La preghiera prima vocazione dell’uomo
Il rapporto tra vocazione e preghiera è per lo più avvertito come funzionale al sorgere di vocazioni di speciale consacrazione. In realtà esso spazia con singolare ampiezza nel grande scenario dei disegni divini sull’uomo.
Identità vocazionale della natura umana
L’uomo è di sua natura risposta a una vocazione-chiamata. Egli è stato chiamato all’esistenza dalla parola creatrice di Dio. Si tratta di un evento che ha avuto origine nel tempo e che si proietta nell’eternità. Questa chiamata che pone l’uomo in essere, è legata alla capacità di ascolto della creatura, ossia alla sua ricettività totale. L’uomo è quindi di sua natura un essere in ascolto: “uditore della parola” divina che crea e che rigenera. Egli vive nella pienezza del disegno divino unicamente se si radica nell’ascolto. In quanto riconoscimento della signoria di Dio nella propria esistenza e nella propria storia, l’ascolto è sinonimo di obbedienza. E infatti il termine neotestamentario di obbedienza è ascolto.
La vocazione-ascolto nel Nuovo Testamento assume una precisa connotazione cristologica, che S. Paolo esprime con una frase pregnante: “il Logos dell’ascolto” (1 Ts 2,13). La parola divina è pronunciata per essere ascoltata: nessuna deve andare a vuoto! Questa parola, poi, si è fatta carne e dunque udibile alle orecchie dell’uomo, le quali semmai vanno “scavate” (Sl 40,7 secondo la forza del termine ebraico) per recepire il messaggio o, in altri termini, vanno rese “circoncise” e quindi pure. Se poi pensiamo che la forza “evocativa” della parola divina dipende (come d’altra parte per ogni altra parola) dall’intensità del “soffio” con cui viene pronunciata e trasmessa, dobbiamo affermare che la vocazione-ascolto ha pure un carattere pneumatico. E lo stesso Spirito che rende udibileefficace la parola, suscitando contemporaneamente le necessarie disposizioni ricettive come avvenne per Maria, “adombrata” dallo Spirito e “seminata” dal Verbo.
Siamo quindi in grado di affermare che mentre nell’ascolto si manifesta la profonda, primigenia, essenziale natura dell’uomo, nella vocazione traluce il mistero di Dio trinitario: il Padre che chiama, la Parola della chiamata e lo Spirito che la pervade quale forza vivificante, creatrice e rigeneratrice.
L’ascolto: comandamento e preghiera
La Bibbia ci presenta l’ascolto simultaneamente come comandamento e come preghiera. Per rendersene conto basta riandare ai due testi classici: Dt 6,5 e la sua ripresa in Mc 12,29-31. L’invito all’ascolto suona quindi come primo comandamento e sostanzia di sé la preghiera dell’israelita.
Che l’ascolto sia la legge costitutiva dell’essere umano lo ricorda la pregnante espressione di Is 55,3: “Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e voi vivrete”. Attraverso la ripresa orante del fondamentale “precetto” dell’ascolto, il credente prende coscienza della propria originaria natura che lo apre a Dio e lo pone in stretto, indissolubile rapporto con lui.
Non ci resta che approfondire la preghiera nel suo rapporto molteplice con l’ascolto. Procederemo attraverso messe a punto progressive.
Alla sua presenza
La preghiera è il “luogo” dell’ascolto consapevole e disponibile alla parola divina, dal momento che essa mette in relazione con Dio, ci apre al suo mistero, ci situa alla sua presenza. E quanto più la “vocazione” si fa precisa, individualizzata, impellente, tanto maggior bisogno di orazione emergerà nel cuore dell’ascoltante.
Dal suo punto di vista
La preghiera ravviva e alimenta un’adeguata visione religiosa dell’uomo e dei suoi destini e ciò costituisce sia la premessa sia la condizione perché alla vocazione divina corrisponda una risposta coerente
nell’uomo. Solo a questa stregua sarà possibile all’interno della vocazione originaria e salvifica (si sottolineino entrambi questi aggettivi che fanno riferimento al piano creaturale e redentivo) discernere le singole vocazioni specifiche. Infatti tutta la carica della vocazione con cui Dio chiama l’uomo alla vita e alla grazia, si traduce e si specifica in una precisa scelta di stato e di testimonianza e di servizio.
