N.02
Marzo/Aprile 2022

Parla, Signore!

Il discernimento in comunità

In ogni esperienza di amicizia e di relazione la possibilità di ascoltare e parlare è fondamentale. Senza uno scambio diretto di racconti, considerazioni, desideri il legame si indebolisce e pian piano subentra una percezione di estraneità. Poi, in molti casi, è sufficiente una nuova occasione di incontro perché la lontananza si riduca, ma non c’è dubbio sul fatto che la parola scambiata nell’ascolto reciproco sia quel che principalmente ravviva il rapporto tra le persone. Questa consapevolezza era probabilmente molto forte nelle comunità cristiane del I Secolo, che si trovavano dinanzi a una questione decisiva: come rimanere in relazione con il Risorto dopo la Pasqua?

I primi discepoli avevano incontrato di persona Gesù di Nazareth e sappiamo che per un po’ ci fu anche l’attesa – contestata da Paolo – di un suo imminente ritorno. Questo ci dice che per più di qualcuno il Signore era indubbiamente atteso, ma avvertito come assente, proprio come una persona ritenuta vivente e tuttavia lontana, come un amico di cui si aspettano notizie. Certamente l’insegnamento del maestro era custodito e tramandato, così come le testimonianze delle esperienze fatte con lui, ma il ricordo di ciò che è stato è solo un supporto alla relazione: senza il rinnovarsi dell’incontro e dello scambio di parola l’estraneità non poteva che essere all’orizzonte. L’evangelista Luca deve aver preso molto a cuore questo tema e, nel suo racconto destinato a Teofilo, ha segnalato quel che la comunità ha compreso proprio rispetto alla possibilità di ascoltare il Signore e di dialogare con lui nella stagione della sua assenza fisica. Il dono dello Spirito che inaugura la narrazione degli Atti è la nuova presenza del Signore: una presenza non anzitutto in termini di forza straordinaria di trasformazione delle cose – così l’aveva intesa probabilmente il “mago” Simone (At 8,9-24) – ma in termini di parola riconoscibile, sussurrata a ciascuno nell’interiorità. È questo ascolto interiore nelle situazioni ordinarie del vivere che Luca rappresenta a più riprese, quantomeno ogni volta che ricorre, pur con alcune varianti, l’espressione “pienezza dello Spirito”. Riempiti dello Spirito, catturati da una parola interiore risuonata con forza, in cui si fa riconoscibile il “timbro” della voce del Maestro, i diversi protagonisti degli Atti prendono decisioni, fanno e dicono [1]. E il Vangelo continua così a farsi storia viva di liberazione.

Dunque una traccia è chiara fin dalle prime comunità: la dimensione interiore è il luogo dell’incontro personale con il Risorto. Qui si distende il dialogo che alimenta la relazione viva con il Signore e rispetto a cui il resto, quel che è esteriore – una dottrina, un racconto di eventi, la stessa testimonianza di altri – è di sostegno. Quel che Luca però sottolinea, allo stesso tempo, è che la comunità riunita è il luogo in cui avviene il riconoscimento più sicuro della voce del Signore rivolta alle coscienze. I discepoli riuniti ricevono il dono dello Spirito e riuniti prendono delle decisioni: “Lo Spirito Santo e noi”, dirà Pietro (At 15,28-30).

I principali nuclei di senso dell’espressione “discernimento comunitario” si condensano in questi tratti, che poi la tradizione ecclesiale svilupperà lungamente – basta pensare all’attenzione che il monachesimo dei primi secoli riserverà alle dinamiche della vita spirituale [2] – ma che si possono forse trasformare in alcune consapevolezze e attenzioni da rinnovare costantemente.

Anzitutto: non c’è opposizione tra ascolto interiore personale e discernimento comunitario, ma, al contrario, forte continuità. Una comunità che si raccoglie in vista di decisioni che riguardano la vita insieme o le forme dell’impegno, va da sé che si confronterà su proposte, intuizioni o considerazioni offerte da ciascuno dei suoi membri, ma entrerà nel clima del discernimento solo se questi diversi contenuti proverranno da un dialogo che ciascuno prima avrà intessuto interiormente con il Signore, anche a partire da documenti, dati e interrogativi specifici naturalmente. Se cioè, stando alla straordinaria pretesa di cui riferisce l’evangelista Luca, tutti possono farsi ascoltatori del Risorto, allora il compito di ciascuno in un processo di discernimento di comunità è anzitutto quello di cogliere, al meglio della propria sensibilità spirituale, quel che lo Spirito sta suggerendo su una data questione e di offrire questo frutto alla comunità. Senza questo passaggio di mediazione interiore personale senza – potremmo dire – “farne parola” con il Signore, un processo di discernimento comunitario partirebbe senza aver consultato il suo protagonista principale, il Maestro, che pure, nelle intenzioni, la comunità desidera seguire.

