N.04
Luglio/Agosto 1993

Nuova evangelizzazione, radicalità evangelica e vita consacrata

La ricezione progressiva dell’imperativo della nuova evangelizzazione porta ad una prima conclusione che, certo, non chiude la strada ad altre ma è destinata ad orientarle. Con sempre maggior convinzione si comprende che la nuova evangelizzazione postula un rinnovamento profondo della vita cristiana; non un aggiustamento o una semplice revisione ma una conversione con i caratteri della radicalità. In questo senso Giovanni Paolo Il dice che la nuova evangelizzazione esige che si rifaccia il tessuto cristiano della vita cristiana nelle comunità ecclesiali[1]; altri traducono: rifondare l’esperienza cristiana secondo i criteri decisivi del Vangelo. Con incantevole chiarezza Paolo VI già avvertiva: “Evangelizzare è rendere nuova l’umanità stessa. Ma non c’è nuova umanità se prima non ci sono uomini nuovi, della novità del battesimo e della vita secondo il Vangelo… Si tratta di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti d’interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità…”[2].

La nuova evangelizzazione, in definitiva, richiede nuove figure e una nuova qualità della vita, dell’esperienza cristiana. In un periodo dominato dalla temperie di un confuso bisogno di Dio (“Dio non è conosciuto, non è compreso, è semplicemente usato” come esplicano alcuni studiosi del fatto religioso), risulta decisiva la testimonianza della vita di tutti i cristiana. Il tempo degli “adoratori di Dio in spirito e verità” (cfr. Gv 4,23) è ormai giunto, non è più da aspettare. Un cristianesimo mediocre non parla a nessuno, contraddice l’originalità evangelica e deforma la missione della Chiesa.

 

 

Fermento evangelico e evangelizzatore

Molte ragioni portano oggi a connettere le esigenze della nuova evangelizzazione, appena accennate, alla “vita consacrata” ossia all’insieme di uomini e donne che, grazie alla loro consacrazione religiosa, sono per eccellenza volontari e liberi per lasciare tutto, seguire Cristo e andare ad annunziare il Vangelo ovunque e a tutti. Nella generica dizione di “religiosi e religiose” qui comprendiamo l’immenso dono fatto dal Signore alla sua Chiesa e all’umanità contemporanea, un dono reso visibile e offerto da persone che si sentono chiamate alla sequela radicale di Cristo per mezzo di una vita povera, obbediente e casta “secondo il Vangelo”. Ad essi viene chiesto di “essere fermento evangelico ed evangelizzatore delle culture del terzo millennio e degli ordinamenti sociali dei popoli”[3]. La condizione è che i membri della vita consacrata abbiano a “ripensare il proprio rinnovamento alle soglie del terzo millennio, davanti alle sfide e alle opportunità del momento presente” [4]. Ecco: ripensare, rinnovarsi. In quale direzione? In quale modo la vita consacrata può e deve essere agente di nuova evangelizzazione?

Domande e problemi che hanno un’ampiezza non comune; non a caso è indetto un Sinodo dei Vescovi e non a caso gli istituti di vita consacrata, gli ordini e le congregazioni lavorano da tempo con umiltà e alacrità. Qui possono stare soltanto alcune rapide considerazioni e provocazioni generate da amore ed espresse forse con minore finezza di quello che il “mistero” della consacrazione religiosa richiederebbe. I lettori e, fra essi, i religiosi e le religiose, vi vedano soltanto un gesto di comunione e un messaggio: senza di loro la vita cristiana ed ecclesiale sarebbe di molto impoverita. E l’evangelizzazione sarebbe più difficile, anzi incompiuta.

 

 

La trasparenza del segno

La fiducia popolare non va mai tradita. Anche i giovani sanno la preziosità del “non tradire”. Il popolo, la gente, uomini e donne che spesso arrivano soltanto alla soglia della comunità ecclesiale e non sanno o non vogliono entrare, hanno una grande fiducia nei frati e nelle suore: in essi vedono un segno di Dio. Sarà proprio la trasparenza del segno ad essere decisiva nei prossimi anni per la causa del regno di Dio. Non basteranno, certo, gli abiti, alcuni gesti più o meno spontanei la presenza talora importuna in tutte le occasioni a “fare segno”. Sarà l’essere-se-stessi, la genuinità “religiosa”, la trasparenza del dono che si porta dentro a muovere le persone. La qualità della vita cristiana oggi la si vuole alta. Ciò vale anche per la vita consacrata.

