Le lettere pastorali dei vescovi italiani sulla pastorale vocazionale in questi ultimi dieci anni
Nel comunicato della CEI del 14.1.1988, a tre anni di distanza dalla promulgazione del piano pastorale “Vocazioni nella Chiesa italiana” del 1985, si legge: “Nonostante le difficoltà, si sta rivelando molto feconda la scelta di articolare la pastorale delle vocazioni come ‘itinerari vocazionali’, nei quali i giovani e le ragazze percorrono un cammino organico, personale e comunitario, di formazione e di discernimento della propria chiamata”[1]. Possiamo partire da qui per analizzare alcune significative “lettere pastorali” dei vescovi italiani che hanno affrontato direttamente ed in modo esteso il nodo della pastorale vocazionale. La pretesa di completezza è evidentemente impossibile. Ci accontentiamo di qualche spunto per verificare l’ipotesi di partenza che formuliamo così: come attraverso il magistero dei singoli vescovi si evidenziano le dimensioni della pastorale vocazionale? Le lettere pastorali lasciano intuire alcune costanti relativamente agli obiettivi, ai contenuti e al metodo di pastorale vocazionale? Il documento citato precisa nei termini di “itinerari vocazionali” la prospettiva qualificante della pastorale vocazionale, si tratterà, dunque, di verificare la consistenza di questa ipotesi in alcuni scritti recenti dei vescovi italiani[2].
Gli obiettivi
L’obiettivo generale
Una pista per rivedere gli obiettivi non può tener conto di alcuni fattori che possiamo brevemente presentare. La pastorale vocazionale viene affrontata dai vescovi nella prospettiva della più ampia pastorale ordinaria oppure rappresenta un capitolo a sé spesso motivato dall’urgenza – in alcune diocesi drammatica – del calo numerico delle vocazioni? L’attenzione è alla globalità della dinamica vocazionale oppure a tema viene messa in modo particolare la vocazione al sacerdozio? Inoltre una lettera vocazionale si inserisce in un cammino di chiesa diocesana. Questo evidenzia una difficoltà a scorporare il testo da tutto il contesto pastorale più ampio in cui la pastorale vocazionale viene ad inserirsi in modo armonico.
L’obiettivo generale che sta dietro a tutte le lettere analizzate è quello di far uscire il problema vocazionale dalla logica dell’“ufficio competente” per farlo diventare preoccupazione di tutta la chiesa, di tutti i membri della diocesi con una speciale sottolineatura all’azione pastorale del clero. Anche in questa logica viene riletta l’opzione dell’ordinarietà della pastorale vocazionale che la quasi totalità degli scritti sottolinea. Questa opzione pastorale viene espressa in modo chiaro nella recente lettera dell’arcivescovo di Vercelli, Mons. Tarcisio Bertone: “La pastorale vocazionale non è separata dalla pastorale di insieme, perché, sulla base della comune Cristo-conformazione battesimale, essa è la prospettiva unificante di tutta la pastorale cristiana ‘nativamente’ vocazionale”[3]. Lo sforzo di superare la prospettiva dell’urgenza del problema attraverso una presentazione serena ma anche realistica, della situazione di alcune linee di pastorale vocazionale è pure presente in molti scritti. Oggetto dei documenti è “la vocazione quale dimensione fondamentale della vita del credente e quale sviluppo che si determina a partire dalla condizione battesimale, specialmente in coloro che si lasciano conquistare e si decidono a una speciale consacrazione”[4]. Questa preoccupazione di fondo denota che la chiave risolutiva del problema delle vocazioni non sta nel problema stesso e nei suoi numeri, ma nella capacità di far affiorare in termini corretti il Vangelo della vocazione nel suo incontro con una cultura spesso refrattaria non solo alla vocazione di speciale consacrazione, ma alla più generale progettualità della vita stessa.
L’obiettivo del dialogo diretto con i giovani
Sulla base di questa considerazione a volte la lettera pastorale privilegia come destinatari i giovani stessi ed in particolare quelli più aperti alla ricerca vocazionale. Lo svolgimento dunque si fa più personale, nello stile catechetico e del dialogo spirituale. Due esempi di questo tipo sono il recente testo di Mons. Cosmo Francesco Ruppi, vescovo di Lecce, Eccomi, Signore, manda me! Lettere sulla vocazione, che affronta, attraverso lo stile di lettere rivolte ai giovani stessi, i punti più critici connessi alla proposta di una vocazione di speciale consacrazione, e la pastorale del vescovo di Reggio Emilia Mons. Paolo Gibertini. Cercare il Signore – Cercarlo nella chiesa, che si rivolge “a quanti sono in ricerca del proprio stato di vita affinché maturi nel loro cuore la energica decisione: Il tuo volto Signore, io cerco”.
