La festa del perdono
La Confessione, sacramento da riscoprire
Quando, in un piano pastorale, si parla del sacramento della Confessione, generalmente si corre subito alle strategie da adottare, oppure si marcano le difficoltà che incontrano i più giovani (ma non solo…), o ci si perde in sofisticate analisi dell’immancabile “crisi” di questo sacramento. Quando addirittura non si tenti di forzare la forma celebrativa ordinaria, per “adattarla” arbitrariamente secondo la sensibilità e le propensioni del momento… Come se il problema fosse trovare il modo di far assumere la “medicina”, rendendola gradevole al palato. Ma conosciamo sul serio il potenziale di questo farmaco sacramentale, ne apprezziamo noi per primi i formidabili principi attivi?
Ritengo che il sacramento della Confessione sia tendenzialmente poco frequentato perché non è conosciuto per ciò che realmente è; soffre di una comprensione riduttiva, che per molti cristiani è rimasta la stessa di quando erano bambini. Non essendo avvertito come decisivo per la vita, difficilmente si continuerà a praticarlo con convinzione.
Mi vengono in mente le parole di Gesù alla Samaritana: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4,10). Se i cristiani conoscessero quale grazia sia potersi confessare e vivere in amicizia con Dio, riconciliati nella Chiesa, se si accorgessero da che cosa li salva questo sacramento, se “vedessero” tutto ciò e ne sperimentassero la consolazione, ci sarebbe la coda ai confessionali!
Siamo onesti: se uno non arriva a cogliere personalmente il senso, la bellezza, l’intima necessità della Confessione sacramentale, difficilmente si confesserà o, al massimo, continuerà a farlo per abitudine, per tranquillizzare la propria coscienza.
Il fascino della Confessione – come del resto dell’intera vita di fede e della sua espressione sacramentale – emerge quando si arriva ad apprezzare il sacramento esattamente per ciò che è, evitando di farlo sequestrare alla deriva emotiva o al grande evento pastorale: lo spoglierebbero del suo carattere sobrio e feriale.
Nessuna falsa opposizione tra teologia e pastorale, dottrina e spiritualità. Al contrario: quanto più sono conosciute e apprezzate le grandi ragioni del sacramento, tanto più se ne ricava conforto spirituale e robusta motivazione per la sua pratica. In proposito, vorrei segnalare tre piste per riscoprire la bellezza della Confessione, sostando nell’esperienza grata della misericordia divina.
- Anzitutto, l’impagabile dolcezza di sapersi perdonati da Dio, che è l’effetto principale del sacramento, la sua ragion d’essere. Lo comprende bene chi ritorna al Signore dopo un tortuoso itinerario di conversione e rilegge la propria vita come fasciata dalla misericordia di Dio; quale gioia potersi finalmente confessare, sentirsi dire quelle parole tanto attese: «Io ti assolvo dai tuoi peccati…»!
La Confessione è legata certo al senso del peccato, all’affinamento della sensibilità spirituale: anestetizzata questa, e socialmente normalizzati atti che pur restano peccati, il sacramento della Penitenza si trova svuotato dall’interno e ridotto a terapia di conforto, colloquio confidenziale col prete, meglio se simpatico e “aggiornato”.
Insisto però che la riscoperta della Confessione richiede a monte di aver sperimentato la bellezza dell’amicizia con Dio, di intrattenere già una relazione personale con il Signore Gesù. Per chi riconosce quale tesoro sia vivere in grazia di Dio, diventa insopportabile restarne escluso a motivo del proprio peccato: è questo a far desiderare la Confessione, a farla apprezzare come la porta del perdono divino. Solitamente, infatti, le confessioni meglio celebrate sono quelle che più abbiamo desiderato.
- La bellezza del Sacramento del perdono brilla poi per la riconciliazione con la Chiesa, al punto che “Riconciliazione” è uno dei nomi con cui viene designato il quarto sacramento.
