N.06
Novembre/Dicembre 1992

L’animatore vocazionale e la preghiera

L’attenzione alla preghiera da parte degli operatori pastorali è un ritorno salutare per la pastorale in genere e per la pastorale delle vocazioni in particolare.

Si tratta qui di una scoperta o di un felice ritorno al valore imprescindibile della preghiera, nel contesto pur breve della pastorale vocazionale post-conciliare, ancora in ricerca per certi aspetti e come prosa sempre da una sorta di alternanza tra momenti di intensa attività, ricchi di iniziative, di proposte e di progetti, di sussidi e di convegni vocazionali e altri di sosta, di ricognizione, nei quali si vorrebbe fare sempre il punto della situazione.

Ma non si tratta solo di fasi pastorali che si susseguono nello scorrere di questi anni. Sono situazioni rintracciabili anche al livello dell’esperienza personale di un qualsiasi animatore vocazionale, fatto esperto ormai negli anni dalle fatiche di una pastorale troppo spesso in continua tensione di aggiornamento.

 

 

L’attivismo logorante e la riscoperta della preghiera

Sarebbe interessante cercare di capire la ragione o le ragioni immediate e soggettive che di fatto creano le condizioni e le favoriscono all’interno di un lavoro pastorale la riscoperta del valore imprescindibile della preghiera.

Si potrebbe pensare ad esempio ad una fase di stanca, di secca, nella quale potrebbe trovarsi un qualsiasi animatore vocazionale: o dal punto di vista dei risultati o anche a partire dalla reale considerazione del suo lavoro da parte di chi è impegnato in altri settori pastorali.

Un animatore, mandato dal vescovo o dal superiore, incomincia col darsi “da fare” subito, con entusiasmo e intelligenza. La posta in gioco è seria e urgente: mancano vocazioni. Corre, scrive, progetta, raduna a più riprese gli interessati di questo o quel settore pastorale e infine riesce a inventare, anche a suo dire, il meglio degli itinerari vocazionali che mai si possano progettare e immettere sul “mercato” delle proposte pastorali per i ragazzi, gli adolescenti o i giovani.

Intanto comincia a provare come un senso di vuoto, ad avere sempre più l’impressione che qualcosa non va. Talvolta si ritrova a pensare che dovrebbe impegnarsi di più e meglio. Forse potrebbe correggere il tiro. Cosa non va?

Sa benissimo che nel suo campo si tratta anzitutto di seminare, senza aspettarsi dei risultati immediati. Nella Chiesa è così: c’è chi semina e c’è chi raccoglie. Ma al tempo stesso si rende conto che il problema non sta tanto al livello oggettivo della pazienza del seminatore evangelico. Si tratta di qualcosa di più soggettivo e personale.

È l’inizio di una crisi salutare, nella quale egli stesso intuisce con estrema chiarezza che non solo gli strumenti della sua fervorosa azione pastorale andrebbero affinati per l’inevitabile usura del tempo, ma che l’impianto generale del lavoro vocazionale chiede ormai una decisa revisione globale. Si potrebbe anche dire: un coraggioso salto di qualità.

Proprio a questo punto potrebbe capitare di percepire interiormente, con profonda onestà, che davvero le vocazioni nella Chiesa sono sempre frutto di invocazione, prima cioè della propria azione più elaborata e intelligente o della più strategica prassi pastorale messa in atto in diocesi o da parte dell’istituto religioso di appartenenza.

Il rischio al quale un tale operatore potrebbe essere sottoposto, giunto a questo punto del suo impegno di animazione, potrebbe essere di cadere in una sorta di sproporzionata considerazione della preghiera. Non tanto dei tempi, quanto nella teorizzazione astratta del suo valore, a scapito magari di un’attenzione più obiettiva e concreta alla stessa vita pastorale, nella quale si trova ad essere inserito e nei confronti della quale è chiamato e inviato ad operare comunque.

Sarà poi l’incontro con il realismo cristiano che viene dallo Spirito, dal dialogo sincero che viene da un buon discernimento o dalla gente stessa, che, dopo qualche tempo di comprensibile e sana esitazione, lo ricondurrà ad un rapporto più equilibrato con il proprio lavoro e a quelle che sono le sue responsabilità di animazione vocazionale.

