N.05
Settembre/Ottobre 1993

Punti fermi della proposta vocazionale ai fanciulli e ragazzi

 

Se non puoi essere un pino sul monte 

sii una saggina nella valle;

ma sii la migliore, piccola saggina 

sulla sponda del ruscello. 

Se non puoi essere un’autostrada, 

sii un sentiero.

Se non puoi essere il sole,

sii una stella.

Sii sempre il meglio di ciò che sei. 

Cerca di scoprire il disegno 

che sei chiamato ad essere;

poi mettiti con passione a realizzarlo nella vita.

(Martin Luther King)

 

È un appello alla consapevolezza che ognuno ha una missione precisa nel grande mosaico della storia. Non tutti devono essere pino, albero, autostrada, sole. Sono preziosi e belli anche il cespuglio, la saggina, il sentiero e la stella. L’importante è compiere in modo nobile e appassionato la propria parte, realizzando la sinfonia di Dio.

Una funzione prioritaria della catechesi oggi consiste nel far percepire ai fanciulli e ai ragazzi l’importanza che Dio attribuisce loro. Tutta la storia della salvezza mostra chiaramente che ogni persona, anche in tenera età come Samuele e Davide, è preziosa agli occhi di Dio. Questi è un padre generoso che dà fiducia ad ognuno, lo chiama per nome, gli garantisce dei talenti e gode nel vederlo crescere. Dio non è invidioso dell’uomo, tutt’altro. La sofferenza di Dio sta all’opposto nel constatare che tante esistenze umane – uniche, irrepetibili, ricche, favorite – siano sprecate. Nessuno ha il diritto di buttar via la propria vita, ricevuta in dono da Dio, al quale si deve rendere conto. Questa è la consapevolezza dell’essere “figli di Dio”.

Oggi i ragazzi si presentano sicuri, orgogliosi, strafottenti, carichi di conoscenze e di mezzi. In realtà, essi sono più fragili, arrendevoli, sfiduciati dei loro coetanei del passato. La paura porta facilmente a nascondere i talenti ricevuti, ad accodarsi alla maggioranza, ad essere rinunciatari, a svendere a basso prezzo le loro potenzialità. Davvero il consumismo ha fiaccato tutti!

Anche una certa pedagogia, appiattita sulla sociologia, non è stata di aiuto nello stimolare gli educatori a far sì che ognuno sia se stesso, senza svendersi alle “parole d’ordine” del momento e senza affondare nella mediocrità generica. La grazia del Signore fa sì che ognuno sia se stesso nel progetto di Dio, né più né meno. Il vescovo emerito di Novara, mons. Aldo Del Monte, ama dire che “le lancette dell’orologio devono segnare l’ora esatta, senza andare avanti o restare indietro”. Per il NT Maria ha una missione diversa da quella di Pietro nella Chiesa, e questi ha un ruolo differente da Paolo, il quale si distanzia da Barnaba ecc.

Questo non significa l’individualismo, la “monade” o l’arrivismo. “Adamo dove sei?” Solo quando si è se stessi fino in fondo, si entra in rapporto verginale con gli altri, senza sconti o servilismi. Il grande limite dello stile educativo attuale consiste nella paura ad essere se stessi, nello sconfinare nella banalità o nella trasgressione, nell’abbassare ideali e proposte grandi, nello scusare tutto e sempre, nel timore di chiedere.

I pochi che pretendono, spesso lo fanno solo in vista del “protagonismo”, in una società dove conta veramente l’“essere campioni”, non l’“essere se stessi”. Si punta all’eccezionale, al fuori-serie, in senso di sopravvalutazione superlativa (il più bello, intelligente, ricco, ecc.) o in senso negativo (il “diverso”, il “trasgressore”). Si perde di vista invece il “normale”, che consiste nella varietà e nella personalizzazione. Viene meno così la sana emulazione, che già era cara a Sant’Agostino: “Se questi e quello sì, perché io no?”

Il richiamo evangelico al fico maledetto perché trovato senza frutti: la parabola del seme, dei talenti, del giudizio finale; l’allegoria della luce, del lievito, del sale… sono sempre attuali nella formazione cristiana, catechistica e vocazionale. Operare per non smarrire il tesoro prezioso, che ognuno è, non equivale ad essere perfetti, impeccabili, senza limiti. L’attenzione alla personalità di ciascuno comprende anche il recupero dei propri errori, omissioni, limiti. Ma l’orizzonte deve puntare al positivo, a ciò che “potrei” essere corrispondendo con l’impegno alla chiamata del Signore. Non è casuale forse che i ragazzi ricordati nel Vangelo siano tutti o paralizzati o morti: ma l’intervento del Signore sblocca le loro esistenze rattrappite, sottotono. Un’eccezione è il ragazzo che dà i cinque pani e i due pesci, poi moltiplicati da Gesù: chi si apre a Lui con generosità, si vede moltiplicato quanto dona, a vantaggio di tutti. Questo è l’ideale cui tendere.

