino, indiscutibile maestro di vita interiore, con franchezza e senza timore di essere giudicato non sufficientemente mistico, fa dell’amicizia l’orizzonte dentro cui solo è possibile vivere felici. 

E questo è interessante per noi, appassionati di interiorità e vocazione. Perché?

Il mainstream contemporaneo annuncia felicità possibili attraverso il possesso di molte cose – griffate o no – o di molti status grandiosi; la realizzazione di sé proposta dagli stili di vita dominanti tradisce, nella sua stessa espressione, una grande solitudine: il sé che si realizzerebbe da solo. Idolatria vorace che chiede sacrifici promettendo ciò che non può dare: la felicità individuale che non esiste nella realtà e in nessuna sana antropologia, non solo in quella cristiana. 

Chi ha inventato il sistema dei social ha colto, invece, il grande bisogno di contatto/i che muove la nostra vita; che si chiamino amici, follower, liker, influencer, fanbase, trend maker… sono tutti convinti di appartenere a una comunità (community appunto) che dà loro – almeno – la sensazione di non essere soli in quel mondo, rappresentato dal fitto bosco del web, paesaggio cibernetico creduto più rassicurante di quello naturale. Emblematica è la ricerca sempre più frequente di un partner attraverso le più svariate app di incontri (anche così dette cristiane!).

Ma essere amici e imparare a volersi bene è ben altra cosa ed è più che mai necessario attingere a quelle mozioni genuinamente umane che il virtuale tenta insidiosamente di sostituire nei nostri giovani (e in noi).

Il tempo della ricerca e del discernimento vocazionale può essere, a giudizio di chi scrive, un tempo favorevole per un annuncio veramente profetico nella sua apparente novità, ai ragazzi e alle ragazze di questo secolo, sulla bellezza e la necessità dell’amicizia come luogo ineludibile di espressione autentica della propria vita e vitalità e come spazio di comprensione della propria esistenza e, quindi, della direzione da prendere.

Sant’Agostino si spinge sul tema in considerazioni piuttosto audaci e, se non fosse lui, un santo di provata fede, a dirlo, quasi ci scandalizzeremmo: 

«In questo mondo solo due cose sono necessarie: la salute e l’amico; queste le cose di grande importanza. La salute e l’amico sono beni propri della natura umana. Dio ha creato l’uomo per l’esistenza e la vita: ecco la salute, ma perché non fosse solo, ecco l’esigenza dell’amicizia» (Disc. 299/D,1); «In tutte le cose umane nulla è caro all’uomo senza un amico» (Lett. 130,2.4).

Qui Agostino sembra parafrasare e prendere sul serio due versetti decisivi della Scrittura, entrambi espressi in Genesi, al principio: «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18) e «La vita dell’uno è legata alla vita dell’altro» (Gen 44,30).

È lontana da Agostino, come dovrebbe esserlo da noi, un’idea funzionale di amicizia, che, ahinoi, è tanto propagandata anche nella vita consacrata e sacerdotale: l’idea cioè che gli amici servano nei momenti difficili per cui è consigliato averne per farcela! 

Il Dizionario Enciclopedico di Spiritualità (ed. Città Nuova) definisce l’amicizia «forma d’amore umano: stato d’amore, simultaneo e reciproco». E a pensarci bene è Gesù per primo che confonde i due piani dell’affetto: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13).

L’amicizia ha infatti tutte le caratteristiche dell’amore: la gratuità, l’interesse per il bene dell’altro, la franchezza, la libertà, la rinuncia… e chiama in causa la vita e la morte. Per questo i verbi legati alla parola amicizia sono verbi concreti, di azione: intessere, costruire, coltivare, fare, legare, (rompere); hanno a che fare con un che di creativo, si direbbe con il Creatore; perché la creatività dell’uomo, la sua operosità così come il suo essere capace di relazione, hanno molto a che vedere con l’immagine e la somiglianza con Dio, comunione di persone, Trinità.

La rivelazione biblica ed evangelica trasmette dunque una visione rovesciata rispetto a quella del mondo: gli amici non sono utili ma essenziali all’umano, non servono ma si trovano. L’amicizia accade nella vita e in questo accadere c’è la dimensione di dono che ci ricolloca nell’esistenza: siamo figlie e figli amati che tutto riceviamo dal Padre che ha cura di noi e sa di cosa abbiamo bisogno. Anche di amici.

La logica dei doni di Dio poi è sempre la stessa, quella della Terra Promessa: Dio la dona ma poi il popolo, una volta giunto lì, la deve conquistare. I doni di Dio sono così: regalo e conquista! 

Non è scontato saper cogliere le opportunità come dono. Ma l’amicizia è così: accade perché Dio la dona, poi va coltivata come seme, custodita come germoglio, potata come albero e gustata come frutto. Per arrivare ai frutti però ci vuole tempo, pazienza, passione… e discernimento. 

Tra i frutti di un’amicizia ben coltivata ci sarà sicuramente il sostegno nel bisogno, il coraggio della franchezza, la correzione nell’errore, la compagnia nell’avventura vocazionale.

Nessun discernimento, nessuna proposta o percorso di preghiera, nessuna pastorale vocazionale nutriranno l’anima e saranno feconde se dapprima non dedicheremo tempo ed energie alla promozione e alla valorizzazione, affatto scontata nei nostri giovani, della dimensione loro più propria e ontologicamente umana dell’amicizia.