Vita consacrata una proposta credibile, una parola affidabile
Oggi si torna a parlare esplicitamente e frequentemente di “vita consacrata”, di “vocazione di speciale consacrazione”. È ancora valore vivibile? Il giovane di oggi può, attraverso la vocazione consacrata, realizzarsi in Cristo? La vita consacrata insomma è promotrice di identità? L’uomo e la donna possono viverla essendo e rimanendo “vivi” nel senso più pregnante del termine, conseguendo cioè la loro compiutezza antropologica e la pienezza esistenziale? Possono cioè scrivere – da consacrati – la storia di una vita vera, di uomini veri e donne vere? Ma che cos’è la vita? Tutto sta nella risposta a tale interrogativo.
Se la vita umana è dono del Creatore, partecipazione del suo soffio vitale, del dinamismo dello Spirito Creatore, “che è Signore e dà la vita” – e quindi il Signore della vita – allora possiamo proclamare al mondo, senza timore che una vita realizzata e spesa “in, con e per Lui” è certamente il “massimo” di vita cui possa aspirare l’uomo.
Sono lieta quindi che mi si sia richiesto di trattare della vita consacrata in un’ottica di positività. Questo costringe e conserva “naturalmente” le mie riflessioni entro l’orizzonte della sua scaturigine prima inducendomi ad approfondirne le origini divino-teologiche e le attinenze umano-antropologiche, sia pure brevissimamente, quasi schematicamente.
Tale visuale mi è anche congeniale poiché coincide con le mie più profonde convinzioni, confermate del resto da lunghi anni di permanenza in una Casa di Formazione.
Altissima qualità di vita
Studiare la vita consacrata significa: inoltrarsi nel mistero di Dio-Trinità; cercare di penetrare più intimamente possibile nel mistero di Cristo, Verbo di Dio Incarnato; sempre restando collocati nel cuore della storia.
La vita consacrata, dunque, sgorgata da un mistero di divina Trascendenza e puro dono quindi di divina Condiscendenza, resta un “mistero”, nel senso proprio e positivo del termine.
Mistero di “seduzione” che attira e connubia un essere creaturale col suo infinitamente Altro, che è il suo Creatore. “Mi hai sedotto, Signore, e mi sono lasciato sedurre” (Ger 20,7); “Ti farò mia sposa per sempre” (Os 2,21); “Tu sarai chiamata mio compiacimento e la tua terra, sposata… Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo architetto” (Is 62,4-5).
Impensabile e vertiginosa la proposta divina. Tutta la persona umana ne è investita, poiché è chiamata a stipulare un contratto (alleanza) nuziale che dovrà raggiungere la sua parte più segreta e profonda, attraversarla con la sua Energia Creatrice perché sia promossa tutta la sua energia umana. “Persevera sino alla fine fedele a un matrimonio che non ha fine”, scrive Agostino (Lett. 150).
Questo “matrimonio” infatti è destinato a promuovere tutte le più segrete potenze dell’uomo e della donna, perfettamente conosciute, del resto, dal loro “architetto”. E non soltanto perché ne è il Creatore, ma perché esse alla “forma”del Verbo di Dio sono state conformate “per immagine e somiglianza”. L’uomo dunque, creato e formato nella somiglianza di Dio-Amore, vive costitutivamente del dinamismo dell’Essere divino.
È necessario che ne prenda coscienza per essere pienamente se stesso. L’uomo – e in modo speciale il consacrato – è chiamato prima di tutto ad assumere come proprio il ritmo, lo slancio vitale, creatore, perennemente nuovo dello Spirito di Dio. Non diversamente da ogni suo fratello, ma, in quanto chiamato, egli dovrà farne memoria, dovrà essere per gli altri “rivelazione” della “struttura d’amore” dell’essere umano.
Fu l’esigenza radicale di un uomo – Agostino – che, proprio dalla chiarezza delle origini, trasse forza e luce per portare la sua vita al massimo della sua potenzialità, in un instancabile appassionato dono di sé. Non vi è altra radice motivante l’uomo che questa ricchissima, fecondissima chiarezza.
