N.04
Luglio/Agosto 2025

Marco Gallo

Una Verità da abitare

Il 5 novembre 2011 mamma Paola Cevasco entra nella camera del figlio Marco Gallo, morto poco prima mentre andava a scuola: l’inserimento di una macchina in carreggiata, il fondo stradale bagnato, il motorino che non riesce a frenare. Entrare nella camera di un figlio per riordinare è una cosa, entrare nello spazio intimo di un figlio che non può più abitarlo è tutt’altra. Il dolore, lacerante. Poi, d’un tratto, lo sguardo di Paola e di chi è con lei si fissa sulla parete della stanza di Marco dove c’è il crocifisso. Accanto, campeggia una scritta a matita che – ne è sicura – il giorno prima non c’era. È una scritta fatta a mano, anche un po’ storta come può realizzarla un adolescente che va di fretta e scrive con l’impeto di qualcosa di urgente da evidenziare: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (Lc 24,5). La calligrafia è di Marco. Nel momento del lutto, quelle parole sono sfida e risposta: comprendere che in Gesù Marco è vivo dischiude il compito di provare a riscoprirne il cammino.

Questo cammino era cominciato con una grande paura. Il 7 marzo 1994 Marco nasce, portando in famiglia una gioia immensa, ma poco dopo i medici si accorgono che la madre era stata colpita in gravidanza da un’infezione asintomatica e ciò potrebbe indurre nel bambino ritardi di sviluppo: «Ritardi neurologici: potrebbe non vedere, non sentire, non parlare, avere disturbi motori. Uno sviluppo neurologico compromesso insomma». È una doccia fredda cui però risponde la virtù di fede – «fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Eb 11,1) – e allora la mamma pensa, rivolta al medico: «Tu avrai le tue percentuali, le tue conoscenze probabili, sarà anche così, ma non sai che forza c’è in campo. Ci sono Dio e la tenerezza della Madonna. Tu non sai quel che agisce tra il tuo probabile e quello che succederà a me, a te, a noi. A questo bambino».

Da quel momento il bambino – fortemente accompagnato dalla vita cristiana della famiglia, sorretto dal Battesimo e inserito in una comunione che è già “terapia” – ribalta ogni previsione: cresce sanissimo, vivacissimo, forte fisicamente sino a praticare l’atletica ad alti livelli, e pensatore.

Marco è infatti convinto – aiutato in questo dalla realtà di Comunione e Liberazione in cui si inserisce – che tutto sia vettore di significato, «attento [come a 9 anni scrisse di san Benedetto] perché convinto che Dio gli parla[sse] attraverso le cose». Crescere è dunque un esercizio di realtà, è abitare i dubbi e sollevare grandi interrogativi: Marco intuisce che, o Dio è familiare a tutto, o nulla ha senso. Come Agostino, negli anni della crescita potrebbe dire che “le sue domande erano la sua contemplazione” e in una società dove i giovanissimi crescono inseguendo la legge del desiderio – ma fanno poi fatica a decidere – lui realizza come il desiderio non basti: occorre infatti (sono parole sue, a 16 anni) «seguirlo con la nostra libertà: dobbiamo farlo atto, azione, gesto, talvolta rischio, dobbiamo farlo carne».

Marco Gallo insegue il desiderio in tanti modi: progettando, sperimentando, anche rischiando come quando viaggia da solo in motorino – senza avvertire la famiglia, dovendo evitare l’autostrada perché minorenne, prendendo un gran freddo e infine perdendosi – dalla Liguria alla Lombardia, prima di allertare il papà perché gli vada incontro. Soprattutto Marco si mette alla prova nelle relazioni, è lì che verifica se esistere abbia un senso, se abbia un senso amare, impegnarsi, confidarsi e soffrire. Alcuni episodi tra i tanti lo segnano in modo particolare.

Il primo – l’ordine non è cronologico – è quello del papà pronto una sera a rinunciare a un film che gli interessa per seguire con Marco ciò che preferisce lui. Marco resta molto colpito dalla sua «bontà di scegliere il mio programma» perché, commenta, «quella serata è stata importante per farmi capire, per l’ennesima volta, che mi vuole bene, che mi considera una persona e non una “cosa” che ha fatto lui»: “persona”, dunque “libertà”; “figlio”, dunque amato nella diversità, nel non incontrare i gusti e le preferenze di chi l’ha messo al mondo.

