N.06
Novembre/Dicembre 1993

L’attenzione alla dimensione vocazionale nei Sinodi Diocesani

 

 

Bergamo

La Chiesa di Bergamo, da gennaio ‘90 a giugno ‘91, è stata chiamata dal suo Vescovo a “Convegno”. Così è stato definito questo avvenimento straordinario destinato a coinvolgere tutti i fedeli (sacerdoti, religiosi, religiose, membri di istituti secolari e laici) e tutte le espressioni ecclesiali (territoriali, di settore, di associazioni). Il lavoro capillare e al tempo stesso unitario doveva convergere verso l’unico obbiettivo: fare di tutta la diocesi di Bergamo una Chiesa dal volto conciliare.

 

 

Le provocazioni

La Pastorale Vocazionale ha faticato non poco ad inserirsi nella programmazione del Convegno, ma lungo il cammino ha trovato spazi sempre più ampi. Sono emerse osservazioni, suggestioni, suggerimenti che cerco di riassumere brevemente

 

1. Le Parrocchie offrono un’attenzione ancora troppo limitata alla dimensione vocazionale della vita cristiana, sia personale, sia comunitaria; e la pastorale vocazionale è settorialmente finalizzata alla sola vita sacerdotale o religiosa.

 

2. La vocazione religiosa non è ben compresa e la presenza dei religiosi e delle religiose nelle parrocchie è percepita in modo funzionale ai bisogni pastorali o sociali.

 

3. La consacrazione secolare è pressoché sconosciuta nelle parrocchie, anche perché non esiste una pastorale che valorizzi questo tipo di scelta vocazionale.

 

4. La diminuzione delle vocazioni di speciale consacrazione è attribuibile in gran parte:

– alla poca critica dipendenza culturale della società odierna che si caratterizza per l’assenza di interiorità, l’eccessiva superficialità e la mancanza di spirito di sacrificio;

– allo smarrimento della percezione cristiana della fede e della Chiesa come luogo in cui la Parola di Dio possa risuonare come tale testimoniata dai cristiani.

 

5. Si raccomanda, perciò, un’azione pastorale dove sia maggiore e più consapevole l’attenzione alle esigenze del Vangelo unitamente a un più critico confronto con la cultura attuale, assumendo la dimensione vocazionale come punto centrale di tutta la proposta cristiana. “La realtà profonda della vita (vocazione), infatti, è fare la volontà del Padre (consacrazione) e questa volontà altro non è che andare agli altri per animarli con l’amore di cui il Padre li colma (missione) e in questo dono la vita è realizzata”

 

6. In questa nuova attenzione alla radicalità evangelica, la pastorale non può prescindere dal richiamare i credenti – ma anche i non credenti – al valore imprescindibile di alcune figure vocazionali, quali appunto quelle ministeriali e carismatico-religiose. Queste “vocazioni speciali” non possono venir meno per la Chiesa, custode sollecita e attenta dell’evangelo, pena la perdita stessa del valore qualificante della sua missione nel mondo.

 

 

Le proposte

“La crisi vocazionale – ha affermato il Direttore del CRV, don W. Magni, nella sua relazione al Convegno – da una parte sta in una situazione culturale in cui l’uomo è senza qualità per aver perduto identità e dignità, dall’altra in una situazione ecclesiale in cui l’uomo è ‘senza vocazione’ in quanto o non è più chiamato o non si lascia più chiamare da nessuno o non gli è più concesso di sentire la ‘vocazione’ di chi, forse, lo potrebbe chiamare”.

È necessario, allora, cercare e dare risposte sul versante della “qualità” e della “vocazione”.

Una prima risposta ce l’ha offerta lo stesso relatore invitando i convegnisti a recuperare il significato forte del termine “vocazione”: “Bisogna dare a questa parola il significato originale biblico di ‘chiamata’ nella sua struttura dialogica: quella anzitutto di una chiamata che implica poi il riferimento a una risposta. Se infatti qualcuno si sente chiamato, cioè ha una vocazione, primariamente questo deve portarlo a concludere che c’è Qualcuno che chiama. Solo a questo punto, e non prima, si può affermare che colui che è chiamato esprime con libertà la sua risposta”.