La risonanza delle indicazioni universali e locali
Un obiettivo che sottostà alle lettere più recenti è quello di far risuonare in diocesi e nella pastorale i contenuti del Sinodo sul sacerdozio sintetizzati nell’esortazione papale Pastores dabo vobis o per riproporre la pastorale vocazionale alla luce dei lavori dei vari sinodi diocesani. Entrambi questi obiettivi sono ben specificati nel già citato documento del vescovo di Lodi.
La presa di coscienza della serietà del problema
Non mancano, però, alcune osservazioni per far prendere coscienza a tutti i cristiani della serietà del problema vocazionale. La necessità di vocazioni quantitativamente numerose e qualitativamente rilevanti è sotto gli occhi di tutti i pastori. Valga un esempio tra altri: la lettera dei vescovi della regione Piemonte La messe è molta, ma gli operai sono pochi del 1987 in cui si afferma: “le comunità attendono il prete. Talora lo attendono con insistenza. Così pure come richiedono la presenza delle suore. Ma la risposta alle attese è del tutto inadeguata. I nostri seminari si sono paurosamente impoveriti di alunni (…). La medesima situazione di crisi si riscontra nelle case di formazione dei religiosi e delle religiose”. Non manca però, nello stesso scritto, la serenità di analisi ed un forte realismo: “Occorre tuttavia affrontare con realismo e speranza questa crisi che coinvolge tutta la comunità ecclesiale: evitando ‘rassegnazioni’ inutili, aspettando chissà quale sorprese dal futuro” [5].
I contenuti
Ogni lettera pastorale privilegia una sua pista per affrontare il problema vocazionale. Possiamo però ritrovare, specialmente nei documenti più elaborati, una tripartizione costante: la presentazione della prospettiva situazionale, l’elaborazione di un abbozzo di teologia della vocazione, la delineazione di alcuni itinerari pastorali. Ciascuna prospettiva può essere più o meno presente e con gradi diversi di sottolineatura per importanza. Accenniamo in questo punto alle prime due, riservando la terza al numero seguente.
Le letture della situazione
La capacità di leggere con realismo e criticità la situazione è fondamentale. Ma altrettanto fondamentale deve essere lo sforzo di andare al di là delle osservazioni generiche, più volte ribadite. Essa non è un atto dovuto, non ha una funzione ornamentale all’interno del documento. Lo sforzo di andare al nodo della questione e di saperlo esprimere con un linguaggio immediato che superi la settorialità dei codici linguistici della psicologia e della sociologia è presente nella lettera che Mons. Enrico Masseroni, vescovo di Mondovì ha dedicato al problema giovanile, ma in cui la chiave vocazionale è ben evidente[6]. La via scelta è quella dell’impatto diretto con la figura del giovane di oggi: “cosa pensano di se stessi”. Sono i giovani dell’ “indifferenza ambigua”, i “protagonisti-gregari” della cultura che massifica anche “nell’illusione di libertà”, quelli che dicono “lasciateci in pace: noi stiamo bene così”. Sono ancora i giovani dell’irrisolta composizione tra “fede rituale” e vita, che proiettano la loro “pratica” religiosa davanti a sé, come velo per una domanda più profonda e coinvolgente. Sono i giovani che vivono la realtà dei gruppi, ma che non si sanno staccare dall’ambiente protettivo e trascinante del gruppo stesso, verso un cristianesimo maturo e personale: i “bravi ragazzi della soggettività collettiva”[7].
Più “tradizionale” nell’impostazione la lettura delle cause della diminuzione delle vocazioni prospettata da Mons. Tarcisio Bertone, arcivescovo di Vercelli, in cui però vengono collegate, accanto a generali fattori sociali (benessere, conformismo, influsso massmediale, indebolimento della famiglia), precise responsabilità ecclesiali che hanno indebolito l’efficacia propositiva del “vangelo della vocazione”. Tra quest’ultime ritroviamo il volto impersonale delle comunità cristiane, la scarsa penetrazione della catechesi di iniziazione, la mancanza di modelli credibili, il nodo del “celibato”[8].
Non mancano, nelle pastorali la valorizzazione di alcuni segnali positivi. Negati generalmente alla crescita numerica dei seminaristi, e proprio da questi indicatori si vuole far carico la comunità diocesana per un rinnovato impegno vocazionale. Un’eco di questi segnali positivi lo possiamo trovare nel testo del card. Michele Giordano, arcivescovo di Napoli: “è vero che (. ..) nonostante tutto, forse mai come in questo tempo la gioventù sta dando segni di una grande sete di valori, di autenticità, di impegno” e, alludendo al cresciuto numero di vocazioni del Seminario Maggiore: “stiamo vivendo una felice esperienza proprio nella nostra chiesa di Napoli: all’inizio dell’anno accademico 1992-93, sono entrati al Seminario Maggiore ben 21 giovani…”.
