Intuizione vocazionale e preparazione al ministero
Ci interroghiamo su “che cosa significa accompagnare un giovane verso il ministero?”. Vuol dire prenderci cura della sua fede per portarla ad un’espressione di vera autenticità cristiana, la quale non si giustappone ma include anche la pienezza dinamica di tutte le sue espressioni umane.
Ci domandiamo che cosa vuol dire descrivere questo itinerario in un linguaggio che si alimenta alla teologia-spirituale? Significa il convincimento che trattandosi di un soggetto credente in cammino verso la santità non esiste linguaggio più sintetico e onnicomprensivo in riferimento al vissuto che non sia quello della teologia spirituale.
Questo suppone che all’interno e previamente alla lettura sintetica della santità, in particolare quella ministeriale, si esprimano linguaggi più analitici che si prendono a cuore le interpretazioni e le evoluzioni umane del santo cristiano.
Per quanto riguarda la messa in atto dell’opera educativa riteniamo particolarmente prezioso il linguaggio pedagogico, il quale sta a dire che concretamente l’unità della persona e la sua storia invocano contemporaneamente e successivamente la messa in atto di diversi messaggi teorici e pratici studiati e descritti da tutte le scienze che si occupano della maturazione della libertà umana. Da qui nasce la preziosità della pedagogia nella complessità dell’agire educativo.
Intuizione vocazionale e relazione ecclesiale
L’attenzione educativa si deve preoccupare di recensire il contesto spirituale da cui nasce una vocazione; questo contesto spirituale, interpretato secondo la fede, come luogo di rivelazione non è disattento alle dinamiche relazionali, perché l’interpretazione spirituale si preoccupa che queste dinamiche rappresentino una piena provocazione alla maturità della persona secondo lo Spirito di Cristo.
In questo senso la teologia sa che la grazia presuppone la natura e che questo assioma trova oggi una modalità di decantazione che può usufruire di linguaggi interessanti e verifiche più puntuali. Anche questa lettura è intrinsecamente, e non in maniera giustapposta, un esercizio della fede.
L’istanza autenticamente spirituale di un’intuizione vocazionale dà una garanzia della sua verità, innanzi tutto, quando si può dire che l’anima unitaria del soggetto è armonicamente ancorata a tutte le forme mature della sua corporeità. Non la teologia ma altre scienze descriveranno come si deve analiticamente interpretare la corporeità. Il vissuto spirituale unitario della persona viene così garantito, e non si danno frammentarietà senza il tutto; non c’è nulla che non si misuri su Gesù; in questo senso raccogliamo l’intuizione antropologica antica anima unica forma corporis.
Concretamente, per configurarsi a Cristo, il soggetto credente dovrà operare delle riconoscenze e dei distacchi verso il proprio passato, perché sa di dover partire dalla sua terra, ma di incamminarsi verso un luogo che ancora non conosce. Non gli mancherà nella fede la sua rivelazione.
Sa, nel suo sentirsi chiamato, che dovrà dedicarsi alla Chiesa, la quale custodisce il mistero di Cristo nel mondo; si farà premuroso di capire quale Chiesa lo ha generato, quale Chiesa lo manda, e, storicamente e culturalmente, quale Chiesa lo aspetta.
Intuizione vocazionale ed esperienza della fede
Nell’inseguire un’intuizione vocazionale cristiana la verità di Dio diventa il problema fondamentale. Il giovane ha bisogno di percepire la presenza di Dio e la sua capacità di convincimento, di sostenere i momenti della sua scomparsa, di gestire i momenti in cui Dio sembra incapace di raccogliere tutte le energie di un giovane di fronte alle possibilità della vita. È la questione della fede, la quale educativamente non sarà mai sufficientemente istruita. Qui sta il fondamento di ogni vocazione. Il rischio è di dare per scontato: la concretezza di questa esperienza o mancanza di esperienza è sorprendente. C’è una fede di partenza e c’è una fede di arrivo (pre e post intuizione vocazionale), che è un’ulteriore partenza.