Secondo il prof. Dario Nicoli, un altro relatore del Convegno, nelle nostre comunità parrocchiali permane una specie di sociologismo ecclesiale, molto preoccupato delle cose da fare e dei servizi da prestare, ma con difficoltà aperto a una visione adulta della vita cristiana. La via che il prof. Nicoli propone per recuperare la qualità della comunità cristiana è quella vocazionale in quanto solo in questo contesto la persona scopre sempre più se stessa nella vita di comunità. Ma per far ciò è necessaria un’intelligenza delle vocazioni e dei carismi.

E poiché manca una vera educazione cristiana alla fede adulta diventa impellente la necessità d’introdurre nelle nostre comunità cristiane continui “sostegni formativi” attraverso un “cammino secondo gli eventi”, cioè valorizzando gli stimoli egli interrogativi che la vita volta per volta propone, non evitando questioni che oggi paiono più problematiche.

Per quanto concerne la pastorale vocazionale specifica si è ritenuto opportuno porre una chiara distinzione tra la proposta vocazionale funzionale al sacerdozio ministeriale e quella ordinata alle vocazioni carismatico-religiose, secondo le indicazioni esplicitamente espresse dal CVII: il ministero sacerdotale appartiene alla struttura gerarchica della Chiesa, mentre la vita consacrata appartiene fermamente alla sua vita e alla sua santità (LG 44).

Di conseguenza la pastorale delle vocazioni deve essere pensata e progettata a partire da queste diverse, anche se complementari, forme di vita: le proposte vocazionali, i percorsi spirituali, le esperienze forti, devono essere alimentate dal ministero sacerdotale o dal carisma peculiare della vita consacrata e dal carisma specifico dell’Istituto.

 

 

La preghiera

L’accento sull’aspetto operativo della pastorale delle vocazioni può portare gli operatori pastorali a ricercare soluzioni legate all’efficienza con i richiami, le iniziative e le strategie conseguenti. Ma una pastorale vocazionale, che mira alla qualità dei suoi interventi, non può che essere ricondotta in radice all’immagine evangelica degli “operai della vigna” nei confronti dei quali è il Signore stesso che chiede una preghiera precisa: “Pregate il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe”. “Tale preghiera – commentava don Walter Magni – è la sola capace di realizzare una grande purificazione nei confronti degli inevitabili particolarismi vocazionali e di riaffermare che tutte le iniziative, le esortazioni e le accentuazioni vocazionali degli itinerari pastorali vanno ricondotte e ricomprese a questa istanza di invocazione squisitamente evangelica”.

“Forse proprio tale preghiera – concludeva don Walter – costituisce la più vera iniziativa vocazionale, nel senso che riconosce anzitutto al Padre il compito di chiamare e ai discepoli del Figlio quello di riuscire a rispondere”.

È stato altamente significativo che il cammino del Convegno abbia avuto il suo esito finale nelle preghiere-promesse proclamate durante la solenne liturgia allo stadio di Bergamo. Alla presenza di ventimila persone alcuni giovani e ragazze dei gruppi vocazionali hanno pronunciato questa preghiera:

 

O Dio nostro Padre,

per mezzo del Signore Gesù e mossi dallo Spirito Santo,

vogliamo giungere a te per dirti il nostro “sì”.

Dopo aver accolto la tua chiamata, 

dopo aver intrapreso con serietà ed entusiasmo

il cammino della tua sequela,

vogliamo ora impegnarci a far dono a Te della nostra vita 

a servizio della Chiesa.

Abbiamo compreso che la nostra vera libertà

consiste nell’affidarci alla tua libertà;

abbiamo sperimentato il tuo amore, intimo,

fedele, misericordioso;

abbiamo avvertito la passione per la tua Chiesa.

Promettiamo a te, che sei Padre e 

Pastore delle nostre anime, 

di essere tuoi discepoli fino in fondo con amore

e, proprio per questo, di vivere la sequela di Gesù

nella dedizione stabile e definitiva 

alla tua Chiesa che vive in Bergamo,

nella fedeltà sempre amorosamente rinnovata

al carisma nel quale si attua la nostra professione

dei consigli evangelici,

per testimoniare quel Regno futuro 

che è reso presente nel Cristo Gesù 

e al quale tutti aneliamo.

