L’educazione all’amore delle giovani generazioni
Per quanto la parola “Amore” sia usata, per quanto su questa realtà si scriva o si parli, nonostante la spada di Damocle pendente su di essa che la potrebbe portare ad essere ultra inflazionata… l’AMORE resta sempre una realtà misteriosa e affascinante, capace di “vincere l’impossibile”.
Quante realtà di vita che sembravano oramai rassegnate alla sconfitta sono state riscattate da un segno di amore concreto, visibile, solidale. Quante persone cariche della loro ansia, della loro angoscia, con la speranza nel cuore ridotta ad un lumicino fumigante, si sono sentite rincuorate e ricaricate nella loro vitalità da “una” persona che ha dimostrato loro sinceramente e gratuitamente di “amarle” .
La storia della Bibbia stessa è ricca di queste immagini capaci di gesti di amore: Giacobbe, che raddoppia i suoi anni di lavoro pur di poter portare con sé, come moglie, non solo Lia, ma anche Rachele; oppure Osea, disposto davvero a sfiorare l’impossibile pur di riannodare il filo spezzato del suo Amore con Gomer, la prostituta; e Ruth stessa che non vuole abbandonare la suocera Noemi in nome del profondo affetto che le lega, e la segue nel suo ritorno tribolato dalla terra di Moab alla sua terra e alla sua gente… E poi Gesù che dice “nessuno ha un amore più grande di colui che dà la vita per i propri amici”, e questo lo vive in prima persona; o l’affetto di Maria Maddalena, di Maria di Betania, di Pietro verso il Maestro: un affetto che talvolta deve percorrere un sentiero difficile di liberazione interiore o superare le contraddizioni del cuore umano, per poi approdare, “purificato”, all’incontro totale e assoluto con Colui che si ama.
Una cultura che non sa amare
La prima considerazione immediata, a sostegno della tesi che il nostro modo di vivere sembra non sapere cosa significhi amare, potrebbe venire aprendo la TV, ascoltando un Giornale Radio, guardando le pagine dei giornali: talvolta si ha l’impressione sconcertante di un vero e proprio “bollettino di guerra”; altro che amore! Eppure noi sappiamo come purtroppo siano queste notizie a tenere banco, mentre il “bene”, le cose buone che ci sono e che si fanno… non fanno rumore e non rimbalzano agli onori… o agli “orrori” della cronaca quotidiana.
Da molte parti oramai ci si dice (ma lo vediamo con i nostri occhi), che il nostro modo di vivere è ammalato di egoismo e di individualismo; che molte nostre modalità di essere o di vivere sono espressioni di un “narcisismo” che si è insinuato tra le pieghe del nostro cuore e che lo rende angusto, stretto, mediocre, capace solo di annegare nello stagno della auto-contemplazione, come Narciso… È un argomento più che mai studiato e comprovato, in cui i grandi nomi della psicoanalisi (Kernberg, Kohut), o di tanti altri ambiti delle Scienze Umane, non cessano di metterci sotto gli occhi prove e riprove di questo nostro modo di essere e di vivere.
È una cultura che ci insegna a vivere nell’ottica dell’”attimo fuggente”, cercando in esso quella gratificazione legata alla logica oramai ben imparata anche dai bambini del… tutto e subito.
È una cultura che preferisce frastagliarsi in mille interessi particolaristici, a sostegno di uno stile di vita da “single”, perché fondamentalmente teme l’intimità di un rapporto e la fedeltà con cui si può essere chiamati a viverlo.
È più che mai evidente il segno di una “post-adolescenza” prolungata e dilagante che va sotto il nome della “Sindrome di Peter Pan”, perché si mette sulla scia del furbo personaggio del romanzo e del cartone animato di Walt Disney e, come lui, vuole restare l’eterno adolescente che preferisce non crescere e continuare a prendersi gioco dei… Capitan Uncino di turno!
La famiglia “educa” all’Amore?
Ho messo volutamente il punto interrogativo alla fine di questo sottotitolo in questa semplice proposta.
Si sarebbe potuto fare l’affermazione che “la famiglia educa all’Amore”, punto e basta; ma sarebbe stata un’affermazione buona nelle intenzioni, ma talvolta non realistica nella attuazione.
Con ciò sia chiaro che non intendo minimamente dubitare che sia proprio l’ambito familiare quello più qualificato e incisivo per un “itinerario di crescita nell’Amore”; mi permetto solo di avanzare l’interrogativo se nelle nostre famiglie ciò avviene per davvero…
In questi anni ho visto oramai con molta frequenza da una parte il desiderio dei genitori di essere punti di riferimento “attivi” nell’educazione affettiva dei figli, la voglia di rimboccarsi le maniche, di fare qualcosa… ma ho visto anche che non sempre le modalità educative delle nostre famiglie seguivano un minimo di traiettoria lucida, o ispirata ad una certa chiarezza.
Per carità, non voglio entrare nella schiera dei “tanti” che già hanno crocifisso famiglia e genitori in particolare, attribuendo loro responsabilità che non hanno o che sono il frutto di una “confusione culturale” che, seppur a flash, abbiamo cercato di mettere a fuoco appena sopra.
Eppure ci troviamo di fronte a genitori spesso sconcertati, disamorati e demotivati, perché incapaci di stabilire una sintonia sulla stessa lunghezza d’onda dei loro figli. La via del “dialogo” può restare una buona intenzione o una di quelle pie raccomandazioni nelle quali siamo tutti esperti verso gli altri, ma è una strada difficile da percorrere. Qualche tempo fa mi trovavo tra le mani un libro proprio specifico su questi problemi e portava un titolo emblematico e singolare: “Il Miracolo del Dialogo”
Effettivamente il dialogo diviene davvero una possibilità “miracolistica”, quando si incontrano coppie e famiglie in cui si è scelta la via più facile e meno dispendiosa del “monologo”, che in fondo vuol dire una reciproca indifferenza o che, parafrasando una celebre frase del filosofo francese Gabriel Marcel, hanno imboccato la via del… trilogo.