Essere cristiani non è un fatto privato; non esiste vita cristiana se non nella Chiesa, nel corpo ecclesiale il cui capo e sposo è il Signore Gesù. Per questa ragione ogni peccato, anche se occulto, o che apparentemente non danneggia altre persone, sempre intacca la comunione di grazia e di santità che unisce i membri della Chiesa, ed esercita su di essi una misteriosa, ma reale ripercussione.
La Confessione sacramentale non solo “aggiusta le partite dell’anima”, riscattando il battezzato, ma lo ripristina al contempo in quella comunione da cui si era distaccato col peccato. È istruttiva in proposito la vicenda del “figliol prodigo” della famosa parabola: ricevuto dal padre l’abbraccio di perdono, egli viene immediatamente reintegrato nella posizione di figlio del possidente, di cui sono segno il vestito bello, l’anello e i sandali (cf. Lc 15,22). Allo stesso modo, accogliendo pentiti il perdono di Dio, torniamo ad essere titolari legittimi di quei beni comuni ai membri della Chiesa e a rallegrarci perché sono destinati proprio a noi: la grazia di ascoltare la Parola di Dio, di adorare il Signore nel suo Corpo e comunicare ad esso nell’Eucaristia, la partecipazione alla Comunione dei Santi, la grazia della fraternità e della parentela divina, la speranza della vita eterna… Ecco i beni di cui torniamo a godere quando il cuore è riconciliato con Dio!
La riconciliazione con Dio e con la Chiesa, sebbene non si identifichi con un generico invito al perdono reciproco, tuttavia alimenta potentemente la comunione fraterna e la promuove in senso non volontaristico. È un fatto: una comunità, una famiglia, un gruppo dove sia andata smarrita l’abitudine di confessarsi, si espone più facilmente a conflitti difficili da rimarginare. In effetti, come si può chiedere (o concedere) a cuor leggero il perdono ad altri, quando non siamo avvezzi a ricercarlo anzitutto da Dio? Se io per primo non mi considero un redento, uno a cui è stato molto perdonato (cf. Lc 7,47), per quale motivo dovrei fare il primo passo e gettare ponti di riconciliazione? Certe fratture non si rimarginano più, perché forse manca alla radice l’esperienza grata del perdono divino.
- Il sacramento della Riconciliazione, inoltre, permette di progredire nella vita spirituale e di ordinare la propria esistenza secondo Dio, fin nei dettagli. La Confessione non va pensata soltanto “in negativo” (come rimozione del peccato e ripristino della situazione precedente), ma anche “in positivo”, quale via concreta di santificazione: prima, forse, si viveva illudendosi di essere giusti; ora, invece, si è certi d’essere stati giustificati, guardati con immeritata misericordia e teneramente amati.
Questa consapevolezza poco alla volta trasforma interiormente: chi sa d’essere stato largamente perdonato, ne conserva viva gratitudine, e starà attento a non incorrere nuovamente nelle medesime colpe, di cui ha maturato vivo disgusto. Ecco come la Confessione regolare permette di avanzare nella vita cristiana, per riscoprirne la nobile bellezza.
Senza contare poi che chi si confessa regolarmente matura quasi senza accorgersene una più acuta sensibilità di coscienzae una conoscenza più accurata di se stesso, dei dinamismi spesso ripetitivi a cui andiamo soggetti, delle nostre strategie di difesa e giustificazione; conoscerle in anticipo è già una mezza vittoria.
E come non rallegrarsi della pace soave che lascia nell’animo una confessione ben fatta! Accompagnata dalla certezza del perdono di Dio, sigillato dalle solenni parole dell’assoluzione.
Se il sacramento della Confessione è tutto questo, allora il giorno in cui ci si confessa è davvero un giorno bello, atteso e, possibilmente, preparato. È la festa del perdono, è l’espansione della divina misericordia, è la redenzione del Signore che riscatta proprio me!