Da questa consapevolezza deriva anzitutto una attenzione pratica da non trascurare: per quanto possa sembrare controintuitivo, un processo di discernimento comunitario non può che iniziare con un tempo generoso di silenzio individuale, meglio se vissuto insieme e in un contesto adatto, in cui ciascuno mette a servizio del cammino di tutti la propria attenzione interiore. L’esperienza spirituale ecclesiale insegna che, nel colloquio con lo Spirito, talvolta emergono intuizioni nuove e sorprendenti, in altri momenti si rinforzano prospettive già consolidate, in altre occasioni si fatica a mettere a fuoco un’idea, un discorso dai contorni precisi: sapere che una comunità intera è impegnata insieme, nel silenzio dell’ascolto, libera dall’ansia del dover “produrre” qualcosa, sgrava anche dalla attesa di dover da subito individuare la strada migliore da percorrere. Partire dall’ascolto significa attendere con curiosità che emerga una pluralità non predeterminata di intuizioni e di indirizzi, su cui poi si tratterà di proseguire insieme, notando convergenze e riconoscendo priorità. Per farlo è senz’altro di aiuto qualche accorgimento di metodo [3], ma la possibilità di procedere insieme e di non trasformare il discernimento comunitario in un processo decisionale di tipo dialettico, in cui le parti si dividono e “si contano”, dipende dalla cura riservata ai tempi di consultazione interiore che potranno cadenzare a più riprese un percorso.

Una seconda consapevolezza da ritrovare riguarda la necessità di favorire esperienze di ascolto comunitario inclusive e bilanciate: è importante che tutti i frutti dell’ascolto personale possano essere condivisi e che possano ricevere la stessa attenzione da parte dell’intera comunità coinvolta. Un ascolto non superficiale richiede impegno e risulta possibile in gruppi non molto numerosi (una ventina di persone): questo significa che i processi che coinvolgono comunità più ampie, per rimanere significativi, vanno vissuti a tappe pazienti e coordinate metodologicamente, sapendo che fare le cose in fretta significherà avvilire proprio la dinamica spirituale.

Una terza consapevolezza, tra le molte che naturalmente si potrebbero evidenziare, riguarda il compito fondamentale della Chiesa e delle comunità nell’iniziazione alla vita interiore. Il silenzio è una dimensione essenziale del vivere ed è il luogo della parola che risuona e che interpella. La tradizione spirituale cristiana ricorda però che è necessario crescere non solo nel discernimento dei “contenuti”, ma anche – e insieme – delle “voci” con cui ciascuno sperimenta di intrattenersi interiormente. La coscienza è una dimensione aperta, visitabile, ma che proprio per questo può anche essere sperimentata come caotica o contraddittoria. Perciò, la cura nell’accompagnare nell’esplorazione delle dinamiche del silenzio e nel riconoscimento dei modi con cui lo Spirito si rivolge a ciascuno non solo fa parte dell’iniziazione cristiana, ma è il presupposto di ogni successivo impegno nel discernimento comunitario.

 

 

 

 

[1] Cfr. G. Grandi, La parola amica. Sulle tracce della voce di Gesù, Qiqajon, Bose 2020.

 

[2] Panoramiche ampie e documentate si possono trovare in J.C. Larchet, Terapia delle malattie spirituali. Un’introduzione alla tradizione ascetica della Chiesa ortodossa, San Paolo, Milano 2008 e O. Clement, Nuova filocalia. Testi spirituali d’Oriente e d’Occidente, Qiqajon, Bose 2010.

 

[3] Per approfondire alcune soluzioni metodologiche si rinvia al volume Ascoltare, condividere, orientarsi. Metodo e soluzioni pratiche per gruppi e comunità in cammino, Conferenza Episcopale Italiana – Ufficio Nazionale per la Pastorale delle Vocazioni, 2022.