La dimensione biblico-teologica
Un secondo elemento presente nelle lettere pastorali è la rilettura della dimensione biblico-teologica della vocazione su cui innestare un discorso (variamente articolato nei testi presi in esame) sulle varie vocazioni. Lo schema ricorrente è rintracciabile con una certa facilità:
1. La percezione della vita come vocazione;
2. La dinamica vocazionale come sequela Christi.
3. La vocazione della Chiesa;
4. La vocazione e le vocazioni nella Chiesa.
Tutto questo indica uno sforzo preciso da parte delle singole diocesi di assimilare una mentalità precisa circa il tema vocazionale attraverso una sua dilatazione fino a farlo coincidere con l’appropriazione personale e matura di una persona del senso della propria vita alla luce del progetto cristiano e realizzantesi in una precisa vocazione nella chiesa.
Mi sembra interessante cogliere due aspetti particolari che sembrano presentare i testi in esame. Una prima particolarità è la competenza biblica attraverso cui il tema vocazionale viene condotto. Nella lettera pastorale del vescovo di Reggio Emilia la preoccupazione è quella di “meditare sul mistero della vocazione, come appare nella Sacra Scrittura” e di “fare alcune considerazioni sull’uomo che, alla ricerca del Volto di Dio, incontra spesso difficoltà che gli impediscono la risposta”[9]. Così la prima parte del testo attraverso la forza evocativa di alcuni testi chiave della teologia vocazionale si svolge nel clima della meditazione serena e di una statio benefica che contribuisce a portare il discorso all’interno del suo contesto naturale: il dialogo continuo tra Dio e l’uomo in cui ciascuna persona è chiamata a trovare posto interiorizzando il modello permanente di esso che dalla Bibbia ci viene proposto.
Un’altra linea, complementare alla prima, è quella di un dialogo continuo tra le “icone bibliche” della vocazione e la prospettiva pedagogica, cercando di offrire immediatamente una comprensione esistenziale del testo. Questa linea la troviamo presente nel testo già citato di Mons. Bertone: “in questi ultimi anni, grazie al contributo delle scienze dell’uomo, il termine vocazione si è arricchito ulteriormente senza tradire i contenuti biblici originali. Esso non richiama più soltanto alla memoria una particolare forma di vita quale quella religiosa e quella sacerdotale, ma attinge la concezione stessa della persona come un qualcosa che la fa essere ciò che è e la diversifica dalle altre cose. Perciò la persona umana non è più considerata come una realtà che ha una vocazione, ma viene ritenuta essa stessa nel suo essere più intimo una vocazione”[10].
Lo sforzo a questo riguardo non è quello di sovrapposizione di considerazioni biblico-teologiche e letture antropo-psicologiche, ma quello di una compenetrazione profonda alla luce di una superiore antropologia disvelata dal progetto cristiano in cui le dinamiche del processo vocazionale possono trovare un contributo decisivo alla consistenza del progetto antropologico cui una persona tende. Non manca poi alla luce della provocazione biblico-teologica della situazione socio-culturale contemporanea uno sforzo, previo ad ogni programmazione pastorale, di delineare alcuni tratti di educazione al senso della vocazione, magari in stretta connessione coi capitoli più rilevanti della lettura teologica. Un esempio ci viene offerto dalla lettera pastorale del vescovo di Lodi, Mons. Giacomo Capuzzi in cui la “pedagogia vocazionale” viene ad essere vincolata attorno all’educazione e al senso della vita e alla vita come vocazione, all’esperienza di Cristo nella Chiesa e nell’educazione alla propria vocazione rivalorizzando gli elementi caratteristici di un itinerario vocazionale: la preghiera, l’annuncio e il discernimento, la maturazione di un atteggiamento di servizio[11].
La presentazione articolata delle varie vocazioni nella chiesa non sembra essere un elemento che caratterizza globalmente gli scritti esaminati, anche se, va ribadito, alcuni vogliono specificamente promuovere un discorso sulla vocazione sacerdotale, come nel caso delle pastorali dei vescovi di Napoli, Vercelli, Nola. Centrate sulla pastorale generale delle vocazioni sono, invece, gli appelli dei vescovi del Piemonte e della Toscana, di Reggio Emilia, Lodi e Como.
