N.04
Luglio/Agosto 1993

Attenzione e cura per le vocazioni consacrate nella parrocchia

Non si tratta di immaginare qualche nuova ricetta perché la parrocchia torni ad essere, come di fatto lo è stata in un passato non così remoto, “vivaio” di vocazioni consacrate. Potessimo permetterci un lusso del genere! La fioritura, la maturazione, il discernimento e l’accompagnamento vocazionale reclamano una tale e profonda conversione delle nostre comunità sì da rendere impensabile che ci si possa accontentare di qualche aggiustamento nel “tiro”.

Eppure non è difficile incontrare anche oggi l’evento straordinario di una fioritura vocazionale nella “povertà”, ferialità, ordinarietà di non poche parrocchie senza per forza dover ricorrere alle “serre” di esperienze particolarmente forti e largamente selettive in aggregazioni ecclesiali al di fuori delle parrocchie e non di rado anche delle diocesi.

Dove sta il segreto? In un lavoro serio, profondo, quotidiano, convergente, dove l’analisi attenta permette la chiara enunciazione di obiettivi, contenuti, metodi e strumenti. Dando per scontato, sia chiaro, che tale lavoro neanche lontanamente può essere immaginato come opera per il reclutamento vocazionale bensì, come giustamente da tempo si sottolinea, va pensato come la creazione migliore possibile delle condizioni che permettono alla voce di Dio di raggiungere il cuore del chiamato e alla vita del chiamato di immaginarsi con gioia e capacità esistenziale risposta d’amore al Dio vivente.

Per una ragione molto semplice. Questo stile è congeniale alla stessa identità parrocchiale che si è andata stagliando e che si va sempre più chiaramente delineando nel periodo post-conciliare e di fronte alle esigenze della nuova evangelizzazione.

 

 

Comunità vocazionale

L’idea che esista una vocazione alla quale ogni uomo deve rispondere deve nascere presto e bene nel cuore dei nostri bambini, fanciulli, ragazzi, giovani, nello stesso incontrare, fare esperienza, vivere la parrocchia. Si va in parrocchia per i motivi più svariati. Lo sappiamo. Ma l’incontro con essa, tanto intesa come insieme, come contesto, come vita, quanto intesa nelle singole persone che la formano, deve trasmettere un’immagine non equivoca. La parrocchia fa intravedere “altro” da quello che si immaginava di trovarci. Il bambino, il fanciullo, il ragazzo non devono far fatica a percepire emotivamente, intellettivamente ed esperienzialmente, anche se vagamente all’inizio e poi sempre più chiaramente, il volto autentico della chiesa. Non possono e non devono confonderla con la scuola, con il cinema, con l’associazione sportiva. Devono percepire la non riconducibilità a nessuna delle forme che vanno conoscendo nel cammino di crescita nei vari contesti di socializzazione. Al massimo concediamo che essi, almeno in parte, possano confondere la parrocchia con la loro casa… Possano percepire nella parrocchia la presenza di altissime emozioni quali è possibile vivere solo in casa.

