N.02
Marzo/Aprile 1992

Maturazione affettiva e vocazionale nella direzione spirituale

Partiamo da una premessa: maturazione affettiva e maturazione vocazionale coincidono, al punto che una garantisce l’altra. La vocazione cristiana, infatti, è essenzialmente fenomeno dialogico, è risposta d’amore all’amore di Dio. Non è autentica se non nasce all’interno d’uno scambio relazionale, come accoglienza d’un atto d’amore e poi come progetto d’amore essa stessa. Punto di partenza della vocazione è l’amore.

Al tempo stesso l’amore porta per natura sua a scoprire una chiamata e a cercare di modellare su di essa la vita. Non è credibile l’amore di chi non avverte alcun appello da parte della persona amata e s’accontenta di sentimenti. Punto d’arrivo dell’amore, allora, è la vocazione.

Tutto ciò, o questa connessione, è in fondo un vantaggio per l’operatore vocazionale o l’educatore, poiché intervenendo su un aspetto della crescita favorisce inevitabilmente anche l’altro.

E questo è quanto dovrebbe avvenire all’interno d’un cammino di accompagnamento vocazionale (AV). Se, più in particolare, la vocazione cristiana consiste nella chiamata alla libertà dell’amore teocentrico, obiettivo dell’AV sarà proprio questo tipo di libertà affettiva[1]. Un obiettivo che prevede tre tappe intermedie e successive, che tracciamo sinteticamente.

 

 

La direzione spirituale come esercizio di rilettura della propria storia

Un primo passo dovrebbe essere quello di aiutare il giovane a fare una lettura autentica della propria vita, una lettura che lo porti a scoprire l’amore già ricevuto. Può sembrare strano, ma non è così facile, forse è addirittura raro, trovare un individuo capace d’accorgersi di tutto l’amore che gli è stato gratuitamente donato nella vita, di commuoversi stupito per esso e renderne grazie. Prevale spesso una lettura apatica della vita, come se il bene ricevuto fosse in qualche modo un diritto della persona; oppure una lettura parziale, che sottolinea gl’inevitabili lati oscuri del vissuto, come non vi fossero che quelli; o ancora una lettura superficiale, che non sa vedere quel che a volte è solo nascosto nelle pieghe dell’esistenza; o una lettura distorta, che addirittura stravolge il senso degli avvenimenti, vedendo tutto e solo nero. Ora, chi è ancora arrabbiato con la propria storia, o si sente vittima d’un passato ingrato non può certo intendere un discorso vocazionale. È vero, per altro, che c’è chi dalla vita ha ricevuto “la vita e più in là niente. Né un amore, né un’amicizia, né una speranza da mettere in cartoccio per domani[2].

Anzi, diciamo che tutti ritroviamo momenti negativi e limiti vari, personali e altrui, nel nostro passato, visto che non esiste alcun diritto alla vita perfetta. Ma nessuno può negare quell’amore che è legato al semplice fatto d’esserci e d’essere stati preferiti alla non esistenza, amore che inevitabilmente, pur se in forme a volte singolari o non subito evidenti o contraddittorie o frammiste alla debolezza umana, si è rivelato in modo unico e del tutto personale lungo i giorni. Dando la certezza d’essere già stati amati! È questa certezza che fonda la libertà affettiva, e la libertà affettiva è condizione irrinunciabile per avvertire un qualsiasi appello vocazionale.

In questa fase del cammino di direzione spirituale (DS) l’obiettivo dovrebbe essere proprio questa certezza. Mentre criterio di verifica è la libertà che ne deriva, espressa da due precisi atteggiamenti: la riconciliazione con il passato e la gratitudine profonda per quanto in esso ricevuto. Una vocazione, insomma, che non nascesse nell’humus fecondo della gratitudine, non sarebbe autentica[3].

 

 

La direzione spirituale come passaggio  dalla logica del bisogno alla logica dell’energia

È un’evoluzione decisiva per qualunque cammino maturativo. L’affettività è realtà preziosa quanto ambigua: è bisogno d’essere amati, ma è pure capacità di dare amore. Tutti avvertiamo in noi quest’ambivalenza, ma se vogliamo crescere e divenire adulti non c’è dubbio su cosa dobbiamo scegliere. Nella misura in cui l’affettività è intesa come bisogno scatterà una logica corrispondente, quella del vuoto-da-riempire… che invece non si riempie mai e “costringe” a cercare ovunque e comunque gratificazioni mai totalmente appaganti. Se invece prevale l’altra interpretazione, l’individuo è libero di vivere l’amore come energia o potenzialità viva che gli consente d’aprirsi e donarsi agli altri, e pure di godere della benevolenza altrui. Ovvio che nell’uomo resterà sempre in certa misura un bisogno insopprimibile d’essere amato, ma è altrettanto certo – e sperimentato da chi lavora nelle relazioni d’aiuto – che un’autentica rilettura storica dell’amore già ricevuto riduce la sensazione del deficit affettivo e l’impressione schiavizzante del vuoto-da-riempire, e apre invece alla libertà del dono.

Obiettivo di questa fase di DS dovrebbe dunque essere anzitutto il portare il giovane a identificare il proprio tipo d’interpretazione, conscia e inconscia, teorica ed esistenziale, dell’affettività, o aiutarlo a capire quanto è ancora schiavo della logica infantile del bisogno, con tutte le sue implicanze e conseguenze. A partire da questa presa di coscienza e dalla constatazione che il “bisogno” è già stato gratificato, obiettivo terminale sarebbe l’ingresso progressivo nella stagione adulta della vita, quella dell’amore come energia che si dona.

