Fermatevi e sappiate che io sono Dio!
L’ascolto del silenzio
Si cammina sulle strade della vita e, insieme, si cammina anche sulle strade della nostra interiorità; si conosce il creato, si conosce l’uomo, ma intanto si incrocia ciò che vive nel profondo di noi, quel mistero che ci abita e che talvolta si affaccia reclamando ascolto. Questo avviene spesso a nostra insaputa, al di fuori dalla nostra piena consapevolezza, ma, avviene, avviene sempre; il problema sta nella fatica che ci comporta il fermarci ad ascoltare, soprattutto ad ascoltarci.
Perché tanta fatica? Perché spesso preferiamo darci mete, anche legittime e sante, che ci chiedano di camminare, se non di correre, piuttosto che prestare ascolto a qualcosa che da dentro ci sollecita a una pausa di riflessione? Forse c’è qualcosa dentro di noi che ci spaventa, ci preoccupa, ci crea disagio? E perché?
Già il fatto di rispondere a queste domande ci chiede di fermarci, per cui entriamo in una sorta di circolo vizioso: preferisco non fermarmi e preferisco anche non chiedermi il perché, un perché a cui di fatto non posso trovare risposta se non fermandomi…
Allora il primo passo da compiere – o da non compiere – è proprio questo. Mentre cammino sulle strade della mia vita di tutti i giorni, cioè mentre studio, lavoro, faccio sport, esco con gli amici… provo a darmi un’altra opzione che magari fino ad oggi non ho preso in considerazione: l’opzione STOP! Che vuol dire mettere un punto, interrompere, concretamente provare a dirsi: “Questa cosa, che ho sempre fatto, più o meno volentieri (un conto è uscire con gli amici un conto è studiare…), può anche, oggi, non essere fatta, e posso provare a fare qualcosa di alternativo… a fermarmi”.
Quando ci si ferma, soprattutto se si viene da ritmi di vita incalzanti, la prima impressione può essere quella di un vuoto davanti a sé che appare persino minaccioso, come se avesse il potere sinistro di comunicarmi chissà cosa. Il vuoto ci destabilizza, proprio in quanto rompe schemi che, spesso senza che ce ne rendiamo conto, ingabbiano la nostra vita: ci può sembrare libertà la possibilità di scegliere come gestire il nostro tempo, ma forse dovremmo chiederci quanta libertà abbiamo di rompere abitudini consolidate, di uscire da stereotipi che ci costringono inavvertitamente a vivere una routine. Il semplice fermarsi può allora essere davvero un atto di grande libertà interiore, che, come tutte le scelte alternative, richiede coraggio. Chiunque abbia compiuto pellegrinaggi impegnativi, sa cosa si prova quando si ha davanti un lungo tratto di strada deserta e magari un po’ inospitale… solo i coraggiosi la affrontano e si addentrano, tanto più se sono da soli.
Compiuto questo primo passo, cioè quello di aver scelto di non fare passi, si presenta un interrogativo inquietante: “Come riempio questo vuoto? Cosa ne faccio di questa manciata di minuti, ore, giorni (volesse il Cielo che fosse così ampio!) che mi stanno davanti?”. Immediato potrebbe essere il ricorso agli auricolari, perché c’è sempre qualcosa che vale la pena ascoltare, qualcosa anche di edificante, formativo… Ma già stiamo tradendo l’opzione STOP! Perché anche l’ascolto di cose interessanti può divenire routine, abitudine, con il rischio che si fa indigestione di contenuti di cui non si percepisce più il gusto profondo.
Allora, la domanda è: come gestire il tempo di pausa che ci siamo coraggiosamente concessi, perché sia veramente fecondo di vita per noi, dia l’accesso a spazi inesplorati dove si nascondono sorprese impensabili?
Suggerisco una pista, senza voler assolutamente esaurire le possibilità, che sono lasciate alla creatività di ciascuno di noi: ripeto, la pausa è un grande spazio di libertà che ci concediamo, ma non va sciupato!