Prospettive emergenti
Le lettere pastorali esaminate prospettano nelle loro ultima parte alcune linee di pastorale vocazionale definendo iniziative, itinerari particolari per ciascuna diocesi.
Possiamo riscontrare un’attenzione all’ambiente in cui si maturano le scelte vocazionali. In particolare alcune parole forti vengono spese per la famiglia e la comunità parrocchiale due ambienti che sono, pur se a titolo diverso, chiamati a confrontarsi con il futuro delle giovani generazioni. Nella lettera dei vescovi piemontesi del 1987 si fa notare come la famiglia è una comunità scaturita non solo nel consenso umano, ma in profondità dal sigillo sacramentale. Così essa diventa costitutivamente luogo di maturazione vocazionale per i figli, ma solo se non si lascia irretire dalla superficiale adesione ai modelli di vita del “consumismo dilagante” e non delega ad altre agenzie il suo ruolo di educatrice alla vita e alla fede. Così si potrà creare quell’humus di attesa paziente di un “dono di Dio”, di un progetto per i figli che non sarà totalmente avulso dai valori trasmessi nel suo interno, ma porterà a saldare la storia di fede dei figli con la storia di fede della famiglia stessa.
Uguale attenzione è data alle comunità che devono per questo lavorare sulla qualità del loro tessuto di comunione in profonda docilità con l’azione dello Spirito. Esse dovranno pertanto diventare “più vocazionali” cioè “capaci di offrire alla storia il Mistero di Cristo” che comprende la pluralità ministeriale compaginata nella comunione alla luce dell’esempio ecclesiologico trinitario e la “missionarietà” quale “concreta circolazione dei doni dello Spirito”[12].
Non si manca di sottolineare però la personalità del cammino vocazionale. Esso investe tutta la persona che, attraverso un preciso agire pastorale, dovrà essere aiutata ad una spiritualità robusta ed un accesso sempre più aderente con la totalità della vita nella comunità cristiana. Ecco allora l’attenzione alle varie età dalla fanciullezza alla giovinezza come i tempi in cui suscitare l’attenzione alla ricerca vocazionale, la forte attenzione alla preghiera, anche attraverso la proposta del cammino delle “scuole di preghiera” o di “una lectio divina” e l’attenzione al volontariato come scuola di atteggiamenti vocazionalmente aperti. Tutte queste iniziative ben diffuse e consolidate in molte diocesi italiane si profilano come un aiuto offerto ai giovani “sul duplice orizzonte della chiarificazione dei valori” e per “una più profonda conoscenza di sé, per crescere nella libera adesione ai valori ideali oggettivi”[13].
Emergono anche le figure dell’accompagnatore spirituale e dunque della direzione spirituale come punto di riferimento imprescindibile ad un accompagnamento personale e personalizzato. Un certo rilievo è dato anche agli animatori vocazionali parrocchiali per inserire la dimensione vocazionale nei cammini educativi di ogni parrocchia e consentire, così, “un salto di qualità decisivo per tutta la pastorale delle vocazioni”[14].
Vengono anche passati in rassegna gli organismi e le strutture della pastorale vocazionale. Un posto di rilievo è dato al seminario con una sottolineatura sulle possibilità del seminario minore e delle scuole cattoliche. Vengono proposti gli itinerari di gruppi vocazionali specifici di cui più volte si è fatto cenno nella rivista, quali: il “gruppo diaspora”, “gruppi samuel” e, per i ragazzi, i “gruppi ministranti”. Non viene tralasciata la valorizzazione sempre più ampia dei Centri Diocesani Vocazioni quali strumenti diocesani di “coordinamento, animazione e sussidiazione” che nascono “dalla convergenza di tutte le forze” con un rapporto con tutti i settori della pastorale e voluti dai vescovi “affinché tutta la nostra Chiesa locale diventi vocazionale”[15].
Si nota, in sostanza, la ricezione delle indicazioni che il CNV ha proposto per la pastorale delle vocazioni che è stato confermato dal Piano pastorale per le vocazioni del 26.5.1985. Nel documento della CEI, giova ribadirlo, la pastorale vocazionale era articolata attorno ai contenuti e mezzi (preghiera, catechesi, liturgia e carità), ai responsabili (tutta la comunità cristiana a vario titolo e in varie forme), all’attenzione a rapportare età e metodi, a delineare un itinerario articolato (cammino spirituale, annuncio, proposta, accompagnamento, decisione) in cui devono convergere i vari organismi e strutture. La singolarità di ogni cammino diocesano ci esime da una presentazione capillare delle varie proposte. La sintonia con lo sviluppo del CNV attestata nel decennale cammino della rivista Vocazioni è, però, evidente.