Cos’è mai questa roba? – dirà subito qualcuno di voi.
In parole semplici potremmo affermare che chi fa uso del “trilogo” sono quelle persone che vogliono avere sempre l’ultima parola su tutto e su tutti… sono coloro che implicitamente (e talvolta neppure tanto velatamente) fanno ricadere sugli altri la loro sentenza “io valgo per due, tu… per uno”.
In queste condizioni forse neanche un miracolo sblocca il gelo che si viene a creare, ma è anche vero che i giovani stessi, i figli, vivono una loro contraddittorietà confusa ma ripetitiva: da una parte tutti tesi a difendere una loro autonomia e una “privacy” praticamente inossidabili, dall’altra a lanciare messaggi sommessi, e per questo difficili da decodificare, di un costante e sempre più forte bisogno di affetto e di tenerezza.
Come aiutare la crescita dell’Amore?
Non vorrei schierarmi né dalla parte delle Cassandre, che vedono solo facili e prevedibili sventure, né da quella delle Pollyanne (Pollyanna è la bimba protagonista del bellissimo romanzo di Eleanor Porter e di un omonimo film, che con la sua dolcezza e il suo sorriso porta l’ottimismo in un paese sempre teso e arrabbiato…). Certo la missione di Pollyanna è stupenda, ma non sempre è facile dimostrare sempre e comunque, come dice invece lo psicologo Carl Rogers, che “i fatti ci sono amici”.
Senza tanti giri di parole diciamo subito che una famiglia riesce ad “evocare” nei figli i Valori che vive! Se si crede e si vive l’amore, anche senza grandi tecniche o strategie psico-pedagogiche, questo messaggio viene recepito e piano piano comincerà a percorrere la strada del germoglio del piccolo seme; magari con tempi, con ritmi diversi, ma orientato a mettere radici e a cercare la luce del sole. Certo che nel “gettare il seme dell’Amore” ci sono alcune vie privilegiate da percorrere e, guarda caso, sarebbero anche le vie che stanno all’origine di una possibile positiva risposta vocazionale…
Penso, prima di tutto, a come sia importante “investire” con fiducia nei propri figli. È vero, non sempre la strada può essere ricambiata da atteggiamenti che vanno sulla stessa linea, ma lanciare messaggi realistici eppur… positivi, è forse la cosa. più importante per creare nei figli il senso di un’identità più chiara di se stessi e di un’appartenenza familiare che spesso viene rinnegata perché depauperata di questa perla preziosa della FIDUCIA.
È poi di massima importanza che nelle nostre famiglie ci si chieda con sincerità non mascherata da facili marchingegni di auto-nascondimento: “Non c’è il tempo per parlare… o non c’è la voglia di parlare?”.
Sembra una domanda che vuole quasi aprire una ferita, ma è l’unico modo per curarla, se la ferita della “non-voglia-di dialogo” presente.
Far crescere nell’Amore vuole dire anche guardare insieme “in avanti” e “in alto”, cercare di credere ad un futuro diverso, anche se non sempre così facile e scontato. Per questo non servono le testimonianze lamentose usate in tante famiglie dai genitori e rifiutate, quasi “tappandosi gli orecchi”, da parte dei figli.
Sono quelle espressioni del tipo: “Ai miei tempi sì che…”; oppure “Eh, una volta le cose erano diverse, altro che adesso…”; o ancora “Sapessi quello che ho dovuto passare io …”.
Una volta ancora non si mette in dubbio la buona fede di queste affermazioni, ma la loro effettiva validità di far cambiare qualcosa nella testa o nel modo di vivere dei figli. Paradossalmente, usando una parola oggi molto di moda, divengono delle “affermazioni sfasciste”, dei boomerang che ricadono indietro su chi li ha lanciati.
Erich Fromm, nel prezioso libro “L’arte di amare” che ha aiutato a riflettere su questo tema tante generazioni, parla di quattro caratteristiche fondamentali dell’Amore, che qui possiamo semplicemente enunciare, ma che meriterebbero un’analisi ben più profonda: si parla della Disciplina del Cuore e della Vita, della capacità di Concentrazione e Silenzio, dell’arte della Pazienza e dell’Attesa, del sapersi Appassionare a ciò che si sceglie.
È ovvio che impostare una vita con questi criteri vuol dire darsi uno stile di vita ben chiaro e preciso; vuol dire anche avere individuato delle modalità su cui confrontarci con calma e pacatezza, perché non sono così usuali e ovvie per il nostro modo di pensare e di vivere.
Personalmente credo che nelle nostre famiglie ci sia ancora la voglia, l’energia e la scelta di queste “piste di Amore”; credo che dopo avere provato gli effetti totalmente negativi della “repressione” autoritaria e quelli ancora più disastrosi dello spontaneismo privo di finalità e di modalità espressive, sia giunto il tempo di “reimparare a voler bene nella semplicità, nello stupore, nella convinzione che non sempre bastano le parole…”.
“Una donna che reggeva un bambino al seno, domandò al Profeta: – Parlaci dei figli! – Ed egli disse:…Voi siete gli archi da cui i figli, le vostre frecce vive, sono scoccati lontano. Ma è l’Arciere che vede il bersaglio sul sentiero infinito…”. (K. Gibran, il Profeta).