 

 

Ricerca

Mi impressiona sempre il metodo che la Comunità ecumenica di Bose adotta nelle settimane previste per i ragazzi dai 7 anni in poi. Tutti i fanciulli hanno in mano la Scrittura e sono aiutati ad utilizzarla come fonte autorevole della propria fede. I ragazzi si abituano a cercare i passi paralleli, a cogliere i vari significati del testo sacro, a farne delle applicazioni alla propria vita, a trasformare la Parola in preghiera.

Penso invece a come gli incontri di catechesi nelle nostre parrocchie siano talora vissuti con fatica, spesso subiti, dai destinatari e dalle famiglie. C’è da reagire alla “volgarità” cui siamo decaduti. C’è da rimotivare, da appassionare, da trasmettere un’ossatura portante dell’esperienza cristiana. Non si può “giocare al ribasso”, accertarsi del minimo, pagare il pedaggio, identificare l’iniziazione cristiana con la consuetudine sociale di arrivare tutti e comunque alla Cresima…

Ogni discorso vocazionale esige normalmente il desiderio di incontrare il Signore, di conoscerlo, di sapere “dove abita” (Gv 1,38), di attendersi da Lui una parola. Oppure, come per Saulo, Dio irrompe inatteso nella nostra vita sbalzando ognuno dal suo piedistallo di progetti e abitudini. Tale Presenza non va rimossa, ma accolta, sebbene all’inizio sia sconvolgente e destabilizzante per il soggetto.

Certo, va pagato lo scotto all’età dei fanciulli. Ma forse va ripensato lo stile della nostra catechesi, la quale dovrà essere sempre più biblica, capace di un dialogo con il “Tu” di Dio, attenta ad illuminare le profondità del cuore, atta a rendere ragione della propria fede. L’incontro con Dio rivela pienamente il volto di ogni persona: “Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta”, dice cordialmente il piccolo Samuele.

I simboli della luce, del cammino, dello stare ai piedi di Gesù come Maria, del fuoco e del sale possono essere utilmente presentati ai fanciulli e ai ragazzi come stimolo alla ricerca vocazionale e al discernimento. Anche i grandi personaggi biblici sono rivelativi di questo atteggiamento permanente di ricerca, che deve caratterizzare il discepolo di ogni età e di ogni tempo. Si pensi ad Abramo, Mosé, Davide, Geremia, Ezechiele, Maria, Pietro, Saulo… Anche l’incontro con qualche consacrato/a o coppia di giovani sposi può favorire la consapevolezza della bellezza, preziosità, gradualità della ricerca vocazionale per se stessi. Anche il praticare l’esame di coscienza quotidiano e soprattutto la confessione non come routine o elencazione dei peccati, ma come sincero confronto con il Signore che manifesta ad ognuno la sua volontà è assai educativo. 1 nostri gruppi di catechismo dovrebbero diventare più “laboratori di ricerca” nella fede e nella vocazionalità che “supermercati” cui attingere passivamente.

 

 

Coinvolgimento 

Nel NT è chiaro che generalmente la salvezza di Dio è efficace per chi si è lasciato toccare dal suo messaggio, dai suoi gesti, dalla sua Presenza. Non si procede per delega, non basta il “sentito dire”: è l’ascolto, il contatto, l’invocazione che contano. Gesù cerca sempre il “tu” di ogni persona, di qualunque età e condizione. L’Alleanza è possibile solo nel rapporto tra due persone: Dio e l’uomo. Spesso si è tentati di scappare dall’appuntamento con Dio: per distrazione interiore, per sfiducia che possa cambiare qualcosa nella propria vita, per il dubbio di sbagliare…

Gesù è colui che cerca Zaccheo; riceve Nicodemo di notte; si ferma con la Samaritana; chiama Pietro e gli altri apostoli… Gesù non ama gli spettatori, anche se prodighi di applausi. A Lui interessa la sequela, il fare discepoli, l’estendere a tutti l’invito: “Venite con me”.

La dimensione vocazionale nella catechesi normale chiede di porre al centro Gesù: non la “buona educazione” o la formazione morale anzitutto. Spesso l’ottica dei catechisti è: prima cambia vita e poi potrai seguire Gesù! Ma il Vangelo propone esattamente l’opposto: l’andare con Gesù trasforma l’esistenza.