Un bilancio finale
È impossibile un bilancio sintetico di questa breve ricognizione. La stessa parzialità del campione ci tratterrebbe da esso. Tuttavia si può notare come il tenore delle lettere pastorali sia cresciuto con una maggiore sensibilità alla complessità della problematica vocazionale. Lo sforzo di superare l’urgenza dei “posti vuoti” per una ricomprensione della vocazione come “tema generatore” di tutta una prassi specifica organicamente connessa con la pastorale globale e, più radicalmente, di un modo di essere chiesa e di educare alla fede, credo rappresenti il maggior pregio dei testi passati in rassegna. Un ulteriore elemento di pregio sta nella capacità di interpretare la problematica vocazionale come stimolo ad una pastorale di qualità. Una pastorale di qualità che, se già da tempo ha dovuto superare la logica del mantenimento, forse, in questi ultimi anni, è chiamata a misurarsi sul grado di adesione personale alla fede. Un grado di adesione personale che nel suo cuore non può eludere il dialogo tra l’uomo e Dio che fa la verità dell’uomo stesso. Una verità che non è atomizzata nei suoi significati, ma polarizzata nella sua dimensione vocazionale come espressione di fedeltà, totalità e gratuità di un dono che esige una risposta ad alta densità di impegno. Solo in questo contesto il problema vocazionale non scadrà nel promozionale, ma si identificherà in modo limpido con quella “via della vita” che compendiava per l’uomo della Bibbia, il suo processo vocazionale.
Note
[1] Cfr. Enchiridion CEI, 4, n. 980.
[2] Lo scopo di questo testo è di abbozzare solo un primo bilancio, passando in rassegna alcuni documenti. Non c’è stato possibile analizzare tutte le lettere pastorali di questi ultimi dieci anni. Uno studio più approfondito può diventare l’obiettivo di una pubblicazione o di una ricerca di tipo accademico. I testi presi in esame sono i seguenti: G. CAPUZZI, Chiamati per una missione d’amore. Piano pastorale per l’anno 1992-93, Lodi 1992; P. GIBERTINI, Cercate il volto del Signore, Reggio Emilia – Guastalla 1992; T. BERTONE, Vieni e seguimi. La vocazione sacerdotale in un popolo di chiamati. Lettera pastorale alla chiesa eusebiana, Vercelli 1993; U. TRAMMA, Se conoscessimo il dono di Dio! Lettera pastorale al Clero e al Popolo della diocesi di Nola, Napoli 1992; M. GIORDANO, La pastorale vocazionale: impegno della Chiesa locale, Napoli 1993; E. MASSERONI, Giovani e Chiesa tra presente e futuro, Mondovì 1989; S. MAGGIOLINI, Radicalità cristiana e Vocazioni sacerdotali e religiose. Diocesi di Como – Piano Pastorale 1993-1994, Como 1993; CONFERENZA EPISCOPALE PIEMONTESE, La messe è molta, ma gli operai sono pochi, in Regno Documenti 15/1987, pp. 461-466; VESCOVI TOSCANI, Pastorale vocazionale: profezia e speranza della Chiesa, Firenze 1990; C.F. RUPPI, Eccomi, Signore, manda me, Paoline, Cinisello Balsamo 1993.
[3] T. BERTONE, op. cit., p. 36.
[4] G. CAPUZZI, op. cit., p. 6.
[5] CONFERENZA EPISCOPALE PIEMONTESE, La messe è molta, ma gli operai sono pochi, Il Regno Documenti 15/87, 461, n. 1.
[6] E. MASSERONI, Giovani e chiesa tra presente e futuro. Lettera pastorale, Mondovì 1989.
[7] E. MASSERONI, cit. pp. 9-18.
[8] T. BERTONE, Vieni e seguimi. La vocazione sacerdotale in un popolo di chiamati. Lettera pastorale alla chiesa eusebiana, Vercelli 1993, pp. 8-10.
[9] P. GIBERTINI, Cercate il volto del Signore: Lettera pastorale 1992, Reggio Emilia – Guastalla, 1992, pp. 3ss.
[10] T. BERTONE. cit., p. 13.
[11] G. CAPUZZI, Chiamati per una missione d’amore. Piano pastorale per l’anno 1992-93 in attuazione del XIII Sinodo diocesano, Lodi 1992, pp. 12-23.
[12] CONFERENZA EPISCOPALE PIEMONTESE, cit., p. 462, nn. 2-3.
[13] T. BERTONE, cit., p. 34.
[14] G. CAPUZZI, cit., p. 33
[15] M. GIORDANO, cit., p. 23.