Totalità tra valore, legge e virtù
Una riflessione sulla “totalità” quale categoria vocazionale non risulterebbe completa se non si cercasse di affrontare il tema anche dall’ottica particolare dell’agire morale della persona. Lo scopo di questo contributo è appunto quello di cercare di cogliere, da questo punto di vista, la totalità nel suo intreccio con una concezione di valore, di legge ed in particolare di virtù quali sono proposte dalla riflessione morale cristiana. Occorre cogliere, in prima battuta, come il tema della totalità sia in un certo senso correlativo a quello della fedeltà, proposto come tema per la giornata vocazionale mondiale dello scorso anno. Al tema della fedeltà avevamo articolato la capacità di progettazione della persona in un’opzione di vita che consentisse di dare consistenza alla scelta fondamentale di fedeltà e offrisse così lo spazio concreto per attuare una risposta nella fede alla fedeltà di Dio verso l’uomo[1]. Il tema di quest’anno offre una risonanza qualitativa sia all’evento del dono di Dio che alla conseguente risposta dell’uomo. La categoria della totalità immette nella struttura della fede cristiana una dilatazione prospettica che configura l’etica cristiana alla luce del compimento integrale della persona quale forma emblematica della risposta al Dio che in Cristo ci ha dato e ci ha detto tutto. In questa prospettiva la totalità diventa la forma piena della risposta dell’uomo a Dio. Per questo è necessario articolare il discorso sulla totalità antropologica non soffermandosi solamente sulle leggi che esprimono questa totalità e neppure sui valori che dovrebbero essere tutelati da tale produzione normativa. È necessario piuttosto collocarci nella prospettiva delle virtù in quanto nel loro esercizio il soggetto pone se stesso nell’ottica della totalità. La virtù, nella prospettiva dell’etica cristiana, indica tutto l’impegno e la recettività totale dell’uomo nel lasciarsi plasmare dalle esigenze della vita buona.
Uno stile di vita ispirato alle virtù
La prospettiva della totalità si lascia esprimere, come già si è accennato, quale compimento integrale dell’uomo, cioè di tutto l’uomo come persona individuale e sociale. Questa caratteristica di integralità fissa chiaramente come insufficiente una prospettiva morale centrata sul semplice adempimento di un “dovere” esterno all’uomo, ma postula quasi naturalmente la doverosità morale nella linea della plasmazione di quella che viene definita “vita buona”. L’appello morale è dunque per la totalità della persona chiamata al bene ed alla vita buona e non semplicemente alla ricerca della correttezza del proprio agire atomizzato. In questo dinamismo le virtù morali entrano con la loro caratteristica stabilizzante di disposizione al bene (ritroviamo qui il termine tecnico della Scolastica di habitus operativus boni) pensato e voluto alla luce della grazia di Dio. Tale disposizione permanente consente di organizzare le singole scelte morali nella prospettiva di un impegno sempre più ampio, di una crescita e maturazione verso quella convergenza di vita buona e felicità che nella prospettiva cristiana è la beatitudine. In questo senso l’esercizio e la cura per le virtù consente all’uomo di non fermarsi alla logica calcolante del minimo sforzo correlato al massimo rendimento, ma sospinge la persona alla realizzazione massima della sua capacità di risposta.
L’auto-compimento integrale della persona è dunque possibile solo nell’esercizio progressivamente spinto al massimo grado delle virtù. In questa prospettiva possiamo ritrovare quella definizione giustamente “massimale” di virtù che recentemente – dopo un serrato dibattito con altre prospettive filosofiche – ha proposto G. Abbà: “Secondo la nozione massimale ed inclusiva le virtù sono disposizioni stabili ed uniformi (a livello di atteggiamento), che introducono una determinazione nei principi operativi della condotta volontaria, in modo tale che questa eccelle nel realizzare la vita veramente e doverosamente buona, conforme alla regola della ragionevolezza pratica”[2].
