Dal riposo fisiologico a quello spirituale
Perché abbiamo bisogno di riposare nella vita e nella fede
Qualche mese fa, mi sono imbattuta in un post Instagram della mia amica Sefora Motta (missionaria laica evangelica, di buone origini siciliane) che diceva: “il seme per germogliare ha bisogno di tre cose: silenzio, buio e tempo”. Ed è proprio così: molte volte nella vita e nel cammino spirituale ci sembra di stare fermi, al buio e senza vie di uscita, incolpandoci di essere infruttuosi. E non ci rendiamo conto che siamo ancora dei piccoli semi che devono darsi il giusto tempo e concedersi uno stato di “quiescenza”, per poi germogliare e portare frutto in una determinata situazione.
Il tema del riposo -non solo nella vita di fede, ma anche in quella biologica- per noi uomini e donne del terzo millennio è una questione assai spinosa, che spesso si bypassa in nome di una vitalità apparente che ci porta soltanto a disperdere brandelli di noi stessi in mille parentesi prive di senso.
Eppure, se oltrepassiamo un certo limite, se non sappiamo ascoltare il nostro corpo e ancor più l’intimità del nostro cuore, saranno il nostro stesso corpo e la nostra psiche a presentarci il conto, prima o poi, perché il riposo (e il sonno, nella sua accezione più concreta) sono dei meccanismi biologici di auto-conservazione, evolutisi nel tempo per limitare al minimo il dispendio delle energie e garantire così la sopravvivenza della specie.
Nel mondo animale, ad esempio, tutti gli animali più evoluti come i mammiferi e gli uccelli dormono. E noi uomini –che ci piaccia o no- passiamo oltre un terzo della nostra vita in uno stato di incoscienza e di “annichilimento mentale e sensoriale”. Se il sonno dunque non avesse un ruolo biologico così essenziale, costituirebbe il più grande “errore evolutivo” di Madre Natura, come lo avrebbe definito il neuroscienziato Allan Rechtschaffen.
Infatti, dal punto di vista adattativo, il sonno sembra essere apparentemente uno svantaggio: quando si dorme siamo più indifesi, la nostra soglia dell’attenzione viene annullata, si è più vulnerabili agli attacchi dei predatori, non ci si riproduce. Contrariamente a quanto ci si possa aspettare, però, il sonno è un processo neurologico e psicologico molto più complesso e dinamico: un fine equilibrio omeostatico regola i meccanismi fisiologici alla base del riposo e del sonno ed è stato scientificamente dimostrato che, nei mammiferi, l’insonnia prolungata conduce alla morte. Ogni giorno il ciclo naturale del nostro cervello si “resetta” su una durata di 24 ore (ritmo circadiano o “orologio biologico”) ed è modulato da un ormone, la melatonina, la cui secrezione è dipendente dalla quantità dello stimolo luminoso presente nell’ambiente. Perciò, il normale ritmo circadiano ci assicura di restare svegli durante le ore di luce e ci induce ad addormentarci in presenza di buio, a prescindere da quanto siamo riposati o meno.
Negli ultimi anni molte teorie scientifiche hanno cercato di indagare meglio il ruolo del sonno che, oltre ad essere un periodo di riposo fisico che dà il tempo necessario al nostro corpo per recuperare le energie, è coinvolto in molti altri meccanismi fisiologici.
È stato osservato, ad esempio, che il sonno e un buon riposo aiutano la risposta immunitaria primaria dell’organismo. Studi epidemiologici hanno constato, inoltre, che una cattiva qualità del riposo correla con un indice di massa corporea più elevato, obesità, diabete, ipertensione, disordini metabolici e una maggiore attività del sistema nervoso simpatico. Al contrario dormire di più e riposare bene aumenta del 20% “l’apprendimento muscolare” e migliora le funzioni neurocognitive più complesse, come quelle legate alla memoria. Inoltre, chi perde ore di sonno tende ad essere più suscettibile agli stimoli negativi che gli arrivano dall’ambiente circostante e a tralasciare quelli positivi.