 

“Consigli” con radicalità

Ai membri della vita consacrata non basta più presentarsi come gli osservanti, i “titolari” esclusivi dei “consigli evangelici”. È ormai diffusa la coscienza che il Signore Gesù chiama tutti ad essere poveri, obbedienti e casti, secondo il Vangelo e secondo la propria misura. Non si può espropriare ciò che è comune. Sempre più sposi e altri cristiani “comuni” si interrogano sul loro dover essere poveri, casti e obbedienti con forme di vita che non lasciano niente a desiderare quanto ad autenticità e a dedizione. La stessa dizione di “consigli” evangelici è, non da oggi, poco persuasiva; si vedano gli studi di Thaddée Mura, di Karl Rahner, di Rudolf Bultmann e altri, in anni già lontani, dove apertamente si parla di incongruenza. La conclusione non è che non esistono più i consigli evangelici e che non riguardano più i religiosi; la differenza che coinvolge nel profondo i fratelli e le sorelle di vita consacrata è il radicalismo evangelico nel vivere i cosidetti “consigli”, secondo vocazione e carisma, “senza misura”. Non vi è un limite che consente di dire: ora sono a posto. Ogni giorno nella vita consacrata c’è l’interpellanza dell’amore: “mi ami più di costoro?”. La perfezione dell’amore non è una parola vuota.

 

Immersi nella comunione

Nessuno diventa santo, vive il Vangelo e edifica la Chiesa da solo. La santità è un evento di comunione. Anche l’evangelizzazione vuole comunione e di essa vive. I religiosi e le religiose non possono essere degli isolati; la consacrazione non può dissociarsi dalla missione. Il tema ha i suoi aspetti delicati e soltanto una solida esperienza di vita spirituale consente di essere in comunione senza offendere la discrezione. Ma bisognerà pur trovare i modi perché la gente che vive di sofferenza e di desolazione non si senta estraniata dai “recinti religiosi”. C’è sempre la preghiera che unisce; ma anche la carità, la condivisione e la solidarietà reclamano segnali autentici e non si accontentano di essere interpretati dalle intenzioni.

 

Prendere su di sé pesi e peccati

I poveri li avete sempre con voi”. L’ha detto il Signore Gesù (Mc 14,7). Tra i poveri più poveri oggi sono uomini e donne che non tengono in conto la fede, non hanno la forza di cercare Dio, non guardano in alto perché hanno paura. Ci sono poi nel mondo segni della presenza demoniaca, di fronte ai quali Gesù ha avvertito che servono soltanto preghiera e digiuno. Ecco, c’è una parte della incredulità del mondo che va presa in carico da qualcuno in modo del tutto particolare per intensità e continuità. Religiosi e religiose non affollino i piccoli spazi dove già operano altri; cerchino i vuoti da riempire e indichino sentieri sconosciuti ai più. In altri tempi monasteri e luoghi di contemplazione sono stati costruiti in luoghi remoti e riservati; oggi forse, se si potesse, occorrerebbe costruirli nel cuore delle cittadelle degli affari o all’incrocio di quei viali che i giovani usano per lo “struscio” serale. Non per spaventare o per sgridare, ma per invitare, per essere un segnavia o semplicemente per esser-ci.

Forse, chiediamo troppo ai fratelli e alle sorelle della vita consacrata. Essi non abbiano paura di chiedere molto anche a noi, preti diocesani, laici, operatori sociali, ecc. I responsabili della promozione e della formazione vocazionale siano solleciti a farle diventare nuove esperienze di radicalità evangelica, qualcosa di cui si possa dire a tutti, con verità: “venite e vedete”. L’evangelizzazione ha sempre bisogno di fatti.

 

 

 

Note

[1] Cfr. Christifideles laici, n. 34.

[2] Evangelii nuntiandi, nn. 18-19.

[3] Sinodo dei Vescovi, IX Assemblea Generale, Lineamenta, Roma 1992.

[4] Ivi, n. 33.