Il primo incontro che essi fanno è con la liturgia. Se entro in una casa disadorna, sporca, confusa, fredda ho l’impressione che non ci si viva bene in quella casa. Non c’è una famiglia col suo calore, la sua gioia, la sua intimità. Ho una brutta impressione. La parrocchia offre l’immagine di una comunità dalle sue liturgie. Ed offre l’immagine di una comunità vocazionale dal modo con cui celebra.. Entrando in chiesa ed incontrando la comunità che celebra il bambino, il fanciullo, il ragazzo fanno la prima fondamentale esperienza di Dio: un Dio con noi, un Dio presente, un Dio al centro dell’attenzione di tutti, un Dio invocato, amato, un Dio che unisce le voci e i cuori. Un Dio importante. La bellezza, la luce, il calore, la gioia che viene trasmessa dalla comunità dice che è un Dio buono. Essi percepiscono nella comunità la presenza di momenti belli che si sono vissuti in casa in alcune circostanze particolari: le circostanze festose, gioiose e belle della vita di famiglia. Percepiscono che la comunità cristiana è riunita in nome di Qualcuno che non si vede, non si tocca, non si sente ma che è profondamente, concretamente presente. Percepiscono che questo Qualcuno genera gli stessi sentimenti di amore, gioia di stare insieme, confidenza, proprio come in casa quando le cose vanno bene. Percepiscono la solennità dei momenti importanti quando in casa il babbo parla “serio”. Percepiscono la necessità dello stare in silenzio proprio come quando si fa in famiglia qualcosa di importante… Percepiscono la distinzione dei ruoli perché vedono che tutti (o molti) fanno qualcosa per tutti: ciascuno facendo bene la sua parte rende bello il momento comune. Percezioni, sensazioni, crescenti, importanti. Sapremo spiegare – a suo tempo – ciò che i nostri bambini, fanciulli, ragazzi hanno già finito per cogliere: una comunità convocata da Qualcuno e per qualcosa di importante, bello, rassicurante. Sarebbe il massimo se potessero vedere babbo e mamma con loro. La comunità sarebbe una famiglia di famiglie. La dimensione vocazionale della vita viene così trasmessa per osmosi, per assorbimento. La vita sacramentale della comunità cristiana svolge un ruolo fondamentale nella creazione delle prime condizioni di base: l’esperienza di una comunità “consacrata” rende vicina, possibile, connaturale la prospettiva che un giorno si potrebbe presentare a quello che era un bambino, un fanciullo, un ragazzo ed ora diventa un chiamato.

 

 

L’annuncio vocazionale

L’esplicitazione contenutistica/esperienziale dell’esperienza liturgico/sacramentale è il fatto, il passo, l’elemento successivo. Amati, desiderati, creati, chiamati, con sacrati prima della creazione del mondo. Un popolo consacrato al Signore perché sappia costruire una umanità che viva come Dio la vuole. Nella chiesa tutti chiamati consacrati-inviati… La comunità cristiana accoglie, genera, nutre i suoi figli con la Sapienza e la dottrina. Mentre parla, testimonia. Mentre propone fa fare esperienza. La catechesi in tutte le sue manifestazioni, contesti e possibilità, non potrà in alcun modo prescindere dal presentare le cose come le ha presentate Dio, Gesù, la Chiesa dello Spirito Santo della Pentecoste. La catechesi sistematica, la catechesi delle occasioni; la formazione dei catechisti; la predicazione dei sacerdoti… Di fronte al gesto liturgico il figlio del Deuteronomio chiederà al padre che cosa stiamo facendo: il padre saprà rispondere con un annuncio chiaro, esplicito, forte. Senza sottintesi, sotterfugi…

 

 

Vita consacrata

Non c’è da aspettare una chiamata speciale per vivere da consacrati al Signore. Semplice: è la carità vissuta nella Carità il fatto consacratorio per eccellenza. L’atto battesimale è atto consacratorio. Vivere la carità nella Carità di Dio è la risposta a questo incredibile, affascinante dono di Grazia. Si potrà pensare una qualche possibilità di scelta vocazionale verso la vita consacrata se il vivere la consacrazione battesimale non è diventato stile, necessità? Siate santi perché io sono santo… siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste… Non è una proposta alle suore o ai monaci. Vale per tutti. E nella esperienza che riguarda o coinvolge tutti, si creano le condizioni e il terreno indispensabile perché il Signore possa scegliere alcuni per metterli al servizio di tutti…

Sembra scontato. Ma non riesco ad immaginare per la mia parrocchia un cammino diverso. Non ho omesso involontariamente l’aspetto della spiritualità, della direzione spirituale ecc. Ho semplicemente immaginato una parrocchia, ogni parrocchia con i suoi elementi costitutivi, ordinari, feriali. Insomma si può e deve fare molto di più ma questo – e non è affatto poco – possiamo farlo tutti. È il minimo di attenzione e di cura che dobbiamo, in ogni parrocchia al bene dei nostri figli, in particolar modo per quelli che un giorno saranno chiamati a scelte di vita consacrata. È il minimo che dobbiamo loro.