N.05
Settembre/Ottobre 2025

La linea sottile

“La gente fa il male perché non se ne accorge, o perché è comodo, o perché non può fare altrimenti. Per sopravvivere. Per preservare la propria anima da mali più grandi. I malvagi sono per lo più persone insignificanti”.

Giorgia Protti, La giusta distanza dal male, Einaudi

 

Come si perde un’anima? Siamo abituati a pensare che siano le cattive azioni a farci perdere l’anima, ma forse c’è un modo più triste. Perdiamo l’anima nella routine, nell’eccesso di lavoro, nella de-umanizzazione dei rapporti, nella perdita o trascuratezza delle relazioni, nel disinteressarci a noi stessi, nello smettere di incontrare la bellezza della vita (“Sei cintura nera di come se schiva la vita”, dice in altro luogo Armadillo a Zerocalcare), nel rinunciare a trovarvi uno scopo. È quello che accade alla protagonista del romanzo, giovane medico in un grande pronto soccorso di città, tramortita da una professione durissima e intrappolata in giorni che sembrano sempre uguali: “Non vedo più un futuro ma solo un eterno, nauseabondo presente”. Nel susseguirsi dei turni di lavoro, costellati di casi più o meno tragici, in cui tra il caos e la scarsità di risorse disponibili emergono i limiti del sistema e il rifiuto dell’accettazione del limite degli umani, in un non-luogo dove la speranza siede a fianco della disperazione e dove anche il migliore dei dottori si chiede se sia giusto salvare chi fa di tutto per rovinarsi la vita, si rende un automa, rifiuta di ascoltare il dolore altrui ed elimina l’empatia, la tenerezza, l’amore. La sua vita diventa un buco nero inesorabile che inghiotte non solo i pazienti, ma anche il rapporto con il suo compagno, con le amiche, con i colleghi. Ma anestetizzare il cuore di fronte alla sofferenza significa perdere anche la capacità di vedere il bene, il bello e il buono che sono nel mondo – e negli altri – che sanno riempire l’anima di meraviglia e di calore. Privata del bene, (come ben sanno anche i Dissennatori in Harry Potter) l’anima si svuota, deperisce, si congela nell’apatia fino a diventare senza senso: un insignificante guscio vuoto. Glielo spiega Lucifero in persona, diavolo apparentemente custode, scanzonato, fintamente affabile, ma in realtà crudele tentatore. Prima la accompagna a visitare i tanti piccoli “inferni” sulla terra in cui gli esseri umani perdono la loro anima, poi le propone un ovvio scambio, diabolico nella richiesta e nella manipolazione. Ed è qui che la domanda cambia: come si salva un’anima? La risposta è in un finale onirico-fantastico, ma, soprattutto, in noi.