Dal punto di vista della psicobiologia poi, c’è tutta la questione legata alla coscienza/incoscienza, alla percezione del sé e alla generazione dei sogni che è terreno ancora più inesplorato ed affascinante. La moderna neurobiologia ha superato, infatti, la dicotomia tra l’io (che agisce consapevolmente durante il periodo di veglia) e l’inconscio (inaccessibile e misterioso), teorizzando che la coscienza che genera i sogni si fonda sugli stessi identici meccanismi che generano molti dei processi neurologici che avvengono durante lo stato di veglia e che i sogni altro non sarebbero se non il “prolungamento” biologico della nostra vita “cosciente”.
Questi spunti tratti dalla psicologia e dalla biologia –che tra tutte le scienze è quella che più si avvicina alla vita- ci fanno riflettere anche su molte tematiche ed analogie spirituali. Perché se qualcosa è così importante per la vita, tanto più lo sarà per il suo creatore.
Basta aprire le prime pagine della Bibbia, per ritrovare scritto -solo in un alfabeto diverso- quanto sia importante il tema del riposo. Dio stesso, nel settimo giorno della creazione, porta a compimento il suo lavoro e sente l’esigenza di riposare e benedire ciò che ha fatto (Gen 2, 1-3), dando un esempio che l’uomo dovrà imitare. Il sabato (šabbāt) è perciò, nell’antico testamento, un’istituzione divina (Es 20, 11), insieme all’anno sabatico (che cadeva ogni 7 anni) e all’anno giubilare (che ricorreva invece ogni 50): dei tempi di particolare grazia per tutto il creato, in cui doveva cessare ogni attività umana (Le 25, 1-55) e tutta la terra riposava.
Rifacendoci alla creazione, lo šabbāt ha dunque una doppia valenza: è un tempo per riposare e fare memoria, che ci ricorda che non basta essere liberati una volta per tutte, ma che abbiamo sempre bisogno di qualcuno -Dio- che prende l’iniziativa per primo nei nostri confronti e, ogni volta, puntualmente, ci libera. Ma è anche un tempo in cui abbiamo bisogno di benedire, di celebrare la nostra storia di creazione e di redenzione.
Da questa prospettiva, tutta nuova, appare evidente una cosa: che noi non sappiamo più riposare. In una società liquida che ci usura con la sua attività tesa al limite, viviamo la storia come un susseguirsi cronologico di eventi, diventando avari di tempo e poveri di senso. E mai come in questo periodo storico, dopo due anni di pandemia, inchiodati ad un “riposo obbligato”, abbiamo avuto modo di toccare con mano le nostre fragilità e povertà. Ci siamo accorti che abbiamo bisogno di uno sguardo rinnovato con cui guardare la vita e di un modo nuovo di vivere il tempo, ma per fare ciò bisogna abbandonare le nostre coordinate ed entrare in un nuovo ordine di cose.
Mentre per noi esiste un solo modo (lineare) di concepire il tempo, gli antichi Greci avevano ben tre parole per indicarlo (e viverlo): avevano il chrónos, che è il tempo cronologico e sequenziale come quello della creazione (Gen 1, 1-31); il kairós, che è il tempo opportuno, nel quale qualcosa di speciale accade (Mt 24, 42; Lc 1, 26-38) e, infine, l’aión che è il tempo eterno, quello che più si avvicina al riposo di Dio (Eb 4, 1-13).
Facendo questa opportuna distinzione del tempo, ci appare più chiaro che il riposo a cui Dio ci chiama, non è tanto uno stato di inattività e nullafacenza, ma un atteggiamento spirituale molto dinamico (proprio come quello fisiologico) in cui abbassiamo le nostre difese e lasciamo agire la grazia di Dio. È uno spazio in cui la nostra fede si ritempra e prende una boccata d’aria, per crescere con più forza. Il riposo di Dio, in ultima battuta, è un riposo contemplativo, un invito ad alzare lo sguardo, a fissare intensamente la nostra unica e irripetibile porzione di Cielo (cum-templum) per ricordarci a “quale speranza” siamo chiamati (Ef 1-3).