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Sempre di più

La fedeltà ci obbliga a volte a saper mettere in discussione le idee ricevute e le nostre posizioni. Dio è il Dio degli inizi, degli sradicamenti… «Il legame stretto che la Bibbia stabilisce tra la liberazione dall’Egitto e il potere di “far cominciare” è ricco di significato. Dio crea “facendo uscire”. L’immagine dello strappo ritorna spesso nella Scrittura… Di una madre che ha appena partorito si dice che si è “sgravata”: ma anche il bambino si è liberato. È la fine della dipendenza: il taglio del cordone ombelicale, segno dell’autonomia del neonato e della madre. L’inizio di ogni essere umano è dunque anche una liberazione… Il Dio che “fa uscire”, espressione che si applica altrettanto bene all’esodo che alla nascita, lo ritroviamo costantemente nel Nuovo Testamento… L’inizio non è valido se non si accetta di ricominciarlo senza sosta. Da ciò vengono le rotture evangeliche, gli strappi, che non sono perdite, ma guadagni… Il peccato, è l’anti-nascita, la sterilizzazione…»[1].

In questo senso la vera fedeltà non è relativa al passato, ma all’avvenire. Anche in rapporto alla propria vocazione. Certo bisogna ricordarsi dell’istante iniziale del nostro appello, ma non in modo nostalgico, come quello di una lontana età dell’oro. La chiamata del Signore è sempre davanti a noi. Ci rimette a nuovo ogni mattina. Non camminiamo sull’eco di una chiamata passata, che diventerebbe sempre più flebile col passare del tempo. Dio mi precede, mi dice: «Seguimi!» e cammina davanti a me: «Dimenticando il cammino percorso e tutto teso in avanti mi lancio verso la meta, mirando al premio connesso alla chiamata dall’alto che Dio ci rivolge in Gesù Cristo» (Filippesi 3, 14). Una vocazione è una crescita nella libertà; certo Dio non ci fa cambiare radicalmente direzione ogni quarto d’ora, ma non si tratta tanto di continuare, quanto di cominciare: nello stesso cammino, certo, ma in modo sempre nuovo. È il contrario esatto di una sclerotizzazione: non ci si può accontentare di vivere secondo le decisioni di ieri, bisogna rinnovare ogni giorno la propria decisione.

Questa disposizione dello spirito permette di non essere scombussolati quando la strada cambia di colpo direzione. Perché lo Spirito a volte ci disorienta. […] Non dobbiamo riporre la nostra fiducia nella forza delle nostre mani, cioè nella nostra organizzazione e pianificazione, anche se sono necessarie. Sarebbe un’illusione credere «che siamo in condizione di renderci conto di tutto quello che il nostro impegno esigerà in futuro da noi. No, non si tratta di fare un piano in anticipo, di stabilire un preventivo o di firmare un contratto che poi bisognerebbe solo eseguire fedelmente e onestamente. No. Impegnarsi veramente è per così dire firmare a Dio una cambiale in bianco, senza sapere cosa egli scriverà poi, ma sapendo che ci scriverà sempre di più»[2].

 

(Dom Marie-Gérard Dubois, Passione estrema per l’assoluto. La vita nascosta dei monaci della Trappa, Piemme 1997, pp. 143-144)

 

 

[1] Vedi M. Domergue, Le Dieu des commencements, nei Quaderni “Croire aujourd’hui”, 1988, pp. 29 e 34.

[2] Y. de Montcheuil, Problèmes de vie spirituelle, L’Epi, 1947, pp.107-108.