N.03
Maggio/Giugno 2025

Una vita orientata alla meta

Imparare dal cammino

Polvo, barro, sol y lluvia
es Camino de Santiago.
Millares de peregrinos
y mas de un millar de años.
Peregrino, ¿Quién te llama?
¿Qué fuerza oculta te atrae?
Ni el Campo de las Estrellas
ni la grandes catedrales
No es la bravura navarra
ni el vino de los riojanos
ni los mariscos gallegos
ni los campos castellanos.
Peregrino, ¿Quién te llama?
¿Qué fuerza oculta te atrae?
Ni las gentes del camino
ni las costumbres rurales.
No es la historia y la cultura
ni el gallo de La Calzada
ni el palacio de Gaudi
ni el Castillo de Ponferrada.
Todo lo veo al pasar
y es un gozo verlo todo
mas la voz que a mi me llama
la siento mucho más hondo.
La fuerza que a mi me empuja
a fuerza que a mi me atrae
no se explicarla ni yo.
Sólo El de arriba lo sabe!

Eugenio Garibay Baños

 

È fin troppo scontato scrivere che “il pellegrinaggio è metafora della vita”; forse lo è di meno affermare che gli atteggiamenti di chi cammina verso una meta di fede possono indicare lo stile di vita di chi risponde a una chiamata. «Peregrino, ¿quien te llama? Pellegrino, chi ti chiama?». Anche il pellegrinaggio scaturisce da qualche sorta di vocazione: «La voz que llama, la voce che chiama»;  si può trattare del racconto di un amico, della lettura di un libro, della visione di un film o di un documentario… C’è un richiamo concreto che dà la stura alle motivazioni profonde che sottendono il partire, «la fuerza oculta que empuja y atrae, la forza misteriosa che spinge e attira». In essa, riconosce il poeta, agisce misteriosamente «El de arriba. Quello di sopra»; in altre parole: Dio. La vocazione non si manifesta se non attraverso una serie di mediazioni, che richiedono di venire accolte e riconosciute come espressione della volontà divina.

Sì, ma dopo la partenza che succede? Accadono molte cose, ovviamente diverse per ciascuna persona; è però possibile, attraverso l’analisi dei racconti dei pellegrini, individuare alcune costanti, che appartengono all’itinerario della risposta alla vocazione. Questa operazione si può compiere con una certa facilità perché la “letteratura odeporica” contemporanea si caratterizza per l’attenzione a comunicare il vissuto interiore. Al lettore di oggi, infatti, non interessano le descrizioni minuziose riportate nella diaristica dei secoli passati: è il percorso intimo del soggetto a venir descritto con dovizia di particolari, sia negli scritti che negli altri prodotti editoriali. La cosa vale in primis per il Camino de Santiago, sia per gli ormai quasi 50 anni dalla sua sorprendente rinascita (erano appena 231 gli arrivi nel 1979!), sia per la quantità di persone che, avendolo percorso, hanno prodotto racconti di vario genere, sia per la molteplicità di prodotti culturali che vi hanno tratto ispirazione.

 

Il desiderio di una vita diversa

«Santiago mi ha cambiato la vita», si legge spesso nei racconti dei pellegrini. Perché in fondo ciò che motiva a fare qualcosa di tanto estraneo alla cultura secolarizzata di oggi – incamminarsi zaino in spalla verso una meta sacra – è la percezione, più o meno confusa, di desiderare una vita diversa, poiché a quella che si sta vivendo manca qualcosa. Un’insoddisfazione a volte sottile, a volte patente, che a un certo punto non si sazia più nei circuiti del consumismo o del “turismo esperienziale”, ma chiede risposte di ben altro spessore.

L’aspettativa di una vita differente e migliore, sotto l’aspetto qualitativo, è una dinamica vocazionale importante: il Signore chiama a un’esistenza ispirata a criteri diversi da quelli del mondo, ma piena di senso e di speranza.

 

La necessità di lasciare

Anche se non succede più, come nel Medioevo, che si faccia testamento prima di partire e si compiano solenni riti di vestizione, la percezione di dover abbandonare la vita quotidiana, con i suoi ritmi e le sue abitudini, rimane assai viva. Anche oggi, infatti, chi si fa pellegrino vive un distacco significativo rispetto all’esistenza di tutti i giorni: si cambiano abiti, organizzazione del tempo, compagnie, stili di vita… in direzione di un’estrema essenzialità. Basti pensare alla ridottissima quantità di oggetti che si possono portare con sé, dovendone sostenere il peso nello zaino.