Ti chiediamo infine, o Padre, che 

altri giovani e altre giovani, 

abbiano il dono di questo gioioso incontro con te,

perché la tua Chiesa possa camminare speditamente

nelle vie che tu continuamente le indichi

per la salvezza del mondo intero. 

Certi che tu sei fedele, ti affidiamo, per mezzo di Gesù 

Cristo nello Spirito Santo, 

le nostre intenzioni e i nostri propositi.

 

 

 

 

Firenze

“Il Sinodo diocesano si caratterizza come strumento e segno storico realizzato col coraggio dell’umiltà di ricercare ogni mezzo possibile per rendere presente e operante la salvezza.

Il Sinodo intende realizzarsi non come istituzione o struttura di potere che contrappone due chiese, una docente e una discente, una soggetto e una oggetto, ma come luogo dove, nel riconoscimento dei diversi ruoli ministeriali, si vive un’esperienza culminante, di mediazione salvifica: la gerarchia, i fedeli e i religiosi, si convertono insieme ad un modo ‘nuovo’ di essere chiesa e di camminare come popolo di Dio”.

Una lunga citazione che è stata alla base della esperienza sinodale fiorentina, la quale, come diverse altre esperienze sinodali di questo decennio, si presenta con le seguenti caratteristiche: 

– è inedito rispetto ai sinodi ante-concilio;

– non ha quindi modelli di riferimento precisi;

– è narrata non dal documento finale ma dalla felice esperienza di un modo nuovo di convenire, vissuto da tutti.

Non intendo dire che il documento conclusivo, interpretativo del cammino fatto e programmatico dell’impegno futuro di una Chiesa sia un dato irrilevante. Voglio, invece, sottolineare che fermarsi al documento non basta per leggere quanto è, cresciuto lungo il percorso. Solo indicando la prassi sinodale è possibile ritrovare, almeno per il primo sinodo celebrato, il senso suo valore delle cose vissute.

 

 

Stile vocazionale

Alle precedenti indicazioni generali che si applicano anche al Sinodo della Chiesa fiorentina, occorre aggiungere qualche annotazione che aiuti o meglio circoscrivere l’esperienza, sinodale promossa dal Cardinale Piovanelli.

Tale esperienza è stata voluta dal Vescovo, nel segno di una apertura a tutti, ponendosi domande precise quali: cosa vuole il Signore da noi? A cosa sta chiamando questa Chiesa?

L’atteggiamento collettivo, entro cui ciascuno colloca la sua personale adesione, è di ascolto di quanto lo Spirito dice alla Chiesa che è in Firenze perché celebri il suo “esodo” verso la nuova terra che Dio le indicherà.

L’apertura a tutti nella convinzione profonda che anche al di fuori di quella che è solitamente considerata chiesa, esistano persone interessate a che essa riguadagni maggiore coerenza interiore e più lucida testimonianza. Componente ineliminabile della storia toscana, la sua più chiara identità favorisce l’identità degli altri. Ecco perché il Sinodo parte con un colloquio aperto a tutti, ricercato, lanciato con puntigliosità verso ogni area significativa dell’ambiente (cultura, lavoro, mondo militare, università, carcere…).

La risposta è costruita da ogni partecipante utilizzando la narrazione della propria esperienza seguendo la provocazione dalle proposte. Così la personale esistenza contribuisce a meglio cogliere gli orientamenti su cui la Firenze cristiana deve impegnarsi.

 

 

Nella vocazione, le vocazioni

La celebrazione nei piccoli gruppi, nelle assemblee parrocchiali e di zona, nella Assemblea generale conclude la prima fase. Da essa il Vescovo ricaverà le indicazioni dei percorsi preferenziali (2a fase) e delle linee applicative per il futuro della comunità cattolica fiorentina (3 a fase).

Al primo livello, nella quantità, di ciò che viene proposto è possibile cogliere indicazioni ed aspetti che interessano il nostro argomento in titolo. Certamente in modo non organico dai contributi delle elaborazioni delle aggregazioni laicali rilevo un primo aspetto.

La Consulta dei laici richiama con frequenza la chiesa locale perché metta al centro dei suoi interessi i giovani, la loro formazione, la realizzazione di itinerari. “L’ipertrofia consumistica – affermano – è causa ed effetto della mancanza di interiorità. I giovani mancano di punti di riferimento visibili. La mancanza di incisività nella testimonianza dei valori rende tiepide le proposte di vita. Questo si traduce in scandalo e disinteresse a favore di facili e di entusiasmanti momenti forti. È questa denuncia ed autodenuncia senza sconti dell’incapacità ad essere perseveranti, forti, responsabili”.

Durante l’Assemblea ci sono richieste forti da parte del Laicato perché la pedagogia della Chiesa deve maggiormente assumersi l’impegno formativo nei confronti dei fedeli laici affinché essi siano soggetti attivi e responsabili di una storia da fare alla luce del Vangelo.

“Una corretta catechesi vocazionale deve accompagnare la persona con continuità e gratuità secondo un progetto organico. Essere laico non è la scelta di coloro che non hanno la vocazione. Questa chiamata viene dal Battesimo, è perfezionata nella Cresima e per alcuni specificata nel sacramento del Matrimonio”.

Anche la specifica vocazione presbiterale viene richiamata con forza alla luce della crisi evidente. Si insiste che la pastorale vocazionale non sia un episodio della pastorale diocesana, “ma venga inserita in un progetto tendente alla formazione globale, alla fede, alla vita cristiana personale e comunitaria”, perché ci sia nella catechesi la esplicita presentazione della vocazione al presbiterato “come dono di sé e servizio agli uomini, in un discepolato specifico e concreto, in cui il giovane possa realizzarsi come uomo e come cristiano”. Così pure la prospettiva vocazionale deve essere presente nella catechesi post-sacramentale.

“Infine si dovrebbe incrementare la pastorale giovanile a diversi livelli, con più attenzione alla preghiera, all’ascolto della parola di Dio alla liturgia e all’orientamento vocazionale”.

Anche “i ministeri istituiti” o di fatto sono via sicura per la proposta e la scoperta del ministero sacerdotale.

 

 

In particolare

La scelta dei temi prioritari che costituiranno di fatto i contenuti del Sinodo, e che accompagneranno la riflessione e il confronto della 2a e 3a fase, è decisa dall’Arcivescovo, secondo quanto egli sente di privilegiare dopo le numerose suggestioni e orientamenti raccolti.

Essa cade su tre significativi argomenti: Evangelizzazione e Sacramenti; Famiglia e Sacramento del Matrimonio; La pastorale giovanile.

Di fatto ci si impegna su un’ampia riflessione e programmazione diocesana che, nel primo tema, ridona una visione organica della realtà chiesa e in essa vengono ripensate le diverse componenti e mete orientative. Non si accenna però, specificamente, a nessun tipo di pastorale vocazionale, neppure di quella presbiterale.

La vocazione matrimoniale è invece affrontata con impegno e originalità in uno specifico documento che diviene capitolo 2 del testo finale. È insieme riflessione e itinerario che evidenzia tre momenti di questa chiamata: l’essere Uomo / Donna; l’essere Sposo / Sposa; l’essere Padre / Madre.

Ogni aspetto è affrontato sia nella sua radicazione nel progetto divino, che nel suo costituirsi come risveglio nella coscienza individuale e nel suo pieno realizzarsi.

Il terzo grande gruppo di riflessione si sbilancia sul servizio di pastorale giovanile. La diocesi risponde così ad esigenze locali e a più precisi orientamenti della chiesa italiana. Non viene in questo documento affrontata una vera proposta di pastorale vocazionale ma non è difficile in esso raccogliere schegge con cui ricomporre una traccia sufficiente.

 

 

Valutazione conclusiva

Ogni Sinodo (meglio sarebbe dire: questi primi sinodi postconciliari) vive una faticosa elaborazione del suo statuto. Viene accolto con difficoltà iniziale da alcuni settori qualificati della comunità diocesana; fatica a mettersi in movimento, quanto è sottoposto a forti tensioni. È, insomma, una dura ma certamente bella avventura dello Spirito. Ha davanti a sé una vastità di provocazioni che lo interpellano chiedendo ognuna il privilegio dell’attenzione. Ma tutto non è possibile.

La cosa più interessante, più bella è che dove è vissuto con fantasia pastorale, alla ricerca della volontà di Dio riesce a fermentare esperienze comunitarie nuove.

Perché non pensare che di fatto il Sinodo è per ogni chiesa locale anche un’autentica esperienza di pastorale vocazionale alla vita comunitaria?