Il segreto del terzo venerdì di ogni mese
Si impara a pregare in una comunità. È un principio che potrebbe essere facilmente dimostrato sulla base di sicure affermazioni teologiche o bibliche. È un assioma da sempre vero, nonostante le apparenti eccezioni, perché Dio stesso, per la sua stessa intima essenza, ha voluto imprimere questo dinamismo ad ogni realtà cristiana ed ecclesiale.
Qui però non lo voglio prendere come un assioma, quanto piuttosto, a posteriori, come un dato di fatto che emerge, tra i più appariscenti, da una semplice analisi dell’esperienza degli incontri di preghiera che il Seminario organizza per i giovani e alla quale partecipano, ogni mese, oltre settecento giovani. Solo una costatazione, che però, pur non avendo i crismi della universalità, può convincere più che per un principio indiscutibile, perché contiene in sé la forza e la verità delle cose vissute.
Prima di insegnare a pregare occorre rendere possibile la preghiera. È molto significativo che all’inizio, a monte degli incontri del III Venerdì del mese in Seminario, ci sia stata e ci sia tuttora una comunità che propone. Un volantino impersonale o il genio di un singolo non avranno mai la forza di una comunità nel momento della proposta. Essa ha, infatti, il fascino del “vissuto” che non può avere un inserto pubblicitario, e il fascino dell’“insieme”, che non può emanare da un individuo solo, anche se dalla personalità eccezionale.
Di un eremita che prega nel deserto capita di sentir dire: “È matto”; ma di fronte a un gruppo che prega e lo fa con entusiasmo è più difficile esprimere un giudizio così superficiale.
Un giovane che vuole pregare deve far fronte a un mare di difficoltà. Non sa come fare precisamente, non è capace di organizzare bene il suo tempo; a volte gli mancano degli stimoli per dare corpo al vago desiderio di pregare che sente dentro di sé; in moltissimi casi manca di costanza; pregare da solo, poi, lo fa sentire strano, quando non è decisamente emarginato dagli altri, dagli amici che vorrebbero fare qualche cosa di più “interessante”; a volte infine si può accorgere del pericolo di un certo individualismo, del rischio di tagliarsi da se stesso i ponti con gli altri.
Ora l’invito di una comunità, non di un’organizzazione ben inteso, a pregare insieme, spazza via quasi tutte queste preoccupazioni. Chi veramente vuol pregare vi aderisce con entusiasmo, perché la preghiera non gli risulta più così problematica.
In gruppo si prega più facilmente. Non è sempre vero per tutti. Però è innegabile che, specialmente per chi è agli inizi, il vedere gli altri pregare, il cantare insieme, il creare silenzio insieme, il percepirsi uniti nel riflettere su un tema comune, sono tutti elementi che hanno un’influenza benefica notevole. Anche in questo senso la comunità rende possibile la preghiera.
Inoltre in essa si “impara” a pregare. L’espressione può provocare perplessità. Per chiarirne il senso la cosa più semplice è forse descrivere quel che succede nei nostri incontri di preghiera.
Proporre una struttura, un orario, un ritmo di preghiera è già insegnare a pregare. Il metodo di organizzazione dell’incontro di preghiera è già per il fatto stesso di essere un metodo, formativo. E una scelta particolare, una formula per noi ottimale, e chi non conosce altre esperienze di preghiera, impara, letteralmente, a pregare così.
Non si impara però solo vedendo. Al momento della preghiera vera e propria viene, infatti, premesso un momento di preparazione: la comunità che propone, ora si spiega. Non può non gettare le persone allo sbaraglio.
In questo momento di preparazione non solo viene introdotto e spiegato l’argomento conduttore della preghiera, ma trova posto anche una specifica formazione alla preghiera stessa. Basta poco per ogni incontro, ma sono cinque minuti di vera e propria scuola. Tanti sono i modi di pregare: la tradizione spirituale ne conosce di antichissimi e di recenti. E un giovane che si affaccia all’esperienza della preghiera deve venirne a conoscenza nella giusta progressione. A pregare veramente si impara.
Ma c’è una cosa soprattutto che rende la comunità il terreno ideale, accogliente per la crescita della preghiera. È l’amicizia. Provare per credere: è difficile renderlo a parole. I giovani che vengono in Seminario il III Venerdì di ogni mese hanno trovato una comunità di amici e l’incontro ha fatto nascere l’amicizia anche tra loro.
Così il pregare acquista un senso in più: non solo è più facile ma è anche più bello.
Tutto questo è possibile perché la comunità guida alla preghiera e questa, a sua volta, rinvigorisce la comunità nella amicizia. È chiaro: è presente l’Amico di tutti colui che dà senso a tutto questo. “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”.
Più in concreto, come si svolge ogni incontro di preghiera? La traccia di ogni incontro è la seguente: all’inizio c’è un’introduzione che spiega il tema ecclesiale specifico di quella sera. Segue un momento di ascolto della Parola di Dio, il vero protagonista della preghiera. Quindi un momento di sosta e di riflessione, intercalato da brevi letture e dalla proiezione di alcune diapositive con un appropriato sottofondo musicale. Viene, ora, il cuore della serata: il momento della preghiera personale e corale sulle realtà che si sono meditate prima e che sono state gustate di più, che hanno parlato di più al nostro cuore. C’è poi un momento di ringraziamento per quanto il Signore ci ha detto e ci ha fatto capire nella preghiera. Infine, un breve momento conclusivo con la benedizione del sacerdote. I vari momenti di preghiera sono introdotti anche da alcuni canti, adatti al tema.