Tale stabilità ed uniformità cui allude il nostro Autore può allora ricollegarsi da una parte alla caratteristica del dono di Dio e dall’altra alla forma tendenziale della risposta umana, consentendo un processo di appropriazione creativa della propria vita vista come preambolo e base indispensabile alla sua donazione totale ed integrale nella forma della vocazione cristiana. È necessario allora riflettere sul grado di maturazione del vissuto virtuoso del soggetto prima di porre un discorso sulla totalità del dono di sé nella vocazione evitando così che esso venga fatalmente a cadere su di un terreno infecondo o perlomeno impermeabile, per mancanza di strutture ricettive, a simili proposte. Questo offre uno stimolo attento all’operatore e al formatore per evitare nel processo formativo una semplice riproposizione di valori o una loro continua ripresentazione senza la valutazione attenta del grado di innesto di questi valori nel vissuto personale. Questo innesto fecondo nella persona è reso possibile dalla maturazione di un tessuto virtuoso, che postula il riferimento continuo ai valori proponibili non solo perché “non astratti”, ma perché orientati alla progettualità globale della persona.
La virtù tra valore e legge
La virtù, nella prospettiva a cui abbiamo accennato, punta alla capacità di appropriazione soggettiva di una permanente disposizione al valore e alla capacità nel soggetto di adempiere le norme nella misura in cui queste sono realizzazioni storicamente adeguate del valore. In questo senso la virtù fondamentale sembra essere quella della sapienza, vista come attitudine a disporsi in un’ottica di accoglimento del valore come indispensabile elemento nella plasmazione della persona, e della legge quale necessaria articolazione storica di una riflessione sulla concretizzabilità del valore.
La sapienza sembra allora assumersi il compito di valutare continuamente la propria vita in una prospettiva di cammino verso la totalità-integralità. Essa è una virtù strategica in quanto polarizza la vita di una persona ad un’attenzione permanente ai valori e stimola tutte le facoltà dell’uomo alla ricerca di una verità che non è mai pura descrizione di ciò che l’uomo di fatto è, ma diventa verità di un progetto che l’uomo è ed in cui deve comprendersi e conseguentemente agire. Tale sapienza, poi, nella prospettiva cristiana, è colta quale dono dello Spirito Santo e dunque come forza che porta l’uomo ad incontrarsi con Dio presente ed agente nella sua vita. La virtù della sapienza consente, così, il raccordo tra virtù valori e norme.
Gli atti di una persona – poi – risultano essere tanto più perfetti in quanto procedono da un soggetto sempre più perfettamente unificato. Ed in questa opera di unificazione l’elemento decisivo non è fatto dai singoli valori scelti ed interiorizzati o solamente dalle singole norme adempiute correttamente, ma dall’esercizio sapiente e prudente delle virtù che proprio per definizione tendono a stabilizzare il soggetto e a conferire quella maturità adeguata per la scelta continua non dei beni apparenti, ma di quelli veri, non di generici valori, ma di quelli decisivi per la persona, non di valori che appiattiscono il dinamismo della persona all’integralità, ma a quelli eccellenti che sanno dare più profondità a tale integralità.
Va segnalato anche un altro fatto. L’apporto insostituibile delle virtù nella plasmazione integrale dell’uomo consente di articolare nella persona una maggiore acutezza nella percezione della possibilità di scelta del bene qui ed ora. In sostanza consente di cogliere nei frammenti quotidiani dell’esistenza un appello continuo a scegliere i beni ed i valori che via via si presentano. Questa scelta è possibile proprio perché la virtù consente di cogliere con maggior prontezza, facilità e gioia il bene da compiere. In questo senso le virtù sono necessarie per articolare la quotidiana scelta dei valori in una prospettiva in cui i valori stessi vengano a coincidere con il bene della persona, della sua felicità, della sua beatitudine.
La virtù assolve il compito di spingere l’uomo all’itinerario dalla dispersione alla unificazione, dall’indecisione e dall’indifferenza nei confronti dei valori alla decisione e alla capacità di disporre dei beni. Solo così la sete di totalità vista come unificazione della persona nel bene e dunque di integralità può acquisire quelle caratteristiche di concretezza e non di entità sproporzionata alle capacità del singolo. Le virtù praticate consentono di cogliere lo straordinario della fedeltà quotidiana al proprio progetto di compimento nel bene e la totalità che è nascosta, inevitabilmente, nei frammenti della singola esistenza. In questa operazione di interpretazione e di appropriazione della persona le virtù giocano, dunque, tutta la loro forza.
