Vocazione e contagio
Si parla di “contagio” quando una forza invade e impone il suo modo di essere ad un soggetto predisposto.
Applicato al discorso vocazionale, “contagio” dovremmo essere noi religiosi e soggetto predisposto i giovani (in via di scegliere una forma di vita) da invogliare a condividere quella che noi professiamo verificandosi nel caso nostro la previsione di Zaccaria: “Avverrà in quei giorni che dieci uomini di tutte le lingue delle nazioni pagane si attaccheranno al lembo della veste di un Giudeo e gli diranno: Vogliamo venire con voi, perché abbiamo compreso che con voi vi è Dio” (Zac 9,23).
L’obiezione a questo modo confidente e ottimistico di vedere le cose è di avanzare dubbi sulla “predisposizione” dei giovani d’oggi ad accettare qualcosa che rispecchia l’evangelica follia.
Ma se da una parte c’è la vita facile e consumistica che li trattiene, dall’altra c’è il vuoto interiore che caratterizza e rende l’uomo d’oggi infelice e qui può stare l’innesco alla ricerca del difficile, dell’utopico, dell’eroico che redime dall’angoscia e dal non senso della vita.
Molto è cambiato da tempi non molto lontani quando si cercava di coinvolgere il ragazzo e il giovane con tecniche di accattivamento anziché di contagio, ricorrendo a lusinghe terra terra come “Vieni in Seminario dove troverai tanti ragazzi come te contenti di studiare, stare insieme e di giocare al calcio tutti i giorni”.
In ordine a questo penso al caso limite di un sacerdote diocesano che voleva convincere un candidato alla nostra vita a entrare nel Seminario diocesano colla prospettiva che “Noi preti mangiamo pastasciutta tutti i giorni!”. Era la tecnica del “proselitismo” così duramente bollato da Gesù: “Correte mare e terra per fare un proselito…” (Mt 23,15).
Quello che all’opposto si nota in Gesù è che egli non fa niente per catturare che gli sfugge di mano: pensiamo ai discepoli che lo abbandonano scandalizzati dal discorso dell’Eucaristia, pensiamo al giovane ricco, a Giuda, al ladro impenitente che pure condivide con lui la morte di croce. Anzi Gesù sembra a volte scoraggiare chi con troppa superficialità e disinvoltura dice di volerlo seguire (cfr. Lc 9,57-62). Il modo di agganciare gli altri da parte di Cristo è quello della “seduzione”, che è l’offerta di qualcosa di bello e grande nel rispetto della libertà altrui, la seduzione di Cristo è l’uso di una forza benefica senza disperata ricerca dell’effetto, senza forzature di nessun genere, seduzione di cui amici e nemici sono ben coscienti di avvertire, quando i primi, come Pietro, esclamano “Da chi altri andremo noi, tu solo hai parole di vita eterna” (Gv 12,19); e gli altri, i nemici, lo chiamano senza mezzi termini “seduttore” (Mt 27,63) e si rammaricano che tutto il mondo gli corra dietro (Gv 12,19).
Puntualmente seduzione e contagio sono il modo con cui Francesco acquista seguaci, pur senza volerlo e neppure prevederlo, come egli confessa nel suo Testamento (FF 116); ma vera seduzione che Dante ha espresso colla colorita immagine di chi danzando con grazia invita gli altri alla danza: “Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro dietro lo sposo sì a sposa piace”, e i “Tre Compagni” dicono di Francesco e primi compagni che “Le ragazze, al solo vederli da lontano, scappavano spaventate, nella paura di restare affascinate dalla loro follia” (FF1437).
E così i Cappuccini nella prima fase della loro esistenza così descritti in un brano delle “Fonti”, vol. I, p. 34: “Il Cappuccino, se ha compiuto eroici sacrifici e troncato legami forti, non è però duro di cuore, stoico, cinico o masochista. È un uomo che ha il genio del buon cuore”.
Così i Cappuccini del ‘600, quando erano il richiamo più forte per quanti di nobile famiglia sceglievano la vita religiosa.
Così fino al secolo scorso quando gli scrittori, cattolici o no, facevano a gara a presentarli nella loro irresistibile attrattiva per tutti (cfr. “Fonti” vol. I, pp. 34-40).
Oggi non più; e pochi anni addietro il nostro compianto P. Lino Parri si domandava in una circolare perché non fossimo più circondati da quella devozione che la gente mostrava verso di noi nel passato anche recente.
La ragione è presto detta: non è rimasto quasi niente di quello stile così tipico nostro che esercitava tanto fascino ed era richiamo alla nostra vita. Intendiamoci dove voglio arrivare: per me quello stile non può essere risuscitato col varo di norme, osservanza di cautele, restrizioni, arrangiamenti studiati e applicati dall’esterno, infatti chi ha tentato di farlo (Fabriano, Rinnovati) non ha ottenuto l’effetto che sperava.
C’è invece un messaggio di Francesco che sembra fatto per noi, quasi studiato per il nostro tempo, anche se scritto con anticipazione profetica più di sette secoli fa. Il messaggio delle “Ammonizioni” che sorprendentemente non sono mai richiamo alla rigidità esterna, anzi una volta che di questo si parla essa è menzionata come possibile copertura ad un vuoto interiore che squalifica completamente la vita del religioso (FF 163). Il discorso che Francesco porta avanti in queste Ammonizioni, fatte ai frati negli incontri con loro, è esclusivamente di cambiamento interiore; esse sono una descrizione accurata e patetica del volto intimo del frate come Francesco lo vuole.
A questo scopo non si propongono mai delle “cose da fare” ma solo dei “sentimenti da avere”, stati d’animo da acquisire che una volta raggiunti renderanno le norme superflue perché esse saranno attuate d’impulso, come conseguenza di ciò che si sente, per inclinazione quasi istintiva. Raggiunto questo obbiettivo o più semplicemente avviati a questa meta, il frate singolo e la comunità dei frati risulteranno anche all’esterno così diversi dall’uomo comune da divenire subito oggetto di curiosità, magari sulle prima anche di compatimento e di disprezzo, ma ben presto, come è avvenuto di S. Francesco, incominciati a guardare con rispetto, ammirazione, quale modello autentico e invito alla sequela: “Molti di quelli che lo schernivano, vedendolo sopportare con pazienza tutte quelle tribolazioni, erano colpiti di stupore e di ammirazione” (FF 1423).
Rendiamoci conto che il nostro modo di sentire, il nostro abituale stato d’animo, e conseguentemente i nostri moduli di comportamento, sono, in ordine ai singoli punti toccati da Francesco nelle “Ammonizioni” (modo di obbedire, modo di sentire il superiorato, modo di reagire agli inconvenienti, modo di trattare la scienza sacra, modo di perdonare, modo di cercare la gioia interiore, ecc., ecc.), non diversi da quelli di qualsiasi altra persona di questo mondo, e così ci viene a mancare quell’arma della “seduzione” che dovrebbe vincere le resistenze di chi ha anche una vaga inclinazione alla vita religiosa e renderlo convinto di aver trovato il tesoro nascosto pronto a lasciar tutto per esso.
Per me non c’è altro modo affidabile, oggi, per fare autentica pastorale vocazionale.