Del resto, volendo fare un accenno ad un passo evangelico che proprio in questo dossier vocazionale viene giustamente commentato, quello di Mt 9,35-38, non si dimentichi che la preghiera richiesta da Gesù ai suoi discepoli perché il Padrone “mandi operai alla sua messe”, presuppone uno sguardo così intenso nei confronti della gente, quasi “pecore senza pastore”, che non ammette dubbi nell’intuire che la preghiera che al Signore sta a cuore non è certo spiritualistica o astratta. Si tratta invece di una preghiera così intrisa di compassione pastorale che è capace davvero di far scaturire una profonda attenzione e un servizio concreto nei confronti delle urgenze vocazionali della gente e delle comunità cristiane, senza rimandi “sabbatici” e inutili attese.

 

 

Il pericolo del funzionalismo e la verità profonda della preghiera

Accanto a questo caso, tipico di chi giunge alla coscienza che la preghiera è un valore non retorico, ma imprescindibile all’interno di una qualsiasi animazione vocazionale, potrebbe essere descritta la situazione, apparentemente più normale, di chi riesce a raggiungere la stessa consapevolezza in maniera forse meno traumatica, dal punto di vista del proprio impegno a favore delle vocazioni, ma pur sempre attraverso un certo itinerario di carattere critico.

Questo ipotetico animatore vocazionale, più che non il precedente, sa bene che la preghiera è necessaria in ordine alle vocazioni.

Negli anni di seminario o di noviziato si è soffermato a lungo nello studio e sul valore della preghiera. Nella predicazione abbondante, che il suo ruolo di animatore di gruppi e di comunità comporta, spesso ha il dovere di richiamare al primato imprescindibile della preghiera. Se poi ha modo di operare frequentemente nell’ambito della direzione spirituale questo dato diventa ancora più esplicito e chiaro. Come si spiegherebbe infatti una qualsiasi prospettiva vocazionale, in un giovane o in una ragazza, se questa non affonda concretamente le sue radici in una preghiera convinta, prolungata, metodica e quotidiana?

In questo senso il tema della preghiera è obbiettivamente presente alla sua coscienza di animatore pastorale, così come obiettiva resta in lui la considerazione che non si danno vocazioni senza preghiera.

Una volta chiarite tutte queste considerazioni potrebbe restare tuttavia, a un livello cosciente più o meno latente, l’impressione che ancora manchi qualcosa dal punto di vista strategico. Perché non basta sapere o ritenere di sapere cos’è la preghiera, magari anche organizzando una “scuola di preghiera” per i giovani della diocesi o che bazzicano negli ambienti del proprio istituto. là necessario pregare davvero, saper invocare esplicitamente e continuamente le vocazioni da Dio.

Non è il caso di entrare qui nel merito di cosa significhi invocare esplicitamente e continuamente delle vocazioni da Colui che solo le può inviare e inoltre se e come tutto questo è possibile. Non è compito di questo intervento parlare della preghiera.

Basta qui fermare l’attenzione su un dato più semplice: sul fatto che è possibile sapere molto della preghiera e forse anche esortare con insistenza gli altri a pregare, senza pregare concretamente: e a livello personale e, conseguentemente, in senso pastorale o a livello di istituto.

È un rischio nel quale potrebbero incorrere più facilmente i sacerdoti animatori vocazionali, così indaffarati, ma dal quale non sono esenti neppure i consacrati o le consacrate dedite alla stessa causa. Quando dunque in qualche animatore dovesse scattare la coscienza che tutto ciò che è stato sin qui descritto è abbastanza vero, o quantomeno possibile, per un verso si deve riconoscere con umiltà cristiana un proprio limite o la presenza di un vero e proprio peccato di omissione nei confronti di Dio e dei fratelli e per un altro non resta che mettersi a pregare.

È logico e necessario che qualcuno cominci. Non tocca mai di per sé agli altri. Tocca anzitutto a chi ha il dono, la grazia, di capire non tanto l’urgenza funzionale della preghiera come iniziativa, magari perché non c’è più niente da fare o si è “a corto” di fantasia, ma in forza dell’urgenza evangelica così esplicita di pregare: “pregate…”.