Le virtù della totalità
Nella prospettiva tradizionale della morale cristiana le virtù si costruiscono sul duplice ordine delle virtù teologali e di quelle cardinali. È necessario riferirsi ad esse per cogliere come proprio l’intero organismo delle virtù può dare ragione della totalità della persona e non altro. Le virtù, infatti, definiscono in forma eccellente le varie dimensioni della vita dell’uomo e del cristiano, dando così ragione della loro forza plasmante la totalità della persona. Le virtù cardinali in particolare (fortezza, giustizia, prudenza e temperanza) danno piena consistenza all’umanità del soggetto che è chiamato al compimento integrale di sé. Esse esprimono la compattezza e solidità personale come stabile atteggiamento nei confronti di se stessi, degli altri e delle realtà create. Le virtù teologali costituiscono la consistenza dell’uomo unificato e posto totalmente sotto le esigenze di Dio. Infatti la fede, la speranza e la carità offrono una prospettiva di compimento in Dio di quelle componenti antropologiche fondamentali della persona. La fede sviluppa e porta al compimento integrale il conoscere umano con una conoscenza in cui l’uomo ritrova tutto se stesso nel fiducioso e libero abbandono in Dio. La speranza definisce tutta la dimensione del volere umano e della sua progettualità come una tensione di tutta la persona al compimento di sé in Dio. La carità – infine – orienta tutta la persona ad uscire fuori di sé per trovare tale compimento nell’esistenza degli Altri e dell’altro. La carità realizza il circolo delle virtù perché si correla – offrendone la sua risonanza qualificativa – alla virtù cardinale della giustizia, colmandone la sua insufficienza secondo una logica di totalità e di eccedenza nel dono. In questo senso allora tutta la persona si coglie nell’ottica del dono e si unisce alla carità divina che nel Crocifisso ha detto tutto di sé ed ha donato tutto quanto gli uomini potessero comprendere. La carità allora diventa la forma dell’uomo che ha raggiunto la propria integrazione, la propria armonia nella totalità delle sue dimensioni e al contempo ci fa scoprire come tutto questo dipenda da un dono di Dio seminato già nella stessa struttura esistenziale dell’uomo e pienamente rivelato solo in Cristo.
Le virtù come rivelazione eloquente di Dio
In questa sua dimensione limite in cui tutta la persona è posta, nella carità, nell’ottica del dono, l’intero organismo delle virtù cardinali e teologali diventa una rivelazione eloquente non solo di quanto Dio fa e dona all’uomo, ma più profondamente di quello che Dio è. La persona unificata nel bene attraverso l’esercizio delle virtù diventa trasparente rivelazione dell’icona di Dio-carità. La risposta alla domanda fondamentale e primordiale: “chi è Dio” trova nell’uomo unificato integralmente attraverso le virtù un suo luogo eminente. Tutto questo diventa in prospettiva vocazionale un’armonica imprescindibile di ogni discorso sul fascino singolare che la figura del Cristo esercita sui giovani. Si tratta del fascino del bene che stabilmente Gesù ha scelto come criterio di azione ed ha saputo incarnare sapientemente nell’esercizio di una vita virtuosa. Il risvolto vocazionale e pastorale del fascino della figura di Cristo trova nella paziente opera di educazione alle virtù la sua necessaria ed imprescindibile evoluzione, pena la sua sterilità. Il traguardo di questa opera di unificazione è quella figura di totalità, vista come integrale realizzazione della persona in cui la singola vocazione particolare trova il suo rilievo e la sua estrema punta di visibilizzazione.
Note
[1] Cfr. P.D. Guenzi, La dimensione etica della scelta di vita irrevocabile, ‘Vocazioni’ 1992/1, 17-22.
[2] G. Abbà, Felicità, vita buona e virtù. Saggio di filosofia morale, LAS, Roma 1989, 224.