N.04
Luglio/Agosto 1992

I giovani preti e la promozione delle vocazioni[1]

Sono lieto di questo incontro e insieme timoroso di affrontare il problema delle vocazioni. Le vocazioni, infatti, sono un dono di Dio e non è facile definire come nascono e stabilire a quali leggi obbediscano. Tuttavia voi avete, per così dire, il carisma per riflettere su questo tema e per aiutare le Chiese lombarde a pensarci.

Da parte mia cercherò dunque di reagire a qualche domanda sul titolo che mi è stato proposto: “I preti giovani e la promozione delle vocazioni”. Proporrò degli spunti che stimolano la preparazione del Convegno, secondo il seguente ordine:

– perché si parla di “preti giovani” o di “giovani preti”;

– qual’è il rapporto tra preti giovani e le vocazioni;

– alcuni strumenti per una pastorale vocazionale.

 

 

 

L’attenzione della riflessione pastorale per i preti giovani

Parto dalla constatazione di un fatto importante: l’attenzione ai preti giovani nelle diocesi. Se esiste tale attenzione significa che è suggerita dallo Spirito Santo. Del resto, negli stessi Istituti religiosi si curano, più che nel passato, le vocazioni nei primi anni dopo la professione semplice. Il fenomeno è quindi generale, e lo ritengo positivo, pur se forse è stato sollecitato da ragioni negative (penso, per esempio, alla possibilità o facilità di crisi nei primi anni di esperienza nel ministero sacerdotale oppure nella vita religiosa). Non dobbiamo tanto cercare di capire i motivi di questa attenzione, ma piuttosto rilevarne l’opportunità, la bontà.

Tra l’altro, ritroviamo una simile preoccupazione nelle Lettere di san Paolo a Timoteo e a Tito, che sono chiaramente lettere di attenzione a preti giovani o a giovani preti: “Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani. Dio, infatti, non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza” (2 Tm 1,6-7). C’è dunque una particolare esigenza di “ravvivare il dono di Dio”, di non lasciarsi vincere dal timore e dalla paura, di crescere in forza, amore, saggezza.

Ci potremmo domandare se questa attenzione è data più ai preti giovani o ai giovani preti, cioè se si tratta di un’azione di sostegno, dovuta alla complessità della realtà pastorale odierna, oppure se è dovuta al fatto che sono giovani, cioè preti di una generazione volubile e incostante; in altre parole, se si accentua maggiormente la situazione pastorale oppure la difficoltà psicologica di affrontarla. Non è facile rispondere e personalmente credo valide ambedue le accentuazioni.

Come Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (C.C.E.E.) abbiamo sviluppato negli ultimi anni un’attenzione ai giovani Vescovi, dove il termine giovani non è in riferimento all’età (secondo la norma del Codice di Diritto Canonico un Vescovo non può mai essere giovane in quel senso), bensì in riferimento agli anni di episcopato. E l’incontro con i giovani Vescovi europei è stato, di fatto, molto fruttuoso perché ci siamo accorti che proprio nei primi anni si sperimentano particolari difficoltà, indubbiamente più gravi di quelle che esperimenta un giovane prete. Non c’è un seminario per i Vescovi e chi viene ordinato Vescovo si trova buttato nel ministero all’improvviso, soprattutto se non conosce il meccanismo di funzionamento di una diocesi e proviene dall’insegnamento in seminario o dalla responsabilità di una singola parrocchia.

L’attenzione specifica ai giovani Vescovi non esisteva nel passato e si riteneva che il dono infuso dallo Spirito Santo dovesse sopperire a ogni difficoltà; oggi, invece, la complessità di una diocesi, soprattutto nel contesto europeo, è tale da richiedere un’attenzione particolare.

Tornando al nostro tema, direi che occorre avere presenti entrambi gli aspetti: i preti giovani si trovano davanti a una realtà pastorale difficile e vanno aiutati a decifrarla, ad affrontarla.

Il discorso vale pure per le religiose, i religiosi e per i laici chiamati a determinati compiti pastorali. Se una religiosa, un religioso o un laico hanno degli incarichi di tipo amministrativo o assistenziale nell’ambito ristretto di una comunità, non necessitano di particolari aiuti; quando però vengono messi a contatto con esperienze di vita pastorale, la situazione può presentare condizioni complesse e difficili.

Tra le complessità proprie della realtà pastorale odierna, c’è indubbiamente quella di dover configurare cammini di discernimento vocazionale. Le decisioni esistenziali appaiono difficili, anche se io non esagererei tale difficoltà rispetto ai tempi passati, dal momento che decidersi per il Vangelo non è mai stato facile, che non è mai stato facile compiere scelte coraggiose, in qualche maniera eroiche e controcorrente.