Il “sì” grande di una decisione totale per Cristo nella Chiesa va anticipato e preparato da tanti piccoli “sì”: ad es. nella fedeltà alle proposte della parrocchia, nella costanza agli impegni assunti davanti a Dio e agli uomini; nel coraggio di essere se stessi, nella capacità di fare qualche piccola rinuncia e sacrificio; nel dare credito alla guida catechistica e presbiterale; nell’assumersi qualche piccola responsabilità. È impressionante constatare tanti suicidi giovanili dopo i risultati scolastici negativi!

“Molti sono i chiamati, pochi gli eletti”. Va superata la mentalità di “utenti” o l’atteggiamento di pretesa, o la logica dell’anonimato. Dio non violenta nessuno, ma in forza del suo amore che sa dove sta il vero bene dei suoi figli, Egli chiama ripetutamente colui, colei su cui ha posto i suoi occhi per una missione particolare.

 

 

Condivisione

Può sembrare strano: proprio nel periodo in cui si insiste sul “villaggio globale”, ci si accorge di chiudersi facilmente attorno al proprio campanile. Gli interessi, gli ideali, gli orizzonti sono sempre più di piccolo cabotaggio e di corto respiro. Ma la vocazione non può crescere in un giardino troppo ristretto, completamente recintato: ha bisogno di luce, aria, spazio…

L’educare i fanciulli a “guardarsi attorno” è fondamentale se si vuole incidere vocazionalmente. Cogliere i bisogni degli altri, soprattutto dei più poveri di mezzi necessari, di compagnia, di fede; l’accorgersi del tanto che noi abbiamo rispetto ad altri che forse saprebbero valorizzare meglio i doni dati a noi, senza nostro merito; l’uscire dal proprio egoismo per mettersi nei panni degli altri; il prendere coscienza del bene che potrebbe essere fatto se ci fossero più persone disponibili al bene; il prendere atto del contributo positivo che tanti consacrati/e danno alla Chiesa e al mondo; il conoscere certe figure di consacrati che lungo la storia sono state amiche dell’uomo… Tutto questo è molto formativo.

I nostri ragazzi crescono nella cultura del quantitativo e dell’utile, del misurabile e del riscontro immediato: rischiano di smarrire la dimensione del dono, del gratuito, del saper perdere tempo per gli altri. Fuori da queste prospettive, non è ipotizzabile una vocazione.

Come fare? È importante ad es. educare ad un atteggiamento non da “turista” nella vita: il turista guarda e passa oltre, non si prende a cuore nulla, non pone le radici sul suolo che percorre. Diventare capaci di prendere sul serio le persone, le situazioni, gli eventi; aprirsi alla condivisione, alla solidarietà, all’amore nella concretezza; imparare la preghiera di intercessione, cioè non pregare anzitutto o solo per sé, ma col “cuore cattolico” della Chiesa; apprendere a non giudicare l’altro con superficialità ma a camminare con lui/lei…

Va ripensata allora la nostra catechesi, talora impostata ancora più come insegnamento che esperienza viva di amore e di servizio. Va forse ricuperata la domenica, che non può essere riduttivamente limitata alla eucaristia: è il giorno della festa con/per tutti, della comunione, del servizio, dell’incontro, della festa.

 

 

Compagnia

Il progetto di Dio è quello di fare comunione, unificare, costruire rapporti fraterni dove ciascuno sia conosciuto e valorizzato per quello che è realmente. Il Satana invece è il divisore, il diffusore del sospetto, colui che porta ognuno a rinchiudersi in se stesso o ad emergere sugli altri. La Chiesa è la “compagnia” dei fratelli che sperimentano il perdono e la speranza della Trinità. La catechesi serve a far prendere coscienza di questa appartenenza, basata sulla Parola e sui sacramenti, quindi carica dell’efficacia divina. Attraverso il gruppo, ci si educa al senso ecclesiale, che trova nella convocazione eucaristica domenicale il suo apice. Nessun carisma e vocazione è mai soltanto per il soggetto. All’inizio, Adamo passeggia con Dio e vive in comunione con Eva. Dopo il peccato, egli si nasconde, tace alla chiamata di Dio, scarica sull’altra la colpa. La frequentazione assidua del Signore apre il cuore al dialogo, alla disponibilità, allo scambio, alla reciprocità.

Ogni vocazione ha “sapore ecclesiale”: non è un titolo onorifico o scatto di carriera, ma chiamata particolare a costruire il Corpo vivente di Cristo. Chi non sa stare talvolta da solo, in silenzio e in preghiera, o chi non ama la sua concreta comunità, non saprà stare neppure con gli altri. È l’incontro con Dio e la passione per la Chiesa che spianano l’apertura agli altri. Si tratta di formare a “stare con” gli altri: non “sopra” o “sotto” o “al fianco”, né tantomeno “contro”. Coltivare l’amicizia nel nome del Signore, saper ascoltare l’altro che parla, con cordialità e rispetto; accettare che l’altro abbia opinioni-atteggiamenti-scelte differenti dalle proprie; saper riconoscere il positivo che c’è in ognuno; ricordarsi degli amici nella preghiera; esercitare la franchezza, la correzione fraterna e il perdono; il cercare di stare con tutti; il non fare i “preziosi” di fronte a qualche necessità della comunità… Tutto questo crea l’humus dove può attecchire il seme vocazionale.