Nell’inseguire un’intuizione vocazionale, oggi, l’altra grande sfida, che l’esperienza spirituale deve gestire è quella delle sensazioni. Il compito educativo deve prendersi seriamente a cuore la discussione della sensitività. Soltanto la decantazione dell’estetica può risultare una convincente introduzione alla fede, dando così garanzia della verità di una particolare vocazione.
La preghiera diventerà il luogo privilegiato di ricomprensione del proprio stato di vita, della considerazione del dono ricevuto, della convinzione circa la verità delle promesse di Dio. L’educazione alla preghiera solleciterà le intuizioni della intelligenza per sostenere una cristiana interpretazione della storia; le sintonie della volontà per dirigere la libertà con criticità di approccio; i linguaggi del cuore perché il rapporto personale con Gesù e con gli uomini rendano piena e limpida la propria capacità di amare. E tutto questo, se è secondo lo spirito di Cristo, non può essere che spirituale.
Intuizione vocazionale e obiettività del ministero
Perché l’intuizione vocazionale venga confermata rispetto alla obiettività del ministero ordinato, mi pare particolarmente utile insistere su alcuni nuclei tradizionali fondamentali, il cui valore sta proprio, nella nostra epoca storica, nel fatto di comporsi bene insieme. Li indico semplicemente:
1. La storia della persona e le esigenze del ministero;
2. La carità pastorale luogo della vita di fede;
3. Il rapporto personale con Cristo e la propria coltivazione di sé;
4. La dedizione alla Chiesa, nel servizio e nella presidenza;
5. La capacità di dare un’interpretazione cristiana della storia: prezioso servizio di mediazione della rivelazione di Dio, in un’epoca di difficile sintesi e grandi cambiamenti. Si tratta di insegnare a sperare.
È certamente possibile ritrovare lungo i secoli diverse scuole di spiritualità che hanno messo in luce in modo originale e complementare i diversi aspetti, dando prova di una reale capacità di rinnovamento dell’esperienza spirituale dei preti. Penso sia utile introdurre i seminaristi con più abbondanza di tempo e di contenuto a questo patrimonio storico e spirituale.
Interpretazione spirituale e cammino educativo
L’interpretazione spirituale (culto spirituale) del cammino educativo non permette frammentazioni: tutto richiama sempre tutto. L’essere “come Gesù” non permette di ritagliare ambito della propria esistenza al di fuori della esperienza spirituale. Nel frattempo delle infinite azioni della vita quotidiana, ci deve essere sempre la totalità. Anche se per esigenze pratiche si parla di formazione intellettuale, oppure comunitaria, o specificatamente spirituale per dire la preghiera, tuttavia a rigore “tutto è spirituale”, anche se questo “spirituale” si gestisce con una pluralità di linguaggi e con singolarità di metodi. La totalità della appartenenza a Cristo raccoglie ogni frammento.
Segno di maturità in un cammino spirituale è la lucidità di interpretazione realistica del proprio vissuto: potremmo dire la capacità di leggere la propria esperienza di santità in rapporto al ministero. Si potrebbe anche chiamare educazione all’esame cristiano della coscienza. Il confronto con la parola di Dio invoca un’obiettività teologica e una coscienza critica del proprio vissuto che deve essere costantemente educato. Bisogna evitare che la corsa a diventare preti, non metta in dubbio la verità del permanere cristiani. La lettura ontologistica del ministero si rivela quanto mai insufficiente: il problema non è diventar preti, non è solo assicurarne la fedeltà nel tempo, è sopratutto quello di scongiurare la triste consistenza, non solo di un uomo, ma di un prete senza qualità.