Si può giustamente affermare che le vocazioni di vita consacrata sono sempre state complesse; tuttavia dobbiamo riconoscere che oggi la complessità è cresciuta ed è dunque necessario aiutare i preti giovani.

Se poi si parla di giovani preti, di preti che appartengono a una generazione “fragile”, penso sia sempre utile un sostegno di discernimento, al fine di cogliere meglio qual è il proprio cammino di prete, attraverso l’approfondimento del valore del ministero e della propria identità, poiché, di fatto, una sicurezza maggiore aiuterà anche a dirigere altri. Non dimentichiamo che far scoprire dei cammini vocazionali suppone sempre una certa maturazione personale del cammino vocazionale, e questo vale pure per il cammino della vita religiosa e, in generale, per tutto l’indirizzo vocazionale. Ordinariamente non attingiamo dai libri una scienza del discernimento, ma l’acquistiamo riflettendo sul nostro cammino; quanto più tale cammino diventa maturo, autocosciente, tanto più possiamo sperare di avere qualche chiarezza maggiore da offrire ad altri.

In conclusione credo che l’attenzione ai preti giovani o ai giovani preti abbia una relazione con la pastorale vocazionale e sono lieto che possiate approfondirla.

 

 

 

Il rapporto tra i preti giovani e le vocazioni

Riflettiamo ora brevemente sul rapporto specifico tra i preti giovani e le vocazioni, più concretamente tra i preti giovani e la pastorale dei ragazzi e dei giovani. È vero, infatti, che talora anche gli adulti devono operare delle scelte coraggiose, ma ordinariamente esse avvengono nell’arco che va dagli otto ai venticinque anni.

Guardando alla nostra esperienza, ci accorgiamo di un mutamento nella situazione. Un tempo il prete giovane si occupava soprattutto della pastorale dei ragazzi e dei giovani maschi, mentre le ragazze e le giovani erano affidate al parroco o alle religiose; oggi, invece, la scarsità dei preti fa sì che il prete giovane si debba spesso occupare di tutta la pastorale giovanile, e questo fatto comporta dei problemi.

In tal senso, vanno interessate fortemente le componenti femminili dell’azione pastorale, cioè le educatrici, in particolare le religiose impegnate nel campo dell’educazione.

In rapporto alla nostra realtà lombarda, dove sono presenti gli Oratori e i Gruppi giovanili, ci possiamo chiedere: gli Oratori sono ancora un luogo vocazionale? E i Gruppi giovanili? Certamente lo sono stati nel passato e ho l’esperienza di avere interrogato in questi anni un numero molto grande di seminaristi sul luogo di origine della loro vocazione, e di sentirmi rispondere: “L’Oratorio della mia parrocchia… il gruppo giovanile della mia parrocchia”.

Vorrei far notare che in altri Paesi non è così. In Francia, per esempio, le vocazioni, quando ci sono, provengono da un movimento, come pure in Spagna, in America Latina. Anche in Italia sono aumentate le vocazioni che hanno come riferimento un movimento, ma in Lombardia è ancora altissima la percentuale delle vocazioni nate negli Oratori, anche delle vocazioni femminili e, in genere, di scelte vocazionali. Dunque l’Oratorio è per noi un luogo di riflessione seria sulla propria vita, intesa come risposta a una chiamata di Dio e come scelta evangelica forte.

D’altra parte, è importante osservare che una vocazione nasce non tanto a partire dal fatto di essere membro di un Oratorio o di un Gruppo giovanile, bensì dall’aver assunto, all’interno di queste realtà, dei compiti particolari (educatori, catechisti, servizi di carità, iniziative di vario tipo). Ho presenti tantissime storie vocazionali che lo testimoniano; attraverso l’assunzione di piccole responsabilità, matura la domanda: perché non potrei avere una responsabilità religiosa?

Occorre comunque tenere presente che, se pure gli Oratori e i Gruppi giovanili offrono a tutt’oggi le condizioni per delle espressioni vocazionali interessanti, stanno avanzando lentamente i movimenti come luoghi vocazionali, con i conseguenti vantaggi e svantaggi.

Vantaggi perché i movimenti nel senso più ampio del termine (penso per esempio ai Neocatecumenali) danno davvero moltissime vocazioni. Ci sono nel mondo ormai 16 seminari dei Neocatecumenali, sorti tutti negli ultimi tre o quattro anni, e ciò significa che il fenomeno va osservato con attenzione.