Il secondo episodio coinvolge un allenamento di atletica, a Marco «fecero provare gli ostacoli, così per misurare un po’ i suoi tempi», ma «faticava a trovare il tipo di corsa nel quale eccellere» perché non possedeva scarpe chiodate. Un amico gli presta allora le proprie e con quelle scarpe fa un tempone che «lo classifica immediatamente per le gare nazionali»: l’altro dunque come alleato e non avversario, come presenza indispensabile perché è “insieme” che si riesce.

Il terzo è l’incontro con il piccolo Samuele, figlio di amici – che allora aveva 8 anni, 4 meno di Marco e si sa che a quell’età 4 anni fanno una differenza enorme –. Un giorno Marco si accorge di averlo giudicato superficialmente, di non essersi mai reso permeabile alla sua storia e allora scrive: «è che non avevamo imparato ad apprezzarci. Teoricamente lo conosco da quando è nato, ma, fino a qualche tempo fa, io consideravo solo la sua piccola età e la sua timidezza; così, pur frequentandoci, siamo rimasti estranei l’uno per l’altro»; tuttavia – prosegue – «quando Samu ha cominciato a crescere è avvenuto un miracolo». L’altro dunque come un miracolo, un “mirum” che è al tempo stesso qualcosa di incomprensibile e di meraviglioso, uno stupore continuo e un’apertura d’infinito dove prima non si vedeva niente. Che guaio quando invece – scriverà ancora Marco, in altro momento – «sono tutto rivolto verso queste faccenducole che impegnano tutta la mia attenzione, sguardo verso il basso, e nel frattempo le persone, le cose più importanti, sono solo masse da schivare sulle scale».

C’è allora un desiderio che deve nutrirsi di attenzione, dischiudersi alla meraviglia, tradursi in decisione, impegno, condivisione: Marco si interessa sempre più agli altri, lo fa in modo particolarissimo, con un coinvolgimento discreto e totale. Come ricorda l’amica Martina, quando le chiede come sta «lo aveva fatto in modo diverso dagli altri», gliel’aveva chiesto come il sacerdote che l’aveva cresciuta pur non sapendo ancora – Marco, in quell’istante – niente di lei. L’altro è una presenza totale e richiede una totale attenzione.

È quella che Marco vuole anzitutto vivere nei confronti di Dio, a proposito del quale le domande si moltiplicano perché è Dio il cardine della vita e a suo riguardo non ci si può permettere di sbagliare. In anni diversi, cominciando quando è piccolo, egli annota: «Scrivo prima Dio, perché è il Creatore»; «Dio, se sei la risposta al mio desiderio, il punto sta nel capire come rapportarmi a te».

A 11 anni riflette: «per me le grandi difficoltà sono state fatte e pensate da Dio […] per vedere se amavamo veramente Gesù, se eravamo veramente disposti a rischiare di morire per conoscere Gesù».

Quando Marco muore improvvisamente sono in tantissimi a stringersi attorno alla famiglia, anche in seguito c’è tutta la forza di un Movimento (CL) e di figure di spicco come don Julián Carrón e padre Aldo Trento. Nessuno riporterà Marco indietro, c’è un percorso di dolore che non può essere risparmiato: ma si è capito che quel salto rapidissimo oltre l’‘ostacolo’, quello schianto in cui Marco non si era fatto nemmeno un graffio visibile ma era volato in Cielo, aveva aperto a Marco la risposta a tutte le domande gridate nei suoi intensi, super-veloci 17 anni.

 

«Noi non ti meritiamo,
non meritiamo una goccia di sangue di Te.
E invece Tu ci sei e mi ridesti ogni attimo,
senza che io me ne accorga,
Tu mi dai la bellezza, le persone, le risposte,
Tu mi abbracci e Ti dico grazie».

Parole di Marco a Gesù

 

Marco Gallo nasce a Chiavari (Genova) il 7 marzo 1994 e muore a Sovico (Monza e Brianza) il 5 novembre 2011 a 17 anni per incidente stradale. Con i genitori Antonio e Paola, le amatissime sorelle, un manipolo di amici e il legame a CL, Marco ha scandagliato a fondo le ragioni dell’esistere, vivendo una scoperta continua e volendo comprendere se dietro al fluire di tante esperienze sussista il fondamento stabile d’un Mistero da abitare. Dopo la morte, la sua figura non smette di interpellare anche per gli scritti che ha lasciato. La sua Causa di Beatificazione sta ora muovendo i primi passi. Per conoscerlo si rinvia al libro, ricco di fotografie, suoi scritti e testimonianze: Marco Gallo, Anche i sassi si sarebbero messi a saltellare, ITACA, Castel Bolognese (Ravenna) 2016.