Una storia d’amore
Un ulteriore aspetto che mette ancor meglio a fuoco il legame intercorrente tra vocazione e preghiera è il carattere sponsale che riveste il rapporto Dio-uomo/umanità. Questa visione era familiare nell’Antico Testamento e suggella le pagine del Nuovo, quando ci ricordano le espressioni supreme e conclusive dell’orazione cristiana: “Vieni, Signore Gesù” (Ap 22,20). A pronunciarle, come ben sappiamo, è la sposa all’indirizzo dello sposo celeste. La vocazione ha quindi un carattere sponsale: è Dio che chiama il proprio partner in amore; è l’amante che va in cerca dell’amato. Ed è superfluo notare come lo scambio amoroso altro non è che preghiera, e la preghiera altro non è che scambio amoroso. Il ricupero di questa dimensione è decisivo per affrancare la vocazione e le vocazioni dalla distrazione e dalla disaffezione verso Dio che da sempre minacciano l’uomo e che oggi risultano particolarmente distruttive. Paolo riassume in tre qualifiche gli aspetti caratterizzanti del cristiano (e possiamo dire di ogni uomo): “chiamato, santo e amato” (cfr. Col 3,12). Chi si scopre chiamato sa che la sua vita ha un senso, uno scopo e un destino e ciò aiuta a sottrarsi al non senso, alla demotivazione e al caos in cui sembra piombata l’esistenza dell’uomo sulla terra in questo tormentato tornante della storia.
Un’esistenza trasformata
Nella Bibbia come il “parlare” include il “fare”, così l’ascolto implica l’agire. Anche sotto questo aspetto la vocazione rimanda alla preghiera. L’ascoltare per fare comporta infatti che si disponga di forza, energia, fecondità. L’ascoltatore della Parola diventa a sua volta facitore della parola, o, con stupenda espressione, “poeta della parola” (Gc 1,12.25). Basterebbe pensare a Maria che, incinta, “fa” la Parola e nello stesso tempo la proclama nell’insuperabile cantico del Magnificat.
Fatti “dono”
Analogamente, la preghiera consente alla vocazione di tradursi in servizio. Ogni chiamata divina è una missione, un invito ad andare e a diffondere operosamente la buona novella del Regno. Ora la messa a punto del proprio compito e l’energia per assolverlo dipendono da doni di grazia che ci possono essere propiziati solo dall’orazione assidua e amorosa.
La prima vocazione
Quanto siamo venuti dicendo mostra all’evidenza che la preghiera è la prima vocazione dell’uomo, poiché costituisce la condizione stessa per accogliere le chiamate divine e per assecondarle. Quest’attitudine all’ascolto orante, è stato affermato, riconduce simultaneamente l’uomo a se stesso e a Dio, dal momento che svela il carattere creaturale e la relazione con Dio, fonte e sostegno di ogni chiamata.
Se ha tanta importanza porsi in uno stato di ricettività totale dinanzi a Dio e di dialogo amoroso con lui, allora si dovrà porre l’accento sulla qualità dell’ascolto in ordine al cogliere e all’assecondare la chiamata divina. L’ascolto inautentico è denunciato nella parabola del seme: si tratta dell’ascolto frustrato dal Maligno, superficiale, soffocato dalle interferenze mondane e distratto. All’opposto Maria è il modello dell’ascolto autentico, che è a un tempo rivelativo, meditativo e fattivo. Volendo poi meglio precisarne gli aspetti, sulla falsariga della testimonianza di Maria, possiamo affermare che quello della Vergine è stato un ascolto dialogante, interiorizzato, fecondo. Che sono poi le caratteristiche supreme della nostra preghiera: essa è dialogo con Dio, che ci conduce ad accogliere in profondità la sua parola e infine a tradurla in comportamento di vita.