Starà poi ai maestri spirituali, agli esperti di preghiera o agli esegeti suggerire a questi animatori le modalità più corrette per pregare il Padrone della messe (Mt 9,38) “senza stancarsi mai” (Lc 18,1). Anche a questo riguardo si potrebbe individuare un rischio. Se si desse il caso, come sopra si è detto, di un animatore vocazionale “esperto” di preghiera, ma che non ha mai il tempo per pregare per le vocazioni, è assai facile che, alla luce della abitudine a considerare la preghiera un grande valore, riesca poi concretamente a immettere negli itinerari vocazionali più interessanti ed elaborati quel tocco magico di preghiera, quell’effetto e quel clima che solo un certo ambiente o un modo così originale di pregare sa creare. Insomma si tratta di quella situazione orante dove la proposta della preghiera non manca formalmente, ma come funzionalizzata ad altro, quasi un elemento estetico in un corso vocazionale, utile per iniziare, per introdurre ad una finalità determinata e precisa: indirizzare l’attenzione di quei ragazzi o di quei giovani su questa o quest’altra vocazione.

Insomma: ci si può servire della preghiera senza pregare davvero, senza servire nella preghiera la volontà del Padre. Probabilmente un corso o un itinerario vocazionale di questo genere, con un animatore così, non si da nella realtà pastorale e c’è da sperare che non si dia davvero mai. Bisogna comunque che la preghiera – e propriamente la preghiera per le vocazioni – purifichi, porti all’essenziale, le intenzioni più profonde e le attese cristiane, di Cristo, di un animatore vocazionale così determinato.

Il rischio di voler dare qualche suggerimento a Dio, prima di riuscire a dire con verità “Padre, sia fatta la tua volontà”, sta sempre un po’ in agguato nella strategia di un credente troppo fervoroso e organizzatore. Potrebbe anche essere il rischio di qualche animatore vocazionale?

 

 

Alcune conclusioni

Alla luce delle considerazioni fatte si potrebbero trarre alcune conclusioni.

La prima riguarda il fatto che di per sé la preghiera per le vocazioni non è un dato pastorale da riscoprire. Non è affatto una novità nella prassi tradizionale della Chiesa. L’Evangelo stesso la propone in termini precisi e discreti.

Si tratta piuttosto – un po’ più esplicitamente e in maniera meno retorica – di ridare corpo e significato ad una tradizione di preghiera per le vocazioni che in genere il popolo di Dio a suo modo già viveva e ancora mette in atto, in forme che forse andrebbero rivisitate con rispetto e pazienza.

Del resto l’istituzione da parte di Papa Paolo VI, quasi trent’anni fa, della Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, se da un punto di vista di prassi pastorale va interpretata all’interno dell’esigenza di proporre alla coscienza della Chiesa l’urgenza del problema delle vocazioni, tuttavia in se stesso e nell’insieme delle molte – talvolta troppe – iniziative vocazionali circolanti, proprio questa insistenza su una giornata di preghiera sembra ancora conservare una priorità e un’autorevolezza tipicamente magisteriale molto precisa: per le vocazioni si deve pregare!

Una seconda osservazione riguarda ancora quell’animatore vocazionale ipotetico che si accorge con stupore credente s’intende, e non perché ha scoperto nella preghiera l’iniziativa vocazionale “vincente” – della necessità di pregare personalmente per le vocazioni, prima ancora di esortare ad una tale preghiera gli altri.

L’animatore vocazionale che entra seriamente in una tale prospettiva s’accorgerà ben presto almeno di un fatto: che pregare per le vocazioni degli altri – quei “suoi” che gli sono stati affidati nell’animazione -significa inevitabilmente pregare per la propria vocazione cristiana.

Ritornerebbe qui opportuno il tema della purificazione e della essenzialità al quale sopra si accennava nella linea ad esempio di saper domandare a Dio il dono di continuare a custodire un grande tesoro in vasi fragili.

Va riconosciuto infine – non si vogliono creare dei fraintendimenti – che esistono ancora tanti e nascosti animatori vocazionali che non devono passare necessariamente attraverso una delle fasi critiche sopra descritte per riuscire a comprendere, per coerenza professionale, il valore e l’importanza della preghiera per le vocazioni. In loro lo Spirito Santo già parla, già prega e già in-voca, con gemiti che il Padre conosce e comprende, senza indugio ed esitazione (Rm 8,15).

È proprio per questa loro profonda e sincera disponibilità al dono libero e sovrabbondante delle vocazioni da parte di Dio alla sua Chiesa che una pastorale vocazionale ha senso oggi e può ancora continuare a svolgere il suo compito di animazione.