Tutto questo non è certamente da pensare in termini intellettualistici, piuttosto bisogna tener presente che l’esercizio della interpretazione invoca di per se stesso, per sé e per gli altri l’investimento della libertà. Di conseguenza, sul piano educativo bisognerà tenere molto presente una corretta pedagogia della volontà. I temi della conversione, dell’ascesi, della signoria di se stessi trovano qui il loro luogo teorico e pratico. La vita spirituale non è mai solo un’operazione della intelligenza: come l’atto di fede richiede intelligenza, volontà e grazia.
Un altro luogo importante dell’educazione spirituale al ministero è quello della reale educazione al discernimento. Il discernimento non è semplicemente qualcosa che si attende dalla Chiesa, ma che si vive nella Chiesa, assumendo in prima persona l’istanza di un interrogativo spirituale su se stessi. Questo implica l’affermazione per la chiesa della necessità del ministero ordinato, ma l’altrettanta affermazione per il soggetto credente della non necessità per lui del ministero. Una vera maturità spirituale distingue e vive nella fede le discrepanze esistenti tra un’eventuale buona disposizione e oggettiva idoneità.
Testimonianza della vocazione e qualità della fedeltà
Oggi la vita offre ad un giovane molte possibilità. Offre anche molte delusioni. Testimoniare la propria vocazione significa spiegarsi e spiegare perché volontariamente, meglio per grazia, si sceglie una di queste possibilità. Bisogna aiutare a capire che cosa significa scegliere, e le conseguenze di chi non si illude di tenere tutto non scegliendo mai. Bisogna far incontrare con un interlocutore che da solo convinca unificando in teoria e in pratica l’assenso del soggetto.
Educare alla testimonianza della propria vocazione significa inoltre dare garanzia che veramente ci può essere uno, alterità rispetto alla storia, che chiama. Per questo bisogna educare a sconfiggere le paure teoriche e pratiche delle generazioni giovanili. Il futuro deve ritornare ad essere una promessa e non una minaccia. Bisognerà ridare valenza storica alla riflessione sulla vita eterna. Diversamente la testimonianza rimane debole. Tuttavia qui siamo pur sempre nella testimonianza della fede.
Per quanto concerne più direttamente la testimonianza della vocazione sacerdotale, bisognerà – come esercizio spirituale – impegnarsi in una lettura nella fede delle grandi trasformazioni delle comunità cristiane e del ruolo del ministero ordinato. Solo un nuovo e sereno assetto di vita permette al prete di rendere gioiosa testimonianza della verità del suo ministero. L’incertezza, il nervosismo, le polemiche, le stanchezze della vita dei presbiteri, spesso non permettono la testimonianza vocazionale dei giovani. Superare questi stati d’animo e di azione è un’istanza di formazione spirituale.
Un’ultima considerazione circa le possibilità di una testimonianza sono da ricercare in un capitolo serio della formazione al ministero. Lo potremmo chiamare il problema della appropriazione reale delle esperienze a cui si viene introdotti nel tempo della formazione educativa. Che cosa realmente rimane di quello che viene esercitato negli anni della formazione? Con quali linguaggi si propone e si garantisce la durata di eventuali esperienze condotte nei seminari? Senza capacità di rigenerarsi quando l’accompagnamento educativo viene meno (in brevi o lunghi periodi) diventa debolissima la forza della testimonianza. Ci si deve interrogare, nella formazione spirituale dei seminaristi, sulla qualità della fedeltà.
Conclusione: la continua circolarità del vissuto
Bisognerà costantemente procedere dalla fede alla vocazione, dalla vocazione alla carità, dalla carità alla fede. Bisogna educare soprattutto alle seconde stagioni, quelle che di purificazione in purificazione portano l’uomo conforme alla maturità di Cristo. L’esperienza cristiana, come ogni reale esperienza ermeneutica, è sempre circolare. Questo servizio della fede, vocazione, ministero è come un anno liturgico: è sempre uguale e non si ripete mai, semplicemente procede. Di memoria in progetto si va verso l’escaton, il Signore.