Svantaggi – ma sarebbe meglio parlare di aspetti problematici – perché i movimenti tendono a suscitare vocazioni troppo determinate, quindi non in vista di un servizio alla Chiesa nella sua globalità, ma dentro la logica più parziale di un gruppo e spesso per il servizio pastorale all’interno dello stesso movimento.

In ogni caso, ripeto, il fenomeno va considerato perché oggi, soprattutto nei paesi dell’America latina e dell’Europa del sud (meno nell’Europa dal nord) è molto diffuso. Naturalmente i movimenti hanno caratteristiche diverse in un Paese rispetto a un altro; i movimenti della Francia non hanno molto a che vedere con quelli operanti in Italia, per esempio con Comunione e Liberazione o con il Rinnovamento nello Spirito. Il Rinnovamento è presente in Francia e però con caratteristiche molto peculiari. Ci sono poi movimenti che chiamerei neomonastici, che promuovono cioè nell’ambito laicale tipi di vita monastica, da cui poi nascono delle vocazioni.

Ci sono quindi vocazioni che non sfociano nelle forme classiche che noi conosciamo e che voi rappresentate (vita religiosa, vita consacrata, Istituti secolari) e pongono domande alle quali è bene cercare di rispondere.

 

 

 

I giovani preti e gli strumenti per una pastorale vocazionale

Si tratta ora di vedere – e il discorso si fa più pratico – che cosa concretamente aiuta a far maturare, in una realtà di Chiesa locale, un impegno vocazionale. Che cosa potrebbe dare ai giovani preti, oppure alle religiose o agli educatori gusto vocazionale?

In verità, siete voi che dovreste rispondere perché avete già vissuto il gusto, la gioia della pastorale vocazionale e la vocazione si comunica attraverso la gioia che si ha dentro. Ordinariamente la struttura di una vocazione, pur essendo estremamente ricca e varia, è riconducibile a una figura concreta che permette a un giovane o a una giovane di dire: Mi piacerebbe essere come lui, come lei… mi accorgo che questo tipo di vita lo/la riempie e forse potrebbe valere anche per me. Questa è una dinamica che incontriamo facilmente, anche se poi la vocazione va approfondita personalmente nella preghiera, nell’incontro diretto con il Signore.

L’importante è dunque cercare di capire come è possibile far crescere, nei giovani preti, questo gusto e questa capacità.

1 – Ho sempre sottolineato l’importanza di essere maestri della Parola, guide della Parola, perché il prete deve anzitutto avere il gusto della Parola di Dio e saperlo comunicare. Infatti, uno degli elementi fondamentali da cui può nascere una vocazione, è la familiarità con il mondo di Dio, che è poi espressa da una familiarità con la parola, che passa attraverso la lectio divina.

Saper gustare l’incontro con la Parola mediante il metodo della lectio divina, per poi farlo gustare ad altri, è uno strumento indispensabile, primario, soprattutto nella complessità della vita odierna. Un tempo, proprio per il contesto di vita più semplice, il mondo di Dio veniva mediato direttamente da una struttura ambientale. Oggi, invece, i giovani preti vivono l’impegno pastorale in una realtà difficile e confusa e il mondo di Dio devono, in qualche maniera, ricostruirselo attraverso la lectio divina, perché lo stesso ambiente istituzionale ecclesiale non lo media o lo media in maniera frammentaria.

Penso dunque che molte vocazioni nascono a partire dalla logica espressa dall’uso della lectio divina. I modi per far gustare l’accostamento alla parola di Dio sono molti, ma noi abbiamo sperimentato in Diocesi quello della “Scuola della Parola” che all’inizio ho diretto personalmente e poi ho affidato ad altri preti estendendola alle diverse zone pastorali. È chiaro che quando un’iniziativa si diffonde rischia di diventare un metodo oggettivo e forse si perde l’evidenza della sua capacità di trasmettere il gusto con cui uno, avendo letto la Parola, riesce a coinvolgere altri nella lettura. Mi auguro tuttavia che la diffusione a largo raggio della lectio divina non impedisca a molti di arrivare al gusto personale staccandosi dal fissismo del metodo e comunicandolo con vivacità.

Nel cammino proposto ai giovani del “Gruppo Samuele” – come dirò dopo – ho indicato tre punti per la scelta vocazionale: imparare a familiarizzare con il mondo di Dio attraverso la lectio; vivere una seria purificazione personale dal peccato e da tutto ciò che è in noi forma di inclinazione al male; un serio discernimento nei confronti dei propri stati interiori.