Forse, l’organizzazione catechistica e pastorale deve sforzarsi di non lasciare “zone di parcheggio” per i ragazzi, ma di renderli attivi in relazione ai doni della loro età. Il settore liturgico, ricreativo, caritativo, missionario…. offre delle preziose occasioni per far fruttificare i doni di ognuno e per rimetterli in circolazione a vantaggio di tutti. Questo è più difficile oggi, nella mentalità dei “figli unici” e del computer, che spesso ha preso il posto dell’amico/a.

 

 

Accompagnamento

Nell’AT, Samuele cresce alla scuola di vita di Eli. Nel NT, un ragazzo caduto dal balcone mentre Paolo predicava, viene riportato in vita dall’apostolo. Due esempi di ragazzi che hanno trovato negli adulti il loro riferimento. Qualche anno fa, il Cardinale C.M. Martini ha riproposto l’importanza educativa della presenza degli adulti accanto ai ragazzi. Nella sua saggezza secolare, la Chiesa aveva proprio sottolineato questo aspetto, proponendo la figura del padrino/madrina nei sacramenti del Battesimo e della Cresima. Nell’intenzione della Chiesa, non si tratta di figure coreografiche, ma di punto di riferimento, di confronto, di consiglio, di creazione, di esempio.

Nessuno si educa da solo: il “fai da te”, soprattutto per i ragazzi, è illusorio. Oggi soprattutto c’è il rischio di perdere la memoria del passato, di vedere solo il presente, di credere unicamente a ciò che si tocca con mano nell’“adesso”, di essere figli di nessuno. E proprio perché “senza padri”, è facile smarrirsi, non cogliere la propria identità, sbagliare obiettivo e metodo di ricerca, temere il futuro, credere ai “maestri del nulla” e ai “venditori di fumo”.

Il giovane e l’adulto che si affiancano al ragazzo/a, soprattutto dalla preadolescenza in poi, possono essere il catechista, l’animatore, un insegnante, un parente, un sacerdote, un religioso/a, il padrino/madrina, il responsabile di un servizio pastorale o di una via… Tale ministero di fatto sostiene negli inevitabili momenti di stanchezza e di tentazione; incoraggia a tendere a mete ulteriori: richiama alla preghiera e alla fedeltà; consiglia nelle scelte e dialoga fraternamente; attutisce le durezze e i pregiudizi, tipici dell’età; copre le spalle con la preghiera; testimonia con l’esempio che è possibile e bello seguire il Signore. Questo accompagnatore laico, sacerdote confessore o direttore spirituale, è lì anche quando l’entusiasmo si allenta, il proprio ragionamento non basta, la vita di comunità scricchiola. La sua funzione è quella di “ponte” tra passato-presente-futuro; tra singolo e Chiesa; tra ideali e precarietà quotidiana; tra sogni e mediazioni.

Nell’attuale fase di adagiamento, di ripiegamento, di poca creatività che caratterizza i preadolescenti e gli adolescenti, l’adulto o il giovane esercitano la profezia come capacità critica e come suggerimento di ulteriori orizzonti. La storia secolare della spiritualità e la storia delle vocazioni rivelano la preziosità di questo esercizio di “direzione spirituale”, che va proposto esplicitamente e favorito. Il Dio dell’Alleanza passa attraverso un amico/a-maturo/a, capace di tenerezza e di misericordia. Lì si avverte il calore gestativo di una vocazione.

 

 

Conclusione

Molti altri aspetti si potrebbero far risaltare, oltre a questi indicati. Ad es. non si è voluto sviluppare il tema della preghiera: non perché sia poco importante, ma perché lo si ritiene basilare, radice di tutto il resto. Per questo, concludiamo con una preghiera della Bolivia:

O Signore, ti porto una pietra,

un rozzo pezzo di pietra. 

Accettalo, perché si tratta 

del mio cuore. 

Trasforma questo cuore.

Fa’ che diventi tenero e si apra,

 poiché ogni uomo

 è una pietra preziosa 

ed importante nella Chiesa, 

destinata alla sua costruzione, 

perché diventi una Chiesa viva. 

Questa pietra siamo tutti noi. 

Trasformaci, per favore. Amen.