Fermarsi vuol dire imparare ad ascoltare il silenzio, che non è mai muto, ma sempre gravido di messaggi, di quei messaggi sommessi e discreti che la nostra quotidianità ingolfata soffoca. Partiamo dai più semplici: la creazione parla! Per capirci, stiamo parlando di quella “voce di silenzio sottile” che raggiunse Elia sul monte Oreb (cf. 1Re 19,12). Bisogna avere la pazienza di “stare” per poterli raccogliere, stare dentro uno spazio interiore che inizialmente potrà apparire vuoto, ma se non ci stanchiamo di attendere si potrà colorare di vita: dove vita vuole dire contatto con quella parte di noi che non riusciamo a raggiungere se non facendo tacere il resto, tutto il resto… anche ciò che è utile e sano. Per sentirci veramente vivi, fino in fondo vivi, pienamente vivi, dobbiamo avere il coraggio di esplorare questa parte nascosta e profonda. E la creazione, nel suo offrirsi silenzioso e in qualche modo passivo, ci aiuta a compiere questo percorso dentro di noi: quasi come il cancello che immette in un giardino segreto, anche a noi stessi, ma dove c’è qualcosa che ci riguarda, di più, ci identifica, ci rende veri.
Certo, la creazione parla anche con il fragore di un vento impetuoso o di un tuono assordante, e anche questi messaggi vanno ascoltati e decifrati: ma questi sono messaggi che si impongono e ci costringono al famoso STOP, sono modi violenti e imperativi, di fronte ai quali in genere ci attrezziamo a dovere, sfoderando le nostre risorse, sperando che tutto passi in fretta per riprendere il cammino prima possibile. Fuori di metafora, quando accadono eventi importanti capaci di bloccare la vita (lutti, malattie, incidenti…), allora sì, ci si ferma, ma si rischia anche in questi casi di non saper ascoltare e di non rendere fecondi di vita quei luoghi che appaiono a prima vista solo di morte. Imparare a fermarsi e ascoltare, meglio, contemplare la vita che ci circonda, sarà un allenamento prezioso per poter ascoltare e comprendere anche eventi estremi, ostici, e accoglierli quali voce attraverso cui Dio ci visita.
Già, Dio: il Dio che in Gesù ha creato noi e tutto quanto ci circonda, il Dio che ci ha regalato la vita perché camminassimo in essa, che segue questo nostro pellegrinaggio passo dopo passo, inavvertito, a volte proprio dimenticato, persino tradito… ma Lui sempre al nostro fianco, fedele, paziente, misericordioso, affidabile. Ci corre a fianco, ci corre dietro, anche se dovremmo essere noi a correre dietro a Lui, a lasciare che apra il cammino; ma spesso e volentieri lo precediamo, pretendiamo di essere noi a insegnare la strada a Lui. Negli stessi apostoli abbiamo esempi evidenti di questa modalità maldestra di sequela, basti pensare a Pietro richiamato da Gesù: «Vai dietro a me…!» (Mc 8,33).
Se riusciremo a seguire i passi di Gesù con umiltà e fede – ed è impossibile vivere la fede senza umiltà – scopriremo che la sequela prevede inevitabilmente soste. Gesù stesso si è tante volte ritirato in disparte, sottraendosi alle esigenze dei discepoli e delle folle per cercare nel silenzio un dialogo con il Padre: anche Lui, Dio, aveva bisogno di rientrare in se stesso, per ritrovarsi in un contatto più intimo con il Padre e lo Spirito. Seguire Gesù vuol dire allora ripetere, con Lui e in Lui, questa esperienza di sosta silenziosa e orante, dove entrare in contatto con Dio e con noi stessi, con quella Sua voce che parla nell’intimo della nostra coscienza.
Il Signore stesso ci ha fornito anche una mappa per questo pellegrinaggio, ed è la sua Parola: in quel libro santo c’è scritto tutto quello che serve a non smarrirsi. Le soste possono e devono essere quel momento provvidenziale in cui tirare fuori la mappa e studiare l’itinerario di viaggio: rivedere i passi già compiuti per comprenderli, programmare quelli futuri per non perdersi. Proprio come un tempo si faceva con le cartine geografiche e ora con Google maps… si studia il percorso alla luce della Parola, lampada ai nostri passi!
E così poi… si riparte, non senza di Lui!