Le sette armi spirituali
Un'opera di Santa Caterina da Bologna
La decisione di rinunciare al pensiero o sentimento che non viene da Dio è il primo passo del combattimento spirituale, ma certamente non è l’unico. La buona battaglia che siamo chiamati a combattere contro le suggestioni del Maligno è un’arte tramandata da tutti i maestri nello spirito. Evagrio Pontico è stato uno dei primi maestri a “catalogare” i pensieri malvagi indicando come potersi difendere e quali strategie di prevenzione e attacco utilizzare. Quasi sempre si fa riferimento alla sua autorità quando si affronta l’argomento del combattimento spirituale e molti sono i testi che ne presentano il pensiero. Non volendo ripetere quanto già altri hanno ben approfondito[1] e desiderando attingere dalla ricchissima tradizione francescana presento in breve Le sette armi spirituali, opuscolo che santa Caterina da Bologna ha tenuto nascosto per tutta la vita lasciando scritto che fosse consegnato al suo confessore dopo la sua morte avvenuta a Bologna il 9 Marzo 1463.
A chi sono destinate le armi spirituali e con quali condizioni
Caterina scrive alle novizie del monastero: il suo insegnamento si rivolge dunque in modo particolare a coloro «che sono da poco entrate nel campo della battaglia spirituale […] affinché abbiamo motivo di stare sempre nel timore, non confidando mai in se stesse, cioè nel proprio senno»[2].
Le sue parole mostrano bene che non si tratta di «una accolta di smidollate, svanite o deluse ragazzine, ma donne bramose di amore e di gloria imperitura, che non si accontentano dei posti in fondo alla sala del trono, ma vogliono quelli accanto al loro Signore e Sposo»[3].
A chi ha deciso di servire Dio è richiesto di «purificare la coscienza mediante una pura ed integra confessione e fare fermissimo proposito di non voler mai più peccare mortalmente»[4]. A questo si aggiunge la necessità «che il fedele servo di Cristo si disponga a voler andare per via di croce, poiché quelli che servono Dio devono fare battaglia contro gli avversari dello stesso Dio e da parte loro ricevere diversi angosciosi colpi»[5].
Caterina indica dunque due presupposti fondamentali prima di presentare le sette armi spirituali: un cuore puro, reso tale attraverso il sacramento della confessione, e la decisione di percorrere la via della croce. Senza questi due atteggiamenti, nessuna arma potrà davvero sostenere nel combattimento. Il cuore puro, mediante la confessione, è il primo passo decisivo: la rottura con il peccato. La via della croce, invece, rappresenta la scelta ferma di seguire Cristo, rifiutando la comodità del mondo.
Qualunque persona fosse di così nobile e gentilissimo cuore da voler prendere la croce per Gesù Cristo nostro Salvatore, che morì in campo di battaglia per darci la vita, prima prenda le armi necessarie ad una simile battaglia e soprattutto quelle che di seguito indicherò in ordine. La prima è la diligenza, la seconda la diffidenza verso se stessi, la terza confidare in Dio, la quarta la memoria della passione, la quinta la memoria della propria morte, la sesta la memoria della gloria di Dio, la settima e ultima è l’autorità della santa Scrittura, come ne dà esempio Cristo Gesù nel deserto[6].
- La prima arma: la diligenza
La prima arma spirituale indicata da Caterina è la diligenza, cioè la sollecitudine nel compiere il bene. I negligenti e i tiepidi sono maledetti nella Scrittura (Cf. Sal 11,21; Ap 3,15-16; TestCh 76: FF 2851).
Il compito dell’uomo è custodire i doni di Dio, le ispirazioni dello Spirito «facendo continuamente violenza alla nostra sensualità, la quale ci invita all’opposto di ciò che vuole lo Spirito»[7]. Bisogna però fare attenzione a “strafare”: infatti quando il nemico non riesce a impedire il bene, cerca di ingannare proponendo il troppo fare, perfino sotto apparenza di cose buone o spirituali, fino a condurre allo sfinimento.
Tanta è la loro malizia che usano anche quest’altro inganno, cioè che, vedendo la religiosa tanto fervente che non la possono trattenere dal fare il bene, cercando di mandarla troppo avanti con un indiscreto operare oltre la regola comune. E per questo, abbandonata l’arma della discrezione, in breve tempo diventa debole o cade in qualche infermità, e così è costretta a lasciare l’esercizio dell’orazione e di tutte le altre virtù[8].
Per questo, accanto alla diligenza, è indispensabile la discrezione, il discernimento che sa dare misura all’agire.
I Padri ammonivano con realismo: l’ottimo è nemico del bene. Non tutto ciò che sembra virtù lo è davvero; la vera diligenza è quella che persevera nel bene con prudenza, equilibrio e fedeltà allo Spirito.
- La seconda arma: la diffidenza verso sé stessi
La seconda arma è la diffidenza di sé, cioè credere fermamente che mai da se stessi si può fare qualcosa di buono, come disse Gesù: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5).
La capitale importanza che la diffidenza verso se stessi è un’arma spirituale potente è nata in Caterina dopo essere caduta per qualche tempo negli inganni del demonio «solo per aver immaginato dentro di sé di poter contrastare e resistere alla malizia e alla potenza diabolica»[9].
Chi confida nel suo sapere «cadrà in grande rovina, dal momento che quel nemico è più malizioso di noi, anzi è la malizia stessa»[10].
In tutto il trattato Caterina ritorna più volte al monito di non confidare in se stessi perché è stato proprio questo il motivo dell’inganno subito.
Il demonio non potendola fuorviare con lusinghe evidenti, le è apparso sotto le sembianze di Cristo e di Maria chiedendole scelte di privazione e mortificazione. E così da una parte la induceva a ritenere che riusciva a operare il bene solo per merito di se stessa[11], dall’altra la portava alla disperazione non riuscendo a trattenere i giudizi verso la superiora.
Dio ha permesso al maligno di ingannare Caterina «affinché una volta umiliata, avesse motivo di stare in perfetto timore e comprendere che solo Dio era colui che le poteva dare l’intelletto e la forza contro i suoi nemici»[12]. Alla luce di questa esperienza risulta chiaro a Caterina che «veramente manca di vero intelletto chi pensa di avere qualcosa di suo se non colpe e difetti»[13].
Il confronto con gli altri e l’obbedienza reciproca sono fondamentali per non cadere in questa falsa presunzione di sé. A tal proposito Caterina narra un episodio di un anziano religioso:
essendo lui superiore, quando gli capitava di fare qualcosa pertinente al suo ufficio circa il governo del monastero, se la faceva solo secondo il suo parere, Dio permetteva che per lo più ne seguisse qualche affanno o tribolazione; e al contrario disse che, quando la faceva con il consiglio e il parere della maggior parte dei suoi sudditi, sempre gli riusciva ben fatta e ne trovava grande consolazione[14].
Tale considerazione, ovvero il non fare nulla senza il parere dell’altro, è un’arma possibile a tutti e non riguarda solamente chi vive in convento o in monastero. Tutti i cristiani sono chiamati a sottomettersi gli uni gli altri nel timore di Cristo (Ef 5,21), e di questo sono testimoni visibili in particolare modo i coniugi.
- La terza arma: confidare in Dio
La terza arma spirituale è confidare in Dio senza temere la battaglia e i pericoli. Bisogna affrontare gli avversari «con ferma speranza in Dio, che ci offrirà in abbondanza la sua grazia, per mezzo della quale avremo piena vittoria sui nostri nemici, sapendo come Dio non abbandona chi spera in lui»[15].
Il momento più difficile nel quale sfoderare questa arma è il tempo dell’aridità spirituale quando non solo ci si sente attaccati dal nemico, ma si percepisce l’assenza di ogni consolazione. La desolazione è un tempo della vita spirituale nel quale tutti bisogna passare, soprattutto coloro che desiderano amare il Signore con tutto il cuore. La vita di tutti i santi attesta che il tempo della desolazione, dell’aridità, della mancanza di fede, del dubbio sull’amore di Dio riguarda soprattutto coloro che fanno sul serio con Dio. E Dio fa sul serio con loro e li purifica e permette loro di vivere uniti alla passione di Gesù.
S’ingannano perciò quelli che vanno al servizio di Dio credendo di servirlo con dolcezza e soavità di spirito e pace mentale, poiché questo non è ciò che Dio richiede ai suoi servi fedeli, anzi li invita a battaglia, dicendo: «Chi vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24). Di questo abbiamo esempio in lui stesso, quando discese dal cielo in terra, non per trovare riposo, bensì per affrontare battaglia e ricevere per onore il disprezzo, per riposo la fatica, per ricchezza la povertà, per sazietà la fame e la sete e in breve affrontò una tale guerra, che volle morire in campo di battaglia[16].
La prova della desolazione è la più dura per le anima che amano Dio «poiché non c’è dolore più grande di quello che patisce l’anima che pensa e crede di aver perduto la grazia di Dio […] e non lo può comprendere se non chi l’ha provato»[17]. In realtà l’anima pensa e crede di essere abbandonata da Dio, ma non lo è, anzi Lui è unito a lei con l’amore e «la dimostrazione si comprende per la presenza del dolore, poiché tanto è l’amore, quanto il dolore. Dunque avviene che l’anima, che si duole perché non sente amore, possieda insieme l’amore col dolore, dal momento che non ci si può dolere di ciò che non si ama»[18].
Nel tempo della prova l’amico di Dio resta legato alla propria condizione di vita senza fare nessuna scelta se non quella di ancorarsi alla fiducia in Dio attendendo che passi la tempesta e riceva la consolazione, come dice l’apostolo Giacomo: Beato l’uomo che resiste alla tentazione perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promesso a quelli che lo amano. (Gc 1,12).
- La quarta arma: la memoria della passione di Cristo
La quarta arma spirituale indicata da Caterina è la memoria della passione di Cristo. Essa consiste nel tornare continuamente con la mente e con il cuore a quanto Gesù ha vissuto per amore nostro, «portando sempre la presenza della sua castissima e verginale umanità davanti agli occhi dell’intelletto»[19].
La passione è la maestra sapientissima della vita cristiana: contemplandola, impariamo ogni virtù e veniamo resi capaci di perseverare nella sequela del Signore.
Questa è un’indicazione tipica del carisma francescano: tenere davanti agli occhi del cuore il Crocifisso, lasciarsi commuovere dal suo amore e rispondervi amando i fratelli. Non a caso, secoli più tardi, san Leonardo da Porto Maurizio diffonderà la pratica della via crucis, proprio per educare i fedeli a vivere ogni giorno questa memoria.
Il principio spirituale è semplice e radicale: tu diventi ciò che guardi. Contemplando con fedeltà il Cristo crocifisso, la nostra anima si lascia trasformare dal suo amore e si conforma a Lui.
- La quinta arma: la memoria della propria morte
Memento mori, ecco la quinta arma della vita spirituale. La memoria della propria morte non viene richiamata per aumentare la paura, ma per sollecitare il fedele a riconoscere che questo è il tempo della misericordia «nel quale Iddio ci aspetta di giorno in giorno, affinché emendiamo la nostra vita di mene in meglio»[20].
Quanto è salutare, soprattutto quando siamo assaliti dall’ansia delle cose che restano da fare, ricordarci di sorella nostra morte corporale. Tutto acquista un’altra prospettiva. Si va all’essenziale della vita. Se dovessi morire stanotte cosa sarebbe essenziale vivere in queste ultime poche ore e cosa invece varrebbe la pena di lasciare?
Il ricordo della morte è come la medicina all’ansia e agli inganni del nemico. Le parole che Dio dice al ricco che costruisce magazzini per i suoi raccolti sono da ripetersi spesso: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio. Lc 12, 20-21
Il memento mori non è dunque minaccia, ma invito a vivere l’essenziale, a scegliere l’amore che resta, a prepararsi all’incontro con il Signore.
San Francesco, nel Cantico delle Creature, arriva a chiamare la morte “sorella nostra”: non una nemica da temere, ma una compagna di cammino che ci apre all’incontro definitivo con Dio. Solo chi vive in questa prospettiva riesce a non lasciarsi sedurre dalle illusioni del mondo e a rimanere saldo nell’essenziale[21].
Per Caterina, come per Francesco, la memoria della morte diventa così un’arma spirituale di grande potenza: libera dall’ansia, ridimensiona le preoccupazioni, orienta la vita al Vangelo. È uno sguardo pasquale, che riconosce nella morte l’ultima porta da attraversare per entrare nella gioia senza fine.
- La sesta arma: la memoria della gloria di Dio
La sesta arma è la memoria della gloria di Dio, il ricordo del paradiso che ci attende. Sapere che ci aspetta un bene certo e duraturo rende possibile sopportare la fatica del presente, come un atleta che affronta duri allenamenti perché pregusta la gioia della vittoria.
Fu proprio questo il tema con cui san Francesco d’Assisi predicò al castello di Montefeltro, mentre andava con frate Leone da Spoleto in Romagna: «Tanto è quel bene ch’io aspetto, che ogni pena m’è diletto»[22].
Questa prospettiva è fondamentale, ma richiede una precisazione per essere bene compresa.
Il bene del paradiso atteso è la pienezza della relazione di amore che già qui su questa terra pregustiamo nella vita in Cristo. La presenza dello Spirito nei nostri cuori ci riempie di gratitudine e di amore e per questo non desideriamo altro che godere della comunione per sempre.
A un tassista che le domandava cosa attendesse alla fermata dell’autobus, Madre Teresa rispose semplicemente: «Aspetto il Paradiso!». È questo il cuore della fede: l’incontro con lo Sposo amato. Se non arde in noi questa attesa, allora c’è qualcosa da rivedere nella nostra vita spirituale.
La vita cristiana non può essere vissuta e pensata soltanto come fatica e dolore, rimandando tutta la gioia a “un giorno” nell’aldilà. Una narrazione del genere non regge: se la gioia è sempre spostata più avanti e non è mai gustata nel presente, prima o poi ci si stanca.
Anche la vita virtuosa deve essere accompagnata dai piccoli frutti della gioia. Lo sforzo di non rispondere al male con il male, di perdonare, di portare pazienza, di amare quando non è facile, richiede energia e grazia, e spesso comporta sacrificio. Anche i digiuni e le pratiche spirituali fanno parte di questo impegno. Ma quale gioia ne deriva già ora, su questa terra? Una gioia immensa: si scopre un cuore pacificato, una serenità profonda, una bellezza nuova nelle relazioni. La persona diventa un crocevia di incontri, gli altri si sentono accolti e trovano riposo presso di lei.
Questa è la caparra del paradiso: l’orizzonte rimane quello della salvezza eterna, ma la sua luce già illumina e trasfigura la vita presente. Vivere secondo il Vangelo è dunque, fin d’ora, un anticipo del cielo.
- La settima arma: l’autorità della santa Scrittura
La settima arma per vincere i nostri nemici è la memoria della Santa Scrittura, custodita nel cuore come un tesoro prezioso. Il Signore stesso, nel deserto, vinse le tentazioni del maligno opponendo con forza la parola: «Sta scritto». La Scrittura, infatti, non è soltanto un libro da leggere: è la voce viva di Dio che ci parla.
Ogni parola porta con sé chi la pronuncia: cambia l’umore, orienta le scelte, rivela un volto. Per questo, la Parola di Dio è unica: è gravida di Dio stesso, e chi la accoglie ne viene a sua volta trasformato. L’uomo diventa la parola che ascolta: se si nutre di maledizioni diventa cupo, se si lascia riempire di bellezza diventa luminoso; se custodisce la Parola del Vangelo, diventa simile a Cristo. Non a caso san Girolamo ricordava che ignorare le Scritture è ignorare Cristo.
Ma perché la Parola diventi davvero nostra, non basta ascoltarla distrattamente. È necessario accoglierla come si accoglie una lettera personale: non un testo freddo, ma parole scritte per me oggi.
Le letture quotidiane della Messa, ascoltate nella liturgia o lette mentre si va al lavoro, i salmi recitati insieme o da soli, vanno custoditi nella memoria, ripetuti nel silenzio della cella del cuore, meditati finché diventano carne della nostra carne. È allora che la Scrittura consola, orienta, corregge, e ci permette di vivere come innamorati che continuamente ricevono notizie dall’Amato.
La Parola è un’arma di discernimento. È lì che si trovano tutte le “regole” della vita spirituale. Una, per esempio, Caterina la “ricava” dall’episodio dell’annunciazione. Visto che il nemico spesso si presenta sotto sembianze di bene, persino come angelo di luce, è bene sempre rivolgere a tutti gli “angeli” che ci appaiono la domanda che Maria rivolse a Gabriele: «Che vuol dire il tuo saluto?».
E questo tenete anche voi in ogni apparizione e suggestione che capiti, così da voler verificare molto bene se quello è uno spirito buono o cattivo, prima che ad esso si sia ascolto. E beato chi farà così. Ed è allo stesso modo necessario fare buona guardia ai pensieri della mente, poiché il diavolo talvolta mette nella mente buoni e santi pensieri per ingannarla
Regola importantissima che troviamo anche nei detti dei Padri del deserto: «A ogni pensiero che ti sopravviene», dicevano i vecchi, «tu domanda: “Sei dei nostri o vieni dal nemico?”. E non potrà non confessartelo»[23].
Ma soprattutto la Parola è rivolta a ciascuno di noi oggi. Non basta conoscerla a livello culturale, né fermarsi alla curiosità di un racconto antico. Occorre lasciarsi leggere da essa: è a me che si rivolge, è di me che si tratta. Solo così la Parola porta frutto, rigenera, crea un modo nuovo di pensare, sentire, agire. Leggere la Bibbia significa aprirsi a un incontro che cambia la vita, perché non vi troviamo teorie astratte, ma uomini e donne che hanno vissuto il nostro stesso cammino di fede, con le loro paure, cadute e speranze.
Ecco perché la settima arma è la memoria della Scrittura: non solo come ricordo, ma come assimilazione viva, compagnia quotidiana, regola di discernimento e dolce consolazione dell’anima innamorata di Cristo. Chi porta con sé la Parola porta con sé Cristo stesso, e la sua vita diventa una risposta continua alla voce dell’Amato che lo chiama per nome.
[1] Cf. F. Rosini, L’arte della buona battaglia. La libertà interiore e gli otto pensieri maligni secondo Evagrio Pontico, San Paolo, Roma, 2023.
[2] Caterina Vigri da Bologna, Le sette armi spirituali, in M. P. Deodata Bentini (Ed.), Mistici francescani secolo XV, vol. III, Edizioni Francescane, Milano, 1999, 153.
[3] M. P. Deodata Bentini – G. Aquini – M. M. Faberi, Caterina Vigri da Bologna. Introduzione, in Mistici francescani secolo XV, vol. III, Edizioni Francescane, Milano, 1999, 77.
[4] Caterina Vigri da Bologna, Le sette armi spirituali, 106.
[5] Caterina Vigri da Bologna, Le sette armi spirituali, 106.
[6] Caterina Vigri da Bologna, Le sette armi spirituali, 105.
[7] Caterina Vigri da Bologna, Le sette armi spirituali, 106.
[8] Caterina Vigri da Bologna, Le sette armi spirituali, 138.
[9] Caterina Vigri da Bologna, Le sette armi spirituali, 143.
[10] Caterina Vigri da Bologna, Le sette armi spirituali, 108.
[11] Cf. Caterina Vigri da Bologna, Le sette armi spirituali, 134.
[12] Caterina Vigri da Bologna, Le sette armi spirituali, 153.
[13] Caterina Vigri da Bologna, Le sette armi spirituali, 134.
[14] Caterina Vigri da Bologna, Le sette armi spirituali, 108.
[15] Caterina Vigri da Bologna, Le sette armi spirituali, 108.
[16] Caterina Vigri da Bologna, Le sette armi spirituali, 132–133.
[17] Caterina Vigri da Bologna, Le sette armi spirituali, 146.
[18] Caterina Vigri da Bologna, Le sette armi spirituali, 146–147.
[19] Caterina Vigri da Bologna, Le sette armi spirituali, 110.
[20] Caterina Vigri da Bologna, Le sette armi spirituali, 111.
[21] Cf.
[22] Delle sacre sante istimate di santo Francesco e delle loro considerazioni, FF 1187.
[23] C. Campo – P. Draghi (Edd.), Detti e fatti dei padri del deserto, Rusconi, Milano, 1975, 44.