“Fuori” ma pellegrini verso il cuore
Chi ci separerà dall'amore di Cristo? (Rm 8,35)
La Basilica di San Paolo fuori le mura, radice e testimone silenziosa di quasi duemila anni di storia cristiana, sorge nel luogo dove, secondo la tradizione, fu sepolto Paolo di Tarso.
Martirizzato tra il 64 e il 67 d.C., l’apostolo subì la decapitazione presso l’attuale Abbazia delle Tre Fontane – il cui nome deriva dalla leggenda secondo cui la sua testa, cadendo, rimbalzò tre volte, facendo sgorgare altrettante sorgenti d’acqua.
Il corpo di Paolo fu poi trasportato in una necropoli lungo la via Ostiense, a circa due miglia da Roma, luogo che divenne presto meta di pellegrinaggio.
Camminare verso la Basilica di San Paolo fuori le mura è come ripercorrere i passi dei primi cristiani che, si recavano in questo luogo ricordando le parole: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede” (2 Tm 4,7). Quella tomba, custodita prima in un’umile memoria e poi nella grandiosa basilica, ci parla ancora oggi dell’orizzonte del nostro cammino: se rileggiamo le parole di Paolo stesso: “Se Cristo non è risorto, vuota è la nostra fede” (1 Cor 15,14), possiamo considerare che vano sarebbe il nostro cammino se non orientato dalla luce della Resurrezione di Cristo.
Nel IV secolo, l’imperatore Costantino fece costruire una prima basilica sulla tomba dell’apostolo, successivamente “Teodosius cepit, perfecit Honorius aulam doctoris mundi sacratam corpore Pauli”[1].
Dopo la ricostruzione di Teodosio nel 386, che la vede ampliata a cinque navate con 80 colonne di granito. Nel IX secolo, papa Giovanni VIII fortificò il complesso con mura e torri per proteggerlo dalle incursioni saracene, creando la “Giovannipoli”. La basilica medievale subì poi importanti interventi nel Rinascimento, fino al devastante incendio del 15 luglio 1823 che lasciò in piedi solo il transetto e l’abside. La ricostruzione ottocentesca, voluta da Leone XII e realizzata con contributi da tutto il mondo cattolico, ripropose fedelmente l’impianto paleocristiano, ma con nuove decorazioni neoclassiche e gli splendidi mosaici dell’arco trionfale e dell’abside, completati nel 1854 sotto Pio IX.
L’ingresso porticato della basilica, con il suo ampio quadriportico, accoglie il visitatore con un senso di sacralità e grandezza. Non è solo una soluzione architettonica, ma un simbolo: rappresenta il passaggio dal mondo profano allo spazio consacrato, un invito a lasciarsi alle spalle il caos per entrare in un giardino (παράδεισος, paradeisos in greco) verso il luogo dell’incontro con il Signore. Le colonne che lo sorreggono sembrano vegliare sui fedeli, come sentinelle della fede, mentre i mosaici e le statue dei santi, in facciata, ricordano la comunione dei credenti che qui si riunisce.
Oltre la Porta Santa lo sguardo viene catturato dall’altare maggiore, dominato dallo straordinario ciborio di Arnolfo di Cambio. Le sue colonne di porfido rosso sovrastano la “confessione”, la cripta che custodisce i resti di San Paolo. Qui, il termine confessione non si riferisce al sacramento della penitenza, ma alla “confessio fidei”: la testimonianza della fede con cui l’Apostolo, martire, ha sigillato la sua fedeltà a Cristo fino al dono della sua vita.
Proprio sopra questa confessione si eleva l’altare a simboleggiare il legame indissolubile tra il sacrificio eucaristico (rinnovato sulla mensa dell’altare), e il sacrificio del martire (offerto con il sangue).
Questo spazio diventa, così, un segno eloquente della comunione dei santi: la Chiesa pellegrina in terra si unisce alla Chiesa gloriosa del cielo in un’unica lode a Dio, mentre le reliquie di Paolo – “apostolo delle genti” – continuano a proclamare, in silenzio, il Vangelo che ha annunciato al mondo.
Accanto all’altare “brilla” un tesoro particolare: il candelabro del cero pasquale, alto oltre 5 metri, vero monumento alla luce di Cristo. Questo “albero di pietra” viene scolpita nel 1170 da Pietro Vassalletto e Nicolò d’Angelo, e sfugge all’incendio del 1823.
Alla base tra coppie di animali, domina la figura di una donna regale, adagiata su un leone e una sfinge barbuta: è “Babilonia, madre delle prostitute e degli abomini della terra”, emblema della corruzione “ebbra del sangue dei santi e dei martiri di Cristo” (Ap. 17,1-6). Eppure, proprio su questa rappresentazione del peccato, si innalza il cero pasquale – segno della vittoria di Cristo sulla morte e sul male. Alzando lo sguardo si incontrano le scene della passione di Gesù: arrestato, deriso, condannato, crocifisso e risorto.
Particolare rilevanza ha l’immagine di Gesù che risorge dalla tomba, vittorioso con la croce come scettro, che emerge dalla tomba. Ma questa tomba è coperta proprio da un ciborio. Come l’altare! E la tomba stessa è altare! Il pellegrino non poteva non assimilare le due immagini, evidentemente simili: la resurrezione di Cristo avviene lì sotto quel ciborio, come rappresentato nella pietra, perché su quell’altare si celebra il memoriale della salvezza di Gesù che nella Sua morte ci fa partecipi della Sua resurrezione.
Durante la Veglia pasquale, quando il “Lumen Christi” risuona nella basilica, quel cero acceso diventa segno che “il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce” (Is 9,1).
Volgendo lo sguardo verso l’abside, il mosaico ci mostra Cristo tra Pietro e Paolo, mentre più in basso, protetta in una cappella laterale, si trova un’altra meraviglia: la Cappella del Santissimo Sacramento con l’antico mosaico della Vergine. Questo frammento, anch’esso scampato all’incendio del 1823, capolavoro medievale raffigura Maria come “Sedes Sapientiae”, trono della Sapienza divina. Tra le vicende che ha visto questo mosaico si ricorda il momento nel quale davanti a questa icona S.Ignazio di Loyola, il 22 aprile 1541, con i suoi primi compagni emisero i voti solenni nella neonata Compagnia di Gesù.
In questo luogo sacro, dove il martirio ha sigillato la fede, risuona con forza la domanda paolina: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?” (Rm 8,35). Le reliquie dell’Apostolo, testimone fino al sangue, sembrano rispondere in silenzio: né la spada, né il dolore, né la morte stessa possono spezzare questo legame. Qui, dal portico all’abside, dalla tomba di Paolo all’Altare, siamo fatti partecipi del cammino della vita dove testimonianza del martire incontra la potenza della Resurrezione, ogni dubbio si dissolve nell’evidenza di un amore più forte di tutto.
[1] “Teodosio iniziò, Onorio completò la basilica consacrata al corpo di Paolo, maestro del mondo”, dall’iscrizione sull’arco trionfale.