H.U. Von Balthasar proprio di Agostino così scrive, nella sua Introduzione a Le Confessioni: “Ciò che gli importa è il ritrovamento dell’origine, della situazione creaturale di partenza, dell’attimo della creazione nella sua aurorale purezza da dove emerge luminoso il progetto dell’universo: gli importa la grazia dello stato originale e la prima unione d’amore con Dio via della quale è poi caduta con le sue colpe tutta la susseguente esistenza terrena. L’intera teologia di Agostino contiene una tensione di ritorno verso il principio”.
C’è qui tutta l’ansia antropologica di “conoscere se stessi e Dio” per essere se stessi: “Signore che io conosca me che io conosca te” (S. Agostino).
Una vita confiscata dal Signore della vita
Qui il segreto di una vita che può prendersi in mano e decidere di donarsi, attirata nella spinta d’amore del suo Principio. Il fondamento delle autentiche chiamate è qui, qui il segreto della loro origine. E ciò fu reso possibile perché questo principio d’amore, quando i tempi giunsero alla loro pienezza, assunse un Volto. Un Volto Umano incarnò una volta per sempre questo Amore e ancora oggi lo rivela, lo prolunga, lo propone: il Volto del Figlio.
Da allora “La venuta di Cristo – predica il Catechismo della Chiesa Cattolica – rimane per tutti i consacrati l’origine e l’orientamento della loro vita” (933). “Et incarnatus est”: qui l’origine della sequela. Sequela di un Amore appassionato che lo Spirito del Padre sigilla e consuma. “Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù… il quale passò beneficando e risanando… perché Dio era con lui” (At 10, 38). “Per questo – dice il Catechismo della Chiesa Cattolica – le sue opere e le sue parole lo riveleranno come il Santo di Dio” (438).
All’origine dunque della vocazione consacrata, è il Verbo, il Verbo Incarnato. Nell’incandescente Personalità del Verbo, del Figlio, è la forza d’amore che anima, attraversa e motiva la vocazione consacrata.
Egli dunque deve modellarsi, forgiarsi nel seno della Trinità, “in sinu Patris”, come il Figlio, dal quale “è mandato” quale prolungamento della Sua Umanità in mezzo agli uomini. L’infinito Amore Trinitario, fisionomizzandolo, lo motiva.
Ecco perché – sia detto pur di passaggio – il consacrato è prima di tutto un contemplativo, e il suo ministero “un amore per sovrabbondanza”, così lo dichiara S. Agostino. La natura stessa della vita consacrata è allora pienezza dinamica perché vita nello Spirito vivace e mobilissimo di Dio: “In essa (nella sapienza) c’è uno spirito intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, mobile, penetrante, senza macchia, terso, inoffensivo, amante del bene, acuto, libero, benefico, amico dell’uomo, stabile, sicuro, senz’affanni, onnipotente, onniveggente e che pervade tutti gli spiriti intelligenti, puri, sottilissimi. La sapienza è il più agile di tutti i moti; per la sua purezza si diffonde e penetra in ogni cosa… È un riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell’attività di Dio e un’immagine della sua bontà” (Sap 7,22 ss.).
È questo Spirito che continuamente plasma e manda; che pone in stato di veglia e di missione, due atteggiamenti costitutivi dell’uomo che vive e opera, immagine inequivocabile della vita intima della Trinità, delle sue eterne “processioni” e del suo uscire da sé nel Cristo verso l’uomo e la storia.
Per il consacrato dunque il luogo della sua vita è proprio la storia. Egli vive immerso nella storia per la sua stessa natura umana, per passione e missione; ma una storia che “per Cristo, con Cristo e in Cristo” egli deve trasformare in storia di salvezza.
È necessario per questo che egli resti collocato con la sua vita intima presso le sorgenti, nel cuore del grande mistero delle origini che è la Trinità, origine anche dell’uomo al quale è mandato. Di lì egli dovrà aiutare l’uomo a leggere i sensi della storia per essere sua guida senza rischiare di essere travolto o risucchiato. Dice Agostino: “L’amore della verità ha sete di contemplazione; ma le urgenze dell’amore inducono all’azione” (Città 19,19).