Criterio conseguente di verifica potrebbero essere la capacità d’autonomia affettiva e di solitudine, il coraggio di lavorare senza troppo preoccuparsi della risposta e d’amare tutti, senza discriminazioni selettive, assieme all’intuizione della contraddittorietà d’uno stile di vita e di rapporti che s’ispira alla logica del bisogno.

Chi, al contrario, resta bloccato alla logica del bisogno affettivo molto difficilmente percepisce un appello vocazionale, o l’interpreta, se crede di percepirlo, secondo quella logica affettiva riduttiva e regressiva. Sarebbe quasi meglio che non lo percepisce affatto…

 

 

La direzione spirituale come scoperta del nesso tra opzione oblativa e opzione vocazionale

A questo punto è stato già fatto un notevole lavoro di destrutturazione e liberazione da certe immaturità affettive. Si tratta ora di condurre il giovane a progettare la propria vita da adulto nella fede e nella capacità d’amare. Per raggiungere questo obiettivo vi sono due vie: una segue la pista che dall’amore ricevuto porta all’amore donato, l’altra compie il percorso opposto. Vediamo brevemente.

Da un lato, l’amore ricevuto fa nascere spontaneamente l’esigenza di dare amore, quasi all’interno d’un rapporto di causaeffetto. È, infatti, una legge psicologica. Da questo punto di vista la vocazione cristiana è risposta, risposta inevitabile una volta che s’è portato il giovane a constatare l’amore ricevuto, su un piano naturale e soprannaturale. È pure risposta modesta e discreta, non eroica né… sacrificale, ma animata piuttosto dalla serena consapevolezza che per quanto egli darà a Dio e alla vita non pareggerà mai il conto con quanto da Dio e dalla vita ha ricevuto. È come se la risposta vocazionale fosse il minimo che può fare.

È importante che il padre spirituale sottolinei questi aspetti come parte d’un processo maturativo psicologico e al tempo stesso spirituale.

Non sempre, però, questo passaggio è vincente e conveniente, al punto da portare al coraggio della scelta consequenziale. Anzi, diciamo che in ogni caso un’autentica opzione vocazionale viene dalla constatazione esperienziale dell’altro versante: è la decisione concreta e progressiva di dare e offrire se stessi, pur nelle piccole cose d’ogni giorno, che fonda la certezza radicale della propria amabilità. Infatti è solo allora che il soggetto sperimenta d’essere stato amato in modo pieno, al punto, cioè, d’essere ora reso capace d’amare: e proprio ciò lo rende finalmente libero di fare una scelta definitiva, per tutta la vita, d’amore gratuito e disinteressato. Da questo punto di vista la vocazione cristiana è provocazione e frutto di quella provocazione che deve esserci in ogni cammino di DS e che è parte della stessa esperienza autentica di Dio. Dio, infatti, ci ama e ci ha amati al punto da renderci capaci d’amare alla maniera sua; proprio questo è il segno più grande del suo amore per noi, l’averci fatti capaci di voler bene come lui. Di conseguenza, la vera e piena esperienza dell’amore di Dio per noi si ha quando si mette concretamente in atto tale capacità, quando, nella misura piccola e limitata del proprio cuore, ci si scopre realmente fatti a immagine della Trinità amante e capaci di dare amore, amore forte e gratuito, creativo e liberante[4]. In quest’ottica l’opzione oblativa coincide con l’esperienza d’essere amati; più forte e radicale è la prima, più vitale e appagante è la seconda. È la piena libertà affettiva, quale certezza d’essere stati amati da sempre e per sempre e di saper e dover amare per sempre.

È a questo punto che la maturità affettiva genera un’autentica capacità decisionale ed è dalla stessa sostenuta e pro-vocata: l’opzione oblativa costante e quotidiana dà luogo inevitabilmente ad un’opzione definitiva. Sulla base della libertà affettiva raggiunta un giovane può pensare, infatti, di costruire autenticamente la sua esistenza futura. Può anche decidere che l’amore che Dio gli ha manifestato gli basti, al punto di poter fare a meno dell’amore d’una donna, o può volere che la sua vita sia dedicata totalmente alla testimonianza di quest’amore, perché anche altri lo sperimentino.

Sarebbe la conferma della premessa da cui siamo partiti: maturità affettiva e maturità vocazionale coincidono[5].

 

 

 

 

Note

[1] Rulla L.M., Antropologia della vocazione cristiana. I Basi interdisciplinari, Casale Monferrato 1985, p. 192

[2] Fuschini F., Mea culpa, Milano 1990, p. 125.

[3] Cfr. Cencini A., Vocazioni: dalla nostalgia alla profezia, Bologna 1989, pp. 286-292.

[4] Cfr. Cencini A., Per amore. Libertà e maturità affettiva nel celibato consacrato, Bologna 1992, (in stampa).

[5] Un approfondimento ulteriore dell’argomento, oltre che sui testi segnalati nei precedenti articoli, può avvenire attraverso le seguenti opere che segnalo volentieri in aggiunta alle altre già citate nelle note precedenti: Bernard C.A., Direzione spirituale e maturazione della vocazione, in Rogate ergo, 2/1979/7-9; Bissi A., Maturità umana, cammino di trascendenza, Casale Monferrato 1991; Cecconi D., Fenomenologia della vocazione sacerdotale, Roma 1991; Cencini A., Amerai il Signore Dio tuo. Psicologia dell’incontro con Dio, Bologna 1988; Tonelli R., La vita come vocazione: movimenti per un itinerario educativo, Note di pastorale giovanile, 3/1989/9; Sovernigo G., Eccomi, manda me. La mia ricerca vocazionale, Torino 1987.