Il primo di questi tre pilastri è senza dubbio la lectio divina e perciò occorrono giovani preti o preti giovani che l’abbiano già gustata e che sentano l’urgenza di farla gustare ai giovani e alle ragazze.

I mezzi pratici, di mediazione, possono essere diversi. La Scuola della Parola mensile vorrebbe tendere a sollecitare una lectio personale, perché il principio cui si ispira è quello del Vaticano II, descritto nel capitolo VI della Dei Verbum: “Tutti i cristiani acquisiscano una vera scienza di Gesù Cristo, mediante la lettura orante della Divina Scrittura”.

 

2 – Ci sono altre esperienze di itinerari, e qui torno a parlare del “Gruppo Samuele” che è nato dal cammino dei giovani verso l’“Assemblea di Sichem”. Quel cammino aveva coinvolto migliaia di giovani tra i 17 e i 25 anni, per una rinnovazione della loro scelta di Gesù come Signore della vita. Al termine dell’Assemblea che aveva entusiasmato tutti i partecipanti, si è pensato di raccogliere un gruppo di giovani che volessero compiere con il Vescovo un cammino alla ricerca della propria vocazione, con una disponibilità a 360 gradi, in vista delle diverse chiamate (alla vita matrimoniale, alla vita sacerdotale, alla vita religiosa…). Moltissimi i giovani e le ragazze che chiedevano di partecipare al Gruppo Samuele, e ne abbiamo scelti circa 170 (il 60% erano ragazze). Ad essi, come conditio sine qua non per l’ammissione, veniva domandato che avessero un direttore spirituale cui fare riferimento. Per lo più si trattava di preti giovani che si sono impegnati molto seriamente nel verificare l’effettiva assimilazione spirituale, nel giovane o nella ragazza che dirigevano, di ciò che era proposto negli incontri del Gruppo. Questa direzione spirituale è diventata anche una scoperta per i preti giovani, grazie appunto ai ragazzi e alle ragazze che si sono affidati a loro. Più di un prete mi ha detto: È stata una sorpresa vedere questo giovane o questa giovane che hanno avuto il coraggio di farsi aiutare a fondo, e constatare poi che io ero stato coinvolto, per aiutarli, in tutta la mia vita.

Come ho accennato prima, oltre al pilastro della lectio divina, ai partecipanti al Gruppo raccomandavo l’importanza della purificazione interiore, cammino che può avvenire attraverso il sacramento della Penitenza, quindi di nuovo ricorrendo al prete e infine il discernimento dei movimenti interiori dello spirito. La direzione spirituale non è utile soltanto per una verifica di cammino, ma pure per imparare il discernimento.

Ora, questi elementi possono essere collocati in iniziative molto diverse, sempre però nella preoccupazione di coinvolgere i giovani preti a mettere a frutto quel discernimento spirituale che essi hanno incominciato a fare su se stessi. Del resto, i grandi maestri del discernimento spirituale (Ignazio di Loyola, Giovanni della Croce, Teresa d’Avila) hanno vissuto in prima persona il cammino di discernimento e sono diventati grandissimi direttori spirituali perché avevano imparato a percepire ciò che succedeva dentro di loro. La stessa dottrina spirituale di Giovanni della Croce o di Teresa d’Avila non è altro che una proiezione della propria esperienza che Teresa racconta e che Giovanni della Croce paragona con le categorie scolastiche ed espone in poesia, con tutta l’emotività che caratterizza la direzione poetica.

Dunque i preti giovani, a partire dalla loro esperienza, possono aiutare altri nel discernimento. Si apre qui un capitolo importante, che in psicoanalisi va sotto il nome di transfert. Come imparare a discernere e a guidare spiritualmente senza soggettivizzare troppo l’esperienza dell’altro? Perché nel dirigere altre persone si corre il rischio o di recepirle nel proprio vissuto oppure di proiettare il proprio vissuto su di loro.

Bisogna perciò riflettere, stare attenti, essere prudenti. Forse si dovrà passare per qualche errore, ma l’importante è che non siano errori irreparabili; d’altra parte, una certa percentuale di rischio esiste sempre nei rapporti umani.

Data l’importanza di questa direzione, potrebbe essere utilmente imparata e praticata anche dai laici e dalle religiose, almeno a certi livelli.

 

 

 

 

Note

[1] Riprendiamo questo studio dalla Rivista “Ambrosius” (n. 3/92) che ringraziamo per la disponibilità. Il Card. Martini ha tenuto questa conferenza il 7 gennaio u.s. ai membri del C.D.V. di Milano e del C.R.V. della Lombardia. La pertinenza col tema trattato in questo numero ce ne ha suggerito la pubblicazione tra gli altri studi.