L’amore si accende nella contemplazione, ma subito si fa azione, incarnazione. Queste affermazioni di Agostino ci svelano, infatti, il duplice dinamismo di uno stesso amore che spinge, da una parte, verso l’infinita e dolce Verità di Dio e che costringe dall’altra ad abbracciare nell’infinito di Dio, tutta la finita avventura umana.
Tutta la vita consacrata si offre a Dio in permanente tensione evangelizzatrice carica di ogni urgenza umana. Evangelizzata nella fiamma della comunione con Dio, diventa evangelizzatrice. La fecondità è costitutiva di ogni vita, di ogni atto che si compie nella comunione con Dio perché partecipa della fecondità dell’Attività divina. In Gesù, il consacrato per eccellenza, in quanto uno col Padre, ogni gesto, ogni parola, ogni momento di esistenza è carico di pienezza salvifica e quindi realmente evangelizzatrice.
E non è questo il massimo di realizzazione cui possa aspirare il giovane di per sé in attesa che gli si apra il mistero della vita nella sua consistenza vera e reale? E non è questa la pienezza della sequela? “Dio – scrive Agostino – non ordina nulla che giovi a Lui stesso, ma a colui al quale dà ordini” (Lett. 138,1,6).
I valori divini sono dunque assolutamente necessari all’uomo, alla sua piena realizzazione e rendono il servizio dei consacrati “sostanzialmente” diverso da quello di chi opera semplicemente “nel sociale”. Ma è allora – conseguentemente – anche vero il contrario: l’impegno dell’uomo, a favore dell’uomo, è componente fondamentale della sequela. Che è tale dalla pienezza dell’Uomo-Dio e vera e reale, solo nella immedesimazione con tale Pienezza.
Con l’Incarnazione, Dio ci ha portato il suo modo storico di essere e di operare che il consacrato assume e porta, nella sua esistenza concreta, fino alle estreme conseguenze, nella libertà da tutto ciò che potrebbe ridurre la portata del suo dono: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).
La capacità umana dell’uomo e della donna, in questo impegno supremo e appassionato, come è stato quello di Cristo, possono raggiungere potenzialità impensabili. Alimento di questa premessa di realizzazione, di questa “misura di amare senza misura” è l’Eucaristia. Il consacrato che si nutre dell’Eucaristia, Corpo e Sangue, anima e divinità del suo Signore, accetta la dimensione “divina” dell’essere e quindi il valore sacro e salvifico della sua esistenza, e insieme la prassi “divina” dell’operare. Sperimenta in sé “il legame dell’Assoluto con la continenza storica propria dell’evento cristologico” (S. Zucal).
Penso che oggi non possa esserci proposta più provocatoria ed esaltante per i giovani che hanno fatto una dolorosissima esperienza: il crollo dalle grandi ideologie che sembravano risolutive e stabili per sempre; il crollo di valori etici e l’assoluta mancanza di punti di riferimento, e insieme la presa di coscienza di bisogni estremi e assoluti dell’uomo.
Una vita che parla
Quale allora la figura e il compito del consacrato in questo nostro oggi? Il contrario dell’alienato e dello sterile illuso. È piuttosto colui che, avendo affrontato con realismo leale la fatica di essere se stesso secondo il progetto antropologico originario del Creatore – riconosco che questo può sembrare un pensiero ossessivo – sa leggere in questa “legittima” realizzazione di sé anche la missione, il suo compito.
Egli cioè può essere pienamente se stesso, se accetta di incarnare il carisma con cui Dio lo ha configurato dall’eternità nel suo Pensiero d’amore. I voti sono semplicemente veicolo di radicale disponibilità a questo Amore.
Oserei dire che questa è la sua missione fondamentale: offrire agli uomini fratelli un modulo esistenziale di uomo realizzato nel Cristo, quindi un modulo di bellezza, di equilibrio umano-divino, che non è perfezione, ma tensione serena e fiduciosa verso un approdo di verità personale.
In questo senso possiamo allora dire che la specificità carismatica è necessaria per far risplendere in mezzo agli uomini la bellezza, la ricchezza, dei molteplici doni di Dio, sicché siano per tutti, per tutta la Chiesa, memoria e nello stesso tempo ispirazione e sostegno alla fatica quotidiana dell’essere uomini secondo Dio.