Rispondere alla chiamata di Dio implica sempre lasciare qualcosa o qualcuno; eppure tale distacco può essere accolto e vissuto con gioia, se si percepisce che esso è necessario per intraprendere un cammino esaltante.

 

Una vita “orientata” alla meta

Per tutto il tempo del cammino, la vita del pellegrino è unificata dal fondamentale orientamento alla meta: tutti i pensieri, le azioni e le relazioni di quei giorni – pochi o tanti che siano – traggono senso dalla volontà di completare l’itinerario. A una vita frenetica, che si percepisce spesso come caotica e priva di senso, densa com’è di attività senza un nesso tra loro, si sostituisce un’esistenza con ritmi e occupazioni definite e unificate, ma estremamente pacificante. Non è il relax delle vacanze, perché il pellegrinaggio è tutt’altro che rilassante: basti pensare alla fatica di certe salite, al rigore di certe giornate di freddo e pioggia e a vari malanni che accompagnano il cammino; è piuttosto una manifestazione di quella tranquillità interiore che scaturisce dal “mettere ordine nella propria vita”, come affermava Sant’Ignazio nei suoi Esercizi spirituali.

Il dono della vocazione è tanto più apprezzabile quanto più essa si mostra capace di unificare l’esistenza in tutti i suoi aspetti, mettendovi ordine e orientandola al conseguimento di obiettivi significativi per sé e per gli altri. Il percorso di risposta deve contemplare un progressivo, pacificante orientamento della persona attorno agli ideali della chiamata.

 

Una serie di sorprendenti scoperte

Nei racconti dei moderni pellegrini l’elemento-sorpresa è ben presente, legato per lo più non al contatto con qualche meraviglia dell’arte e della natura (che non mancano), ma alla scoperta di nuove dimensioni della propria umanità: la bellezza del silenzio e della solitudine, la soddisfazione del sacrificio e della fatica, la possibilità di un incontro non superficiale con le persone, l’emergere di un’interiorità sopita dal frastuono della vita quotidiana. Il pellegrinaggio viene vissuto come opportunità di riscoperta del senso autentico di sé, degli altri e del mondo. In tutto questo, l’emotività svolge un ruolo fondamentale; favorite dal silenzio e dallo stupore, le emozioni sorgono potenti, con una forza che travolge i paletti della fredda razionalità con la quale si pretende di comprendere e gestire la vita.

La risposta alla vocazione introduce in una situazione esistenziale nuova, potenzialmente caratterizzata da molte scoperte, le quali non possono non coinvolgere la dimensione emotiva della persona; occorre non vanificare tali opportunità, incoraggiando un atteggiamento “esplorativo” e sostenendo il discernimento necessario per cogliere e assimilare il senso di ciascun avvenimento.

 

La questione seria dello Spirito

Sono una minoranza le persone che partono con intenti dichiaratamente religiosi o consapevolmente spirituali; dietro l’aspettativa del cambiamento, infatti, raramente sta la percezione che esso sia prima di tutto una questione spirituale. Nel corso del cammino, però, una serie di fattori schiudono a tale dimensione: i succitati “silenzio” e “solitudine”, ma anche l’incontro con la gente, le cose e i riti della tradizione cristiana. Difficilmente, infatti, il pellegrino si sottrae alle preghiere di benedizione, alla visita di chiese e conventi, alla ripetizione di riti collegati al trascendente. Per non parlare dei simboli cristiani che punteggiano il percorso, molto abbondanti nelle antiche vie. Ci sono poi gli incontri con uomini e donne “di Chiesa”: preti, frati e suore, ma anche volontari e ospitalieri laici di associazioni e confraternite, i quali – a loro volta pellegrini in passato – sostengono i viandanti nel percorso di emersione delle problematiche e spirituali  e religiose  che ciascuno si porta dentro. Come dimenticare certi colloqui serali negli ospitali?

L’inizio di un percorso vocazionale contiene necessariamente elementi spuri, frutto della storia pregressa, delle ferite, dei limiti e delle precomprensioni di ciascuno. Nel corso dell’itinerario non possono mancare incontri, esperienze e conoscenze che mettono progressivamente in contatto con ciò che è essenziale a autentico, consentendo di far emergere, identificare e maturare gli atteggiamenti giusti per vivere la vocazione ricevuta.

Il Giubileo, che ci sollecita a riscoprire il pellegrinaggio, ci invita ad attingere da questa antica esperienza cristiana una sapienza nel percorrere il cammino della vita e della vocazione.