N.06
Novembre/Dicembre 2025

Vadano in Galilea: là mi vedranno (Mt 28,10c)

L’evento pasquale di Gesù Cristo risveglia i cuori sopiti dei discepoli, umanamente provati e paralizzati dagli eventi della passione e morte accaduti al loro Maestro. Anche se l’ultimo riferimento ai discepoli – prima del nostro passo di Mt 28 – attesta che tutti i discepoli, lasciatolo, fuggirono via (cf. Mt 26, 56), non sbagliamo nel dire che essi si trovavano in una situazione di “paralisi”. L’esperienza ci insegna, infatti, che si può avere il cuore paralizzato pur correndo e, viceversa, avere un cuore vivo pur restando fermi in un luogo per molto tempo (cf. Mt 27, 61). Sembrano non essere bastati tre anni ai discepoli per imparare da Gesù ad avere un cuore in cammino; un cuore, cioè, che, pur non rinnegando l’esperienza della delusione e del fallimento, sceglie di porsi sempre come viandante in cerca di significato alla propria vita. Un cuore in cammino è un cuore che cerca e ricerca il senso profondo (cf. Mt 28, 5; Gv 1, 38) e, non lasciandosi anestetizzare dalla paura, accoglie la sfida dell’ordinario. 

L’esortazione che Gesù fa alle donne di andare in  Galilea ad annunciare ai discepoli, suoi fratelli, e così vederlo (cf. Mt 28, 10), riprende l’annuncio dell’angelo fatto poco prima al v.7 enfatizzandone la necessità di riporre i discepoli in cammino, con la consapevolezza che Egli li precede. Sentirsi preceduti da Gesù ci toglie dall’ansia di dover essere scopritori di nuovi sentieri inesplorati e ci consente di accogliere la sfida di seguirlo nel sentiero già da Lui tracciato. 

Gesù precede i suoi fratelli ed essi, carichi di gratitudine per una fraternità ritrovata e che resiste alla delusione e al tradimento, si sentono motivati a rimettersi in cammino dietro a lui, così che la sequela del Maestro riprenda. 

È curioso come Gesù dia l’appuntamento ai suoi non a Gerusalemme (magari nel tempio durante una solenne festa), nè al Golgota né tantomeno al Getsemani, come se per ricucire il rapporto interrotto dalla loro fuga, fosse necessario ripartire da lì. Il fatto che Gesù dica di andare in Galilea, può voler dire che la fraternità con lui non si è mai interrotta e non necessita di alcun atto riparatorio da parte dei discepoli. Se essi vogliono incontrare Gesù devono credere che il Suo amore è più tenace delle loro fughe. 

Gesù non esorta i discepoli ad andare nemmeno a Cafarnao, dove aveva operato molti miracoli (cf. Mt 8, 5 ̶ 9, 8), né di salire sulla barca attraversando il mare di Galilea per rivivere il riconoscimento della sua messianicità come avvenuto nell’episodio della tempesta sedata (cf. Mt 8, 23-27). Egli non chiede nemmeno di superare il mare per andare nella regione dei Geraseni dove aveva liberato degli indemoniati (cf. Mt 8, 28-34), né tantomeno di tornare a Nazaret, suo luogo natale. 

Indicando la Galilea come luogo di ritrovo, è come se volesse ribadire che non è la sua identità di Messia che deve essere recuperata nel cuore dei discepoli, ma l’attenzione si sposta sul risveglio della loro identità più intima come convocati ad un di più di vita. La Galilea, infatti, è dove era iniziata la loro sequela di Gesù, il luogo in cui si era realizzato il primo imperativo di Gesù ai suoi: venite dietro a me (cf. Mt 4, 18-22). È il luogo dell’ordinarietà nella vita dei discepoli, quello del lavoro e delle fatiche quotidiane, ma al tempo stesso il posto in cui hanno fatto esperienza di un amore gratuito che fissa con profondità il loro cuore prima ancora di raggiungerne gli occhi. In quello sguardo di Gesù, da pescatori si scoprirono pescati e coinvolti co-responsabilmente in un unico progetto d’amore. 

Per vedere Gesù, dunque, non è necessario attendersi nuovi miracoli, né “scarnificarsi” per aver deluso le sue aspettative, ma metterci in cammino nel nostro ordinario perché è proprio lì che egli ci attende e desidera essere visto. 

La Risurrezione di Cristo rimette  in moto il cuore dei discepoli ricordando loro che sono sempre rimasti suoi fratelli (cf. Mt 28, 10) e che, per incontrarlo, bisogna tornare lì dove tutto era iniziato, con la consapevolezza che: “Io sono con voi tutti i giorni, fino al compimento del tempo” (Mt 28, 20b).