Sotto lo sguardo della Madre
Hai mutato il mio lamento in danza, la mia veste di sacco in abito di gioia (Sal 30,12).
È il 1953 quando a Siracusa dal 29 agosto al 1° settembre, in un’umile casa di Via degli Orti, da un capezzale raffigurante il Cuore immacolato di Maria, sgorgano lacrime umane. Sì, due giovani sposi, Angelo Iannuso e Antonina Giusto erano convolati a nozze nel marzo dello stesso anno e tra i doni di nozze avevano ricevuto tale capezzale. La Madonna con il suo pianto benedice questa questa coppia di modeste origini con la guarigione di Antonina che era in attesa e soffriva di tossicosi gravidica, con la nascita di un figlio, che difficilmente sarebbe sopravvissuto, e con il dono, poi, di altri tre figli.
La Madonnina, così come la chiamano i siracusani, con il segno delle sue lacrime ha benedetto la vocazione di due giovani sposi e da allora ha continuato a benedire la storia di tanti giovani che, sotto il suo sguardo di Madre, hanno scoperto la loro vocazione al matrimonio, al sacerdozio e alla vita consacrata.
Così la Madonna delle lacrime ha benedetto anche la mia di vocazione, sotto il suo manto sono cresciuto nella fede; vivendo l’esperienza dello scautismo nel Santuario a lei dedicato e confrontandomi con il suo messaggio, ho appreso il mistero dell’amore di una Madre, che è lì, sotto la croce, a prendersi sempre cura dei suoi figli.
Negli anni della mia adolescenza, quando iniziavo a vivere l’esperienza dell’accoglienza di tanti pellegrini che giungevano al Santuario, per la prima volta sono stato chiamato ad accompagnare il reliquiario delle lacrime di Maria in una comunità parrocchiale: allora mi sono reso conto del grande dono che Maria aveva fatto alla mia Chiesa. Maria a Siracusa non lascia un messaggio fatto di parole, lascia un segno forte, più eloquente di tante parole, un segno che va al cuore e fa scaturire una semplice, ma importante domanda: perché piangi?
Ci sono lacrime di gioia e di dolore, di preghiera e di speranza, ma per me quelle lacrime hanno rappresentato un appello a non rimanere insensibile dinanzi alle esigenze di tanti uomini e donne che cercano Dio, a lasciarmi coinvolgere nelle storie e nelle speranze degli uomini del nostro tempo, attraverso l’annunzio della Parola e il ministero dei sacramenti.
Proprio in santuario, sotto lo sguardo della Vergine, l’8 maggio del 2015 sono stato ordinato sacerdote e il giorno successivo ho presieduto per la prima volta la Santa Messa; a lei ho affidato il mio ministero e ogni qual volta sento che sto perdendo di vista qualcosa di importante del mio essere, torno a lei che è guida sicura nel cammino verso suo figlio Gesù.
La vita è martirio, è luogo altamente sensibile in cui il Vangelo è chiamato a farsi volto, parola e gesto. È nella ferialità che la vita si fa martirio, si fa testimonianza di autenticità e coerenza, si fa miracolo di normalità che si colora di grazia e di inedite sfumature della Grazia. E accade che ognuno, come seme, sperimenta la travagliata gioia di morire, germogliare e portare frutto… quel frutto che sfama l’enorme bisogno di amore che c’è nel mondo, tra gli uomini e le donne del nostro tempo. E questo avviene in forme differenti! Perché c’è il martirio del silenzio, di quelle persone che non vengono mai alla ribalta delle cronache, ma che nel silenzio di ciò che normalmente fanno ogni giorno irrigano di Vangelo il mondo. Poi c’è il martirio del rifiuto, di quelle persone che vivono nelle periferie dalle mille sfaccettature in cui vengono depositati gli scarti di un’umanità che, non producendo in termini economici non è degna di attenzione. Il martirio del sangue è di quelle persone che, pur di rimanere oneste e felici, sono pronte a sacrificare tutta la vita per restare dalla parte del bene ad ogni costo. Infine, c’è il martirio delle lacrime! Ed è di questo martirio che Siracusa custodisce il segno. Sono, quelle di Siracusa, lacrime di donna, lacrime che raccontano l’intramontabile voglia di dare tenerezza per bagnare i cuori induriti o feriti di uomini e donne che giacciono lungo la via della loro vita, indurite o ferite dalla corsa all’amore, malcapitate tra le braccia di chi non ha interesse se non il proprio. Sono, quelle di Siracusa, lacrime di madre, lacrime che urlano la cura per un figlio o una figlia la cui vita sembra scivolare via dal grembo e dal tempo. Il dolore, allora, si fa invocazione perché la vita vinca e la speranza si riaccenda, perché la morte non abbia l’ultima parola e la gioia ricominci a danzare. Davanti a questo segno, la vita si interroga, il cuore si apre! Abbiamo tutti la possibilità di scoprire che il nostro nome sta a cuore a qualcuno, la nostra vita interessa a qualcuno. Per la nostra felicità, da qualche parte, c’è qualcuno che invoca… fino a piangere! E il sentirsi chiamare per nome si fa vocazione, chiamata ad un martirio su misura… che misura